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Twitter sta morendo, un thread alla volta

Più della crisi di Big Tech, più del possibile ritorno di Trump, più delle mattane di Musk, la fine del social si legge nell'ascesa inarrestabile e incomprensibile del thread.

di Arnaldo Greco

Chissà se Twitter è moribondo davvero o sta facendo semplicemente finta come quegli anziani che sperano di ottenere un po’ di affetto, ripetendo continuamente, però per anni, quanto la fine si appresti. Chissà che, però, il sintomo del collasso imminente non sia la crisi aziendale o l’eventuale ritorno di Trump o qualsiasi altra mattana di Musk, ma l’inarrestabile ascesa del thread (ancor meglio accompagnato dall’emoticon del gomitolo), il rapido e apparentemente inarrestabile aumento di thread che si registra nelle ultime settimane, su argomenti completamente casuali, senza alcuna attinenza col flusso delle altre cose del mondo.

Qualcosa è stato fatto contro il mansplaining, ma ancora troppo poco contro il ben più grave fenomeno del threadsplaining. Scorro la timeline e trovo un thread sulla vita di Rembrandt, un altro con dieci curiosità arcinote su un film del passato (peraltro trascurabile), uno con centodue consigli per usare al meglio un telefono che non ho, un capitoletto sui primati tratto chiaramente dal sussidiario di scienze e trasformato in dodici tweet, così stringato che quelle informazioni non basterebbero neanche a prendere sei. E, ovviamente, ognuno di questi thread ha quasi sempre come prima risposta la preghiera “please unroll”.

Tutto ormai può essere argomento per un bel thread. Dagli anniversari poco tondi per cui una volta si deridevano i quotidiani: oggi, 207 anni fa, finì il Congresso di Vienna. Chi rappresentava i vari paesi? E cosa ottenne? Thread. Ai ricordi di esami universitari: quindici anni fa ho letto l’Orlando Furioso all’Università e allora faccio un bel thread sui personaggi. Alle pagine di Wikipedia semplicemente riportate in un thread con l’aria di essere antichi appassionati di una certa materia e non semplicemente imbattuti casualmente in una pagina curiosa. Una volta c’erano i link agli articoli che servivano a questo scopo. Alcuni stavano su Twitter proprio per quello: incrociare segnalazioni, fosse pure quella di un pezzo che segnalava un’oscura vicenda di seguaci di Alessandro Magno rimasti a vivere per secoli nell’odierno Afghanistan. Ma, si sa, gli aspiranti giornalisti preferiscono offrire le proprie qualità gratis alle piattaforme, magari alternandole a lamenti su quanto paghino poco e siano chiusi i vecchi media. O forse sperano che qualcuno li noti e li assuma “per i tuoi bei thread”.

Intendiamoci, di thread belli ne esistono (ne dico uno tutto sommato recente, così che sembri un’affermazione meno vacua: Giuseppe Pastore ha raccolto gli spot da 30′ che grandi registi italiani dedicarono alle città sedi delle partite di Italia ‘90), ma quello che appare bizzarro è la necessità di improvvisarsi divulgatori, dopo tutte le altre trasformazioni obbligate degli ultimi anni, giornalisti, attivisti, influencer, opinionisti. E così thread sul Congresso del Partito Comunista Cinese, sul Festival di Sanremo (che ci starebbe pure, ma non a metà novembre), sui film della Pixar. Forse perché davvero tutte le cose sono state dette e allora ha più senso ricercare le più interessanti tra quelle già dette in passato invece di provare a elaborarne di nuovo. È pur vero che l’ansia e l’entusiasmo di voler trasmettere qualcosa che piace davvero sono comprensibili, così come il tentativo di contagiare qualcuno con la propria passione, che sia la storia o la pittura. Ma è evidente che questa trasmissione sperata non avvenga quasi mai. Ci sono solo altre informazioni che si affastellano e basta.

C’è una frase di Beppe Bergomi che mi pare sia molto utile, gliel’ho sentita dire in questi giorni, anche se non c’entra niente, almeno direttamente, coi thread: «Mai come quest’anno si è parlato dei mondiali di calcio del 1982. Per i dieci, venti, trent’anni non si è detto o fatto nulla. Quest’anno se ne parla in continuazione». Nel 1992 non c’era la nostalgia, d’accordo. Nel 2002 non c’era questa abbondanza di riviste, canali e piattaforme con la relativa necessità di produrre contenuti a raffica, va bene. Nel 2012 non c’erano i social e la necessità di avere sempre cose da dire e il bisogno di trovare anniversari per combattere il terrore di apparire afasici. Nel 2022, invece, bisogna tenere assieme tutto.