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Sorpresa, il film da guardare adesso è The Vast of Night

Disponibile su Amazon Prime, l’esordio alla regia di Andrew Patterson è un omaggio alla sci-fi di Ai confini della realtà. Ma anche tanto di più.

di Giuseppe Giordano

Una scena di The Vast of Night, di Andrew Patterson, su Amazon Prime Video

Proiettato in alcuni drive-in americani prima di essere rilasciato gratuitamente in streaming su Amazon Prime, The Vast of Night è il film da vedere per sopravvivere a questa surreale stagione estiva di sale chiuse, poltroncine centellinate e programmazione congelata a un paio di mesi fa. Se alcune recensioni (soprattutto all’estero, qui da noi si è purtroppo parlato poco di questa perla sci-fi) elogiano la fantascienza di The Vast of Night, forse è perché sembra catapultarci in un outer space ancora inesplorato dal genere. È la stessa sensazione che si prova guardando The Witch, The Babadook, Midsommar, It Follows, horror che hanno saputo vincere la resistenza del pubblico nei confronti di una tipologia spesso considerata troppo repellente o infantile per valere il prezzo di un biglietto. Si tratta di un filone espunto dalla categoria complessiva di riferimento e definito “elevated” .

The Vast of Night è fantascienza elevata? Una premessa. L’etichetta è utile a legare insieme una serie di approcci eccentrici ai codici del cinema dell’orrore, che condividono gli stessi valori produttivi: una messa in scena coraggiosa e molto curata, presenze paranormali come proiezione di un disagio psicologico, familiare o sociale, contaminazione con altri generi pur rimanendo sotto l’ombrello dell’horror. Se una definizione era necessaria, il contenuto semantico del termine “elevated” continua a destare qualche perplessità, dato che nulla mette Hereditary o Get Out al di sopra di Nosferatu o Vampyr. Né The Vast of Night al di sopra di Blade Runner o Metropolis.

Insomma, non si tratterebbe di un passo in avanti, ma di lato. In The Vast of Night abbondano i riferimenti all’estetica degli anni Cinquanta, la Golden Age della Fantascienza e uno dei decenni più ricchi di presunti incontri ravvicinati. La storia è quella di due giovani e dei loro tentativi di capire cosa diavolo sta succedendo durante una notte a Cayuga, New Messico, quando quasi tutti i quattrocento abitanti della cittadina fittizia sono alla partita della squadra di basket locale, mentre i pochi rimasti a casa cominciano ad avvistare strane presenze nel cielo. La prima inquadratura ci catapulta nel salotto di una tipica famiglia statunitense della metà dello scorso secolo: la televisione trasmette un episodio del Paradox Theater, citazione della serie tv Ai confini della realtà, costruendo un evidente parallelo tra lo schermo a tubo catodico del vecchio, ma all’epoca nuovo, focolare domestico e quello a cristalli liquidi dei nostri computer collegati a internet. In mezzo però c’è anche tanto cinema (Incontri ravvicinati del terzo tipo, It Came from Outer Space, L’invasione degli ultracorpi, La guerra dei mondi) e più di un riferimento allo Zeitgest della Guerra Fredda, quindi all’interpretazione più classica della metafora dell’alieno: una minaccia invisibile e continuamente operante di un altrui sconosciuto e impersonale.

Di internet naturalmente non si parla mai, eppure l’esordiente Andrew Patterson, che gira su una sceneggiatura scritta con lo pseudonimo di James Montague, evoca continuamente l’idea di progresso. I due giovani protagonisti passeggiano al centro di una strada buia, boscosa e deserta, mentre la telecamera li segue inquadrandoli di spalle. Lui è lo speaker della radio locale, lei invece lavora come centralinista. Mentre testano un registratore grande quanto una valigetta, all’epoca un magico ritrovato dei tempi moderni, la ragazza racconta di alcuni articoli comparsi su riviste pseudo scientifiche. Descrive automobili in grado di guidare da sole, scatolette capaci di far apparire un’immagine in diretta della persona con cui si parla e mezzi di trasporto dalla velocità supersonica. Mentre la ascoltiamo, noi non fatichiamo a ricordare le invenzioni degli ultimi dieci anni e a immaginare quelle dei prossimi dieci. Queste futuristiche e futuribili meraviglie hanno qualcosa in comune: sono il risultato dei reiterati tentativi dell’essere umano di superare il proprio isolamento entrando in connessione con sempre più persone nel minor tempo possibile.

È vero che di internet non si parla mai esplicitamente, ma la rete è di continuo evocata dal via vai dei personaggi tra alcuni punti di interesse all’interno della scenografia cittadina. I due protagonisti non smettono per un solo minuto di avvolgere intorno alle persone “sole” (come dicono nel film) una ragnatela di fili per comunicare, lei smistando le telefonate dal centralino, lui invitando gli ascoltatori a intervenire in diretta. Ciascuno dei testimoni possiede un brandello di informazione, attraverso il quale sarà possibile ricostruire una storia a partire da innumerevoli punti di vista. Fondamentali sono le possibilità di ascolto, ricerca e memorizzazione di telefono, radio e registratore, che rafforzano una visione positivista del progresso, strumento per allacciare esistenze lontane. Al contrario, gli alieni mettono in campo una serie di azioni uguali e contrarie a quelle dei due improvvisati investigatori, disturbando i segnali audio o prelevando con i raggi tiranti le vittime, quasi per interrompere la staffetta di testimonianze e lasciare gli elementi separati e indecifrabilii.

Il merito di The Vast of Night sta nell’aver costruito un’allegoria aperta e stratificata. Intendiamoci: il film è godibile anche se lo si legge alla lettera, cioè come un racconto di fantascienza che basta a sé stesso. Ma fatti, oggetti e situazioni non sono messi lì per puro caso. Se volessimo fare un ulteriore sforzo interpretativo, potremmo vedere negli ufo sospesi nel cielo di Cayuga una proiezione mentale della solitudine di quelle persone che, guarda caso, ne sono poi le potenziali vittime. E per fare quadrato con il concetto di un progresso che unisce, potremmo evocare i social network, dove nascono e crescono teorie strampalate su, appunto, navicelle e omini grigi. Perché come nell’elevated horror, anche in The Vast of Night la cifra simbolica è molto presente.

Forse siamo davanti alla nascita di un sottofilone che replica nella fantascienza quanto successo con l’horror, due generi tra l’altro strettamente imparentati. Oppure siamo di fronte a un gioco di scomposizione e ricombinazione che sta riguardando un po’ tutte le forme codificate del cinema, risultando, tra le altre cose, nella nascita della cosiddetta post-comedy. Qualsiasi cosa ci riservi il futuro, per adesso l’unico punto fermo è che The Vast of Night è un film bellissimo. Tutto il resto è una storia più grande di un singolo film, una storia di cui, forse, questo singolo film fa parte.