Attualità

Le 10 mode del 2017

La pizza gourmet, il socialismo e altre 8 mode che hanno definito a nostro giudizio l'anno che sta finendo.

di Studio

Passibili di contestazioni furiose – “ma questo è 2016 non 2017” – sono tre o quattro giorni che in redazione abbiamo un file Word aperto con una lista, piena di aggiunte, cancellazioni eccellenti – «gli unicorni sono 2015», ha detto qualcuno; «sì ok, ma sono diventati mainstream quest’anno», ha risposto un altro – questa è la selezione finale delle tendenze, degli oggetti, delle discussioni, che a nostro sindacabilissimo giudizio hanno la capacità di incarnare lo spirito dell’anno che sta finendo: il 2017.

 

Pizza gourmet

Una volta era la normalissima pizza, mentre oggi, come scrive Mattia Carzaniga su questo sito, elencando gli ingredienti di una pizza mangiati in un locale di nuova apertura:  «Sopra c’erano la crema di zucca mantovana, il prosciutto di San Daniele stagionato 198 mesi, il sale dell’Aconcagua (quello dell’Himalaya è diventato troppo mainstream, lo vende pure l’Esselunga)». Non è che il trend sia iniziato nel 2017 e c’è incertezza anche sul dove sia iniziato (alcuni azzardano in Veneto, ma i più saggi preferiscono scommettere su Napoli), fatto sta che quest’anno a Milano non si sono mai viste tante nuove aperture di pizzerie speciali, quelle che «vendono un sogno», come dice Carzaniga, quello di rendere la pizza un’esperienza. Dentro quest’esperienza ci sono ingredienti rarissimi e lieviti antichissimi, il risultato non è poi così evidentemente percettibile, ma non importa: se fai una fila di mezz’ora per entrare, dev’essere meglio per forza. Che poi il problema non sono le pizze gourmet in quanto tali, ma il fatto che ti fanno diventare qualunquista ed esprimere giudizi tipo “una pizza vale l’altra”.In ogni caso, se siete di passaggio a Napoli, più che l’arcinoto Sorbillo, provate 50 Kalò o La Notizia.

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Socialismo

È stato l’anno in cui il socialismo è tornato cool. Quello in cui la coda lunga del sandersismo è sfociata nella fioritura del corbynismo. Quello in cui leggevi articoli e status e tweet di ventenni che ti spiegavano Marx. Quello in cui la tote bag di Jacobin è diventata un must have più di quella del New Yorker (al prezzo modico di 15 dollari), offrendo una socialist perspective sulla realtà dai colori vivaci. Una cosa completamente diversa dal socialismo dal volto etnico del Subcomandante Marcos, che tanto andava alla fine degli anni ’90 e che tanto influenzò i movimenti anti-global. Questo è un socialismo urbano, che ammette avocado toast e risvoltini e una settimana in Islanda più che nella Selva Lacandona. Da noi però sembra aver preso ultimamente una piega piuttosto uncool, incarnata dal volto di un ex-magistrato antimafia.

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Vaping

Era il febbraio 2016 quando The Cut, la testata di moda e lifestyle del New York magazine, pubblicava un articolo intitolato “Vapes Make Their New York Runway Debut”: alla Fashion week di New York, il brand General Idea aveva fatto sfilare i modelli con delle “sigarette elettroniche” – altrimenti dette vapes – e, in precedenza, Opening Ceremony aveva chiuso una partnership con il brand Pax per vendere vaporizzatori all’Ace Hotel. Quando le prime sigarette elettroniche comparvero, nei primi anni Dieci, vendute in decine di nuovi negozi tristi e destinati a una vita effimera, in pochi si aspettavano il successo di oggi. E invece il mercato ha selezionato, ridisegnato, ricomunicato: oggi il vaping non solo non è più quella brutta cosa che sembra un termometro da tenere appesa al collo – che faceva il paio con il borsello – ma un oggetto affascinante, tecnologico, soprattutto intelligente: la salute è “di moda”, dicevamo qualche tempo fa, dal cibo alla meditazione, alle app per il controllo delle calorie e dei chilometri percorsi ogni giorno. Naturale che si passasse anche per lo smettere di fumare, o trasformare il modo in cui lo facevamo. 

