Cultura | Fotografia

Il paese delle meraviglie di Tim Walker

La grande retrospettiva che apre il 21 settembre al Victoria and Albert Museum è una lunga immersione nella dimensione onirica creata dal fotografo londinese.

di Corinne Corci

Tim Walker, 'Tilda Swinton', Renishaw Hall, Derbyshire, 2018 (c) Tim Walker Studio

Imbattendosi in uno scatto di Tim Walker, è normale pensare di aver già notato le sue figure da qualche altra parte. In un frame di Tim Burton, stagliate su uno sfondo dipinto da Magritte, o forse in qualche scena del film Sei donne per l’assassino di Mario Bava. Si tratta, certo, di riferimenti a cui il fotografo di moda londinese, noto per le atmosfere gotiche delle proprie ambientazioni, allude attraverso le sue immagini che, tra creature mostruose e un’attenzione scrupolosa ai dettagli, assumono le sembianze delle fiabe. È in onore di una simile arte che nasce la retrospettiva Tim Walker: Wonderful things al Victoria and Albert Museum di Londra (dal 21 settembre all’8 marzo 2020) in cui, oltre alle 300 opere provenienti dal portfolio dell’artista, saranno esposti dieci nuovi progetti fotografici realizzati utilizzando alcuni oggetti della collezione permanente del museo selezionati dal 2016: in un percorso che si snoda fra le fantasie del suo genio artistico e i cimeli del tempo.

È l’orizzonte di un visionario «la cui fotografia ci ricorda la nostra capacità di sognare come bambini», scriveva Charlotte Sinclair su British Vogue intervistandolo nel 2008; trascende i limiti della moda e capitola in uno spazio immaginario, «che non è mai esistito, ma che è connesso a qualcosa che c’è già stato». Così, accanto agli album, agli schizzi, ai set fotografici e alle interviste video che animano l’esposizione, si trovano le miniature indiane, le tabacchiere, le nuvole di chiffon, le scatole di legno. «Fantasmi», come li ha descritti al Guardian Shona Heath, scenografa e direttrice creativa che ha curato l’allestimento della mostra. Perché Tim Walker non è un minimalista e, anzi, se ne tiene lontano, omaggiando gli stilemi dei maestri del surrealismo. Accade nella fotografia lunga 50 metri ispirata all’arazzo di Bayeux, ricreato sostituendo le armi con assi da stiro e aspirapolveri, o nell’arco lungo, quasi anni ’20, delle sopracciglia di Tilda Swinton immortalata con turbante e anelli d’oro. Cose meravigliose scelte da un deposito reale per dare forma a suggestioni che invece non lo sono. «Molti degli oggetti che ho visto durante le mie ricerche hanno riempito il mio cuore di bellezza», ha detto al Guardian. «Per questo ho voluto provare a creare una fotografia che riferisse allo spettatore non solo l’estetica fisica della cosa in sé, ma anche la mia reazione emotiva mentre la fotografavo». Perché in questa nuova serie ogni scatto è «una lettera d’amore per un oggetto su cui mi sono fermato», un tentativo di raccontare il suo incontro con il sublime.

Quanto emerge dalla raccolta è l’esistenza di una dimensione “altra”, creata per sfuggire agli affanni del tempo. Un archivio di memorie come quello del fotoreporter e ritrattista Cecil Beaton a Londra, nel quale Walker lavorò per oltre un anno: innamorandosi della fotografia di moda e decidendo di travalicarla. Dopo le retrospettive dedicate a Christian Dior e a Mary Quant, la nuova mostra al Victoria and Albert Museum è l’occasione per rileggere il percorso compiuto dall’artista nel corso degli ultimi 25 anni di carriera, dagli editoriali di moda ai ritratti di Swinton e Kate Moss, illuminati dai riflettori sulla parete della prima sala. Scatti noti e inediti, inclusi nel nuovo volume fotografico, Shoot for the Moon, che accompagnerà l’esposizione.

© Victoria and Albert Museum, London
© Victoria and Albert Museum, London
© Victoria and Albert Museum, London
© Victoria and Albert Museum, London
© Victoria and Albert Museum, London

Come si legge su AnOther Magazine, dopo la pubblicazione del libro Story Teller nel 2012, Walker aveva promesso di mostrare il lato più oscuro del proprio lavoro, perché «ogni punto deve avere il suo doppio, come il giorno e la notte, il sole e la luna, l’ordine e il caos». Ma nulla dei suoi progetti è mai stato abbandonato al disordine. Che sia sogno, incubo o leggenda, ogni elemento sul set ha sempre trovato il proprio posto, come le lettere nelle parole. Ciò che guida Walker sin dal suo esordio con Vogue nel 1995 è infatti un’immaginazione disciplinata, affidata alla cornice onirica della sua fotografia. Che non conosce limiti convenzionali e che, anzi, cerca sempre di distruggerli. Provando a trovare una soluzione reale a ciò a cui si riferiva Italo Calvino quando, ne Le città invisibili affermava: «L’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose».

E così noi, con lui, giriamo la chiave nella serratura, varchiamo la soglia, entriamo nella stanza. Figure dinoccolate, dame piene di grazia, spiagge che sembrano provenire dal Paese delle api industriose di Collodi e marionette; in un mondo costruito su ciò che affascina e che spaventa. Ne è esempio la serie fotografica per Harper’s Bazaar del 2009, ispirata alle atmosfere gotico-barocche dell’amico e regista Tim Burton: con i suoi volti pallidi, incorniciati dai pizzi e dai veli che sono diventati una cifra distintiva del suo stile; quella per Vogue nel 2002 in cui ha omaggiato l’arte surrealista; e ancora i dodici scatti del Calendario Pirelli 2018, per il quale ha reinterpretato Lewis Carroll e la sua Alice nel Paese delle meraviglie. «Ciò che mi interessa è rompere i confini che la società ha creato, per consentire ai più vari tipi di bellezza di poter essere celebrati», continua il fotografo intervistato da Tim Lewis per il Guardian. «Prepararmi per questa mostra è stato quasi un atto di coraggio. Mi ha spinto verso nuovi territori dove in altre fasi della mia vita non mi sarei mai addentrato». Tim Walker nel Paese delle meraviglie non si perde, ma mantiene stretti nelle mani i fili che reggono i suoi mondi. «Mi piace catturare le cose che stanno scomparendo», ciò che è stato prima e che, forse, potrebbe esserci dopo.