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Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

Trainwreck: Woodstock ’99, un documentario bellissimo su un festival disastroso

Nell'estate del ritorno degli eventi musicali, Netflix racconta quello più schifoso di sempre, tra l'esibizione da brivido dei Limp Bizkit, le molestie subite dal pubblico femminile e la sommossa finale.

05 Agosto 2022

Il discorso con cui Fred Durst dei Limp Bizkit, nel pomeriggio della seconda giornata di Woodstock ’99, inizia a scatenare la violenza nel pubblico, ricorda un po’ “Break My Soul” di Beyoncé. Nel 2022 lei dice di lasciar uscire lo stress, liberarci dal nostro lavoro, eccetera. Nel 1999, sul palco del festival, Durst fa un appello a tutti gli underdog che lo riconoscevano come uno di loro: «Avete problemi con le ragazze? Coi genitori? Con il vostro capo? Con il vostro lavoro? Ora voglio che prendiate tutte queste energie negative… e le facciate uscire dal vostro corpo». Proporre un esperimento del genere a una folla di 250 mila persone composte per lo più da frat boy ubriachi e strafatti, cresciuti a pane, American Pie e Fight Club sarebbe sembrata una pessima idea a chiunque, ma tra le tante qualità di Durst non sembra esserci la razionalità. La scena che descrive il crescendo con cui i Limp Bizkit hanno fomentato la folla è tra le migliori delle ottime tre ore di film che compongono Trainwreck: Woodstock ’99, non soltanto il racconto alla Fyre Festival (protagonista di un altro documentario Netflix) di un grosso evento andato male, ma una storia di rabbia, delusione e violenza generazionale. Il disastro di Woodstock ’99 si presta a un’analisi ben più approfondita e tragica, mettendo il luce la differenza tra la generazione (e i valori, la musica, l’estetica) del 1969 e quella del 1999.

Woodstock ’99 si è tenuto dal 22 luglio al 25 luglio 1999 a Rome, New York (per la gioia dei giornalisti, che quando tutto andò in fiamme poterono titolare “Roma brucia”). Dopo Woodstock ’94 (fallimento trascurabile), è stato il secondo festival musicale su larga scala che ha tentato di emulare l’originale festival di Woodstock. Il documentario mostra materiale d’archivio sia del 1969 che del 1999. Se nella prima edizione tutti sono oggettivamente bellissimi, vestiti (o svestiti) da dio, sorridenti e rilassati, immersi nella natura, nella seconda sembrano dei mostri: ragazzini senza maglietta emettono grida animalesche, ragazze con le tette rifatte ballano completamente nude tra le tende circondate di immondizia, corpi che si rotolano nel fango (non proprio fango) nell’area dei bagni chimici. Perché il primo grande problema di Woodstock ’99 fu la location: un’immensa base militare che già da subito avrebbe dovuto far capire che dell’originale restava ben poco, nonostante le presunte buone intenzioni di Michael Lang, organizzatore della prima edizione, che diceva di voler rifare Woodstock per i suoi figli adolescenti e sensibilizzare i giovani al problema delle armi (ad aprile c’era stato Columbine) ricordando loro il valore e il potere della controcultura.

Le distese di compensato montate intorno all’area tipo muro e pitturate con i colori dell’arcobaleno non riuscivano a dissimulare la realtà: al posto delle verdi colline, infinite distese di cemento senza un briciolo d’ombra. Al posto della libera condivisione, bottigliette d’acqua vendute a 4 dollari l’una (saliti a 7 l’ultimo giorno) e code di mezz’ora per le fontane (di acqua non potabile, si scoprirà poi). Ma soprattutto, al posto della musica hippie-dippie del ’69, l’hard rock di fine anni Novanta: Korn, Limp Bitzkit, Rage Against The Machine (durante la sommossa della terza notte la massa impazzita iniziò a cantare “Killing in the Name”, «Fuck you, I won’t do what you tell me»). Le riprese del pogo fanno venire i brividi: viene da chiedersi come sia possibile che lì in mezzo nessuno sia rimasto ucciso. La security era totalmente inadeguata: per non collaborare con la polizia di Stato o con il governo, erano stati ingaggiati ragazzi senza nessuna formazione professionale, pagati 500 dollari per 3 giorni di festival. Non erano armati, ovviamente, si chiamavano “ronda della pace” e cazzeggiavano tutto il tempo, facendosi foto con le ragazze nude. Ragazze nude che, ovviamente, hanno subito qualsiasi tipo di molestia, dalle ovvie palpate durante i concerti (chi di noi non è stata vittima?) fino agli stupri che sono stati denunciati nei giorni successivi (uno scoperto quasi in diretta, dentro al furgone che fece irruzione durante il set di Fatboy Slim, altra scena agghiacciante). Nell’hangar dove si tenevano i rave post-concerto che duravano tutta la notte non c’era nessun controllo: migliaia di ragazzi e ragazze, ubriachissimi e fattissimi, scopavano ovunque. La mancanza di sicurezza rendeva il confine tra consenso e violenza, già molto sottile in stati di alterazione mentale, ancora più ingestibile. Ed è su questo aspetto, forse il più oscuro – ancora più del delirio esploso l’ultima notte, durante la quale una massa di maschi incazzati per via della pessima organizzazione del festival ha distrutto e incendiato tutto, sotto lo sguardo divertito dei Red Hot Chili Peppers e del pene ballonzolante di Flea – , che si conclude il documentario, con Jonathan Davis, il leader dei Korn, che ricorda come le ragazze avrebbero il diritto di divertirsi nello stesso modo in cui si divertono i maschi.

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