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L’Islanda (e un po’ anche la Georgia)

C’è anche uno studio che lo conferma: il Paese che nel 2017 è riuscito a promuovere al meglio la propria immagine è stato l’Islanda. Merito di un’onda lunga avviatasi prima della crisi del 2008, che nel corso dell’anno ormai concluso ha portato nell’estremo lembo d’Europa qualcosa come due milioni e mezzo di turisti. È una cifra notevole, se si considerano il clima e il panorama islandesi – indubbiamente bellissimi, ma che non incontrano il favore della maggioranza delle persone – e il semplice fatto che gli islandesi stessi sono poco più di 330 mila. Viaggiare in Islanda cambia molto a seconda della stagione, ma anche nei mesi più turistici, ovvero da fine giugno a fine agosto, presuppone una certa disciplina. Cosa dice di noi quest’affezione per il Paese oltre la Barriera di Game of Thrones? Luca Guadagnino ci ambienterà il suo prossimo film, dove Jennifer Lawrence interpreterà Agnes Magnusdottir, una donna condannata per omicidio nel 1830. D’altronde, un altro Paese “periferico” che quest’anno ha fatto molto parlare di sé è stata poi la Georgia: noi di Studio ne abbiamo raccontato la nascente industria della moda galvanizzata dall’effetto Demna Gvasalia, ma i motivi per visitare il Paese caucasico sono tanti, dalla natura all’arte contemporanea, dalle architetture di Tbilisi al fascino singolare di Batumi, sul Mar Nero.

Iceland's Tourism Industry Thriving

Stories

Dire che le Stories, quest’anno, sono andate di moda potrebbe sembrare un po’ riduttivo. Più che altro sono entrate a far parte della nostra quotidianità. Guardare o fare Stories per tanti di noi è diventata un’attività automatica come mangiare, dormire, respirare, fissare la home di Facebook con lo sguardo spento. Le storie nascono su SnapChat e approdano su Instagram in un’era non così recente, il lontano 2016. È soltanto nell’estate del 2017, però, che spopolano in Italia, convincendo a iscriversi a Instagram anche quei pochi che avevano sempre resistito. Non è soltanto il piacere di vantarsi della propria vita o movimentarla se è noiosa: fare Stories serve anche a monitorare gli sguardi altrui. Se poi sei una ragazza, funzionano come esca: dopo cinque minuti che ne fai una ti scrivono invitandoti a un appuntamento galante. Ci sono i narratori naïve, che le usano per condividere, ci sono i Vip che ci speculano sopra e chi, ancora sconosciuto, le usa per autopromuovere se stesso, sperando che un giorno le cose vadano meglio. Ma soprattutto, come al solito, ci sono i voyeur: chi conosce il modo di guardare quelle degli altri senza farsi vedere, chi inventa un profilo fittizio per osservare liberamente, chi le guarda tutte senza averne mai fatta una. Insomma: le Stories sono una nuova, ulteriore cartina tornasole di una parte (forse molto più piccola di quanto crediamo) dell’umanità che popola questa terra. Resteranno di moda? O, proprio com’è loro natura, spariranno senza lasciare traccia?

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Il femminismo

È iniziata con una t-shirt e andata avanti con un hashtag. Dalla moda ai social, dalla politica ai rapporti interpersonali, il femminismo, un femminismo pop e sexy ma anche molto incazzato e socialmente impegnato, è stato uno dei trend dominanti dell’anno. Certo era già da un po’ che il femminismo è diventato cool (vedere alla voce “femvertising”, ne ha scritto Silvia Schirinzi lo scorso anno), ma nel 2017 ha fatto il botto. S’è visto fin dai primi giorni dell’anno, quando Rihanna e Natalie Portman si sono fatte fotografare mentre indossavano la maglietta “We Should All Be Feminists” di Dior. E vogliamo parlare di una delle serie di cui s’è parlato di più, The Handmaid’s Tale? O della Women’s March con tutto quel mare di pussyhat rosa? Il caso Harvey Weinstein, innescato simultaneamente a ottobre dal New York Times e dal New Yorker, ha galvanizzato tutto. C’è stato l’Harvey Effect, c’è stato, soprattutto, il #metoo. Se una short story del New Yorker è diventata virale, è anche perché è stato considerato un racconto femminista.  Quando abbiamo visto Drake interrompersi durante un concerto, nel bel mezzo di “Love Yourself”, per cazziare un tipo del pubblico che stava molestando delle ragazze, abbiamo capito che, nel 2017, se non sei femminista non sei nessuno.

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Lo spazio

Se nel 2017 tutto torna, torna il socialismo, ma anche la corsa allo spazio, come negli ’60, con la Nasa, i telescopi giganti, la fine di Cassini, Elon Musk, Google X, gli esopianeti e l’asteroide ʻOumuamua. Ovviamente la ricerca spaziale non si è mai interrotta, ma l’interesse per le cose spaziali e le scoperte extraterrestri sembra aumentato vertiginosamente. Ci sono state importanti novità, soprattutto rispetto all’idea che potrebbe non volerci così tanto tempo prima di scoprire l’esistenza di un pianeta abitabile fuori dal sistema solare. Il ritmo degli annunci della Nasa non è stato mai così intenso e per qualcuno l’astronomia si è trasformata in uno spettacolo.

