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La storia dei tiktoker russi che fanno propaganda per il governo

07 Marzo 2022

Che i social media facciano parte dell’arsenale bellico impiegato ormai in qualsiasi conflitto nel mondo è cosa nota: le parole della propaganda e i messaggi delle Resistenza passano entrambi dalle piattaforme, strategie offensive e tentativi di difesa consistono anche di hashtag e tendenze. La guerra tra Russia e Ucraina, ovviamente, non fa eccezione. In particolare, in questi giorni si è discusso molto del ruolo che TikTok sta occupando nel racconto del conflitto: per come è stata pensata e per gli utenti che la usano (soprattutto la Generazione Z, i giovanissimi), della piattaforma di ByteDance si sta parlando come del primo social “di guerra” della storia. E, si sa, una parte fondamentale di ogni guerra è la propaganda.

Negli ultimi giorni sono girati molto sui social dei video realizzati (e poi cancellati) da alcuni tiktoker russi. Tutti questi video riportavano l’hashtag #давайзамир (traducibile più o meno con l’inglese #letsgoforpeace) ma, soprattutto, in tutti questi video i giovanissimi protagonisti pronunciavano diverse frasi praticamente tutte identiche le une alle altre, un fatto che in molti ha fatto sorgere il sospetto che si trattasse di affermazioni prese da una sorta di “comunicato”, redatto da altri (agenzie governative?) e che i tiktoker avevano accettato di “recitare” ai loro follower previo pagamento. «Tutti stanno dando la colpa alla Russia, facendo finta di non vedere che il Donbass è stato sotto attacco per otto anni», «per favore consultate tutte le fonti d’informazione, stiamo combattendo per la pace», queste due delle frasi che ricorrono più spesso nei video in questione. Il fatto che i video siano stati cancellati dopo che sui social media si è cominciato a sottolineare le stranezze che vi erano contenute non fa che rafforzare i sospetti di uno sforzo propagandistico del governo russo. Oltre a questo, ci sono anche le testimonianze di altri tiktoker russi, che hanno pubblicato dei messaggi in cui affermano di aver ricevuto offerte di pagamento per postare simboli della pace e pubblicare messaggi in cui si racconta la Russia come impegnata a porre fine al conflitto.

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