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L’Unione europea

Esattamente un anno fa, mentre il 2016 si apprestava a chiudere i battenti, spuntavano su internet dei maglioni natalizi, che come tutti i maglioni natalizi erano brutti, ma che aveva un messaggio azzeccatissimo: “All I Want For Christmas Is Eu!” Ok, era subito dopo la Brexit, e Trump e il panico da populismo che avanza, nel frattempo ci siamo ripresi dallo choc ma la voglia di Europa è rimasta. La bandiera Ue ha avuto il suo fashion moment in primavera quando Eurotic ha lanciato la sua linea di hoodies, molto più cool del maglione natalizio (le prime t-shirt con la bandiera europea, fatte dal collettivo francese Ètudes, risalgono al 2012). L’Unione europea, che fino a qualche anno prima era considerata la cosa più uncool persino dagli europeisti, è diventata improvvisamente sexy. C’è stato tutto il movimento “Pulse for Europe”, nato in Germania alla fine del 2016 ma che è esploso nella primavera del 2017 in altri diciotto Paesi. Poi, perché non può piovere per sempre, è arrivata la vittoria di Emmanuel Macron (peraltro, ritratto benissimo da Carrère) che è stata un’iniezione non soltanto di fiducia ma anche di coolness. Il 2017 è stato l’anno in cui, come ha scritto Paola Peduzzi, ci siamo accorti che c’importava dell’Europa.

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LIBERATO

I più rapidi l’hanno scoperto subito, all’inizio dell’anno. Una voce che canta in napoletano e dice cose che restano in testa anche a chi non conosce il dialetto. E nel video una ragazzina, che muove la bocca in playback. Sullo sfondo una Napoli allo stesso tempo familiare e nuova, che sa essere come al solito kitsch e sgangherata ma anche – novità  – alla moda e super patinata, come invasa da un immenso filtro Istagram che rende l’azzurro del cielo più intenso, i fari dei motorini più lattiginosi e le Nike più Nike. E poi le concatenazioni saggiamente ideate: il primo pezzo si chiamava 9 MAGGIO, il video del secondo pezzo, TU T’E SCURDAT’ ‘E ME, esce il 9 maggio. Molti, moltissimi di noi l’hanno ascoltato fino alla nausea. Poi, dopo una lunga pausa estiva, è arrivato GAIOLA PORTAFORTUNA. Video bellissimo anche se un po’ fuori contesto: ma come, un tormentone estivo a settembre? Siamo tutti pronti a perdonarlo, ovviamente, nel 2018. Di una cosa possiamo essere certi: se il 2017 è stato l’anno di LIBERATO, è stato anche l’anno di Francesco Lettieri, il regista dei suoi video (e anche di quelli dei più famosi ex-indie della musica italiana, da Calcutta ai TheGiornalisti) che con il suo sguardo da esteta delle periferie e di ciò che è diversamente bello, ha trasformato prima Napoli e poi Roma (alternando senza problemi un classico della narrazione romana “coppia in amore nel centro deserto” – Argentario di Carl Brave x Franco126 – a quello che forse è il nuovo classico della narrazione romana, il Pigneto, in Cosa mi manchi a fare e nel nuovissimo Orgasmo, entrambi di Calcutta). Con il suo sguardo Lettieri ha contaminato una parte consistente della musica italiana e quindi del nostro immaginario, ricordandoci con i suoi video cosa ci piace, cosa amiamo e quali fotografie scattare con il cellulare.

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Fidget spinner

Abbiamo saputo che sarebbe arrivata l’invasione prima che arrivasse. Negozi esponevano cartelli surreali tipo “Gli spinner sono già tutti prenotati”. Sembrava una rivoluzione o un’apocalisse, qualcosa che avrebbe potuto cambiarci la vita come ce l’ha cambiata la lampadina, l’acqua calda o lo slime. E invece non erano granché e sì, ci fanno pensare tanto al 2017, ma sono durati solo tre mesi. I bambini li hanno collezionati, li hanno portati a scuola, verso primavera si sono visti compleanni alle elementari in cui si scartavano tre, quattro, cinque spinner e i festeggiati non erano per niente delusi, anzi. Adesso, invece, non compaiono più nelle Stories notturne degli ubriachi che provano evoluzioni dopo un numero imprecisato di Gin Tonic, e restano depositati e impolverati nelle camerette, icone di una nostalgia precocissima, quella del “ti ricordi il 2017?” detto a gennaio del 2018. La nostra scelta più che su quelli luminosi va su quelli pesanti in metallo, meglio se con fantasia camouflage.

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