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04:15 martedì 18 novembre 2025
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.

Catalogare lo stile nel mondo, secondo The Sartorialist

Il suo blog è celebre per lo street style fuori dalle sfilate, ma oggi Scott Schuman è più interessato all'evoluzione dello stile, come documenta il suo ultimo libro. Lo abbiamo intervistato.

21 Ottobre 2019

«Hai presente il Gattopardo? Ecco, la moda è in questa fase. Tutto sta cambiando, ma tutto sarà come prima. Solo che non sappiamo quando, né in quale forma». È così che andrà a finire secondo Scott Schuman, meglio conosciuto come The Sartorialist.  Ce lo racconta durante il lancio del suo ultimo libro The Sartorialist – India, lo firma tra gli spazi di uno dei luoghi più cool di una città, Genova, che quando ha intravisto una tendenza, ha sempre fatto il giro largo. «È facile amare tutto questo» dice Schuman, alzando gli occhi verso i soffitti altissimi di “Garibaldi 12”, Lifestyle Store, pieno centro storico della città, un luogo immerso nella nobiltà, nel design, nell’esplorazione delle culture, in perfetta continuità con un mondo in cui gli scambi commerciali che generavano questi ambienti avevano la capacità attrattiva che oggi ha la creatività.

È qui che The Sartorialist ha scelto di presentare il suo ultimo lavoro – su carta – pubblicato da Taschen. La raccolta di immagini sull’India, naturalmente senza didascalie, è il primo di una serie di tre libri che Scott Schuman ha in programma di fare uscire sulle culture del pianeta. I prossimi due volumi riguarderanno il Sud America e l’Africa. «Sono tre aree del mondo nelle quali puoi trovare la più ampia diversità nei modi di vivere delle persone. Sono luoghi dove la vita può essere molto semplice e molto complessa, molto povera e molto ricca, molto isolata e molto connessa con il resto del mondo. E, di conseguenza, lo stile. È questo genere di contrasti, e in qualche modo di evoluzione, che mi affascina». 

Il fenomeno, nella sua semplicità, lo conosciamo. Quindici anni fa, The Sartorialist, nato in Indiana e arrivato a New York negli anni giusti, si occupa di moda. Ma dopo l’11 settembre la crisi rende difficile fare business in città, soprattutto se hai base a downtown, a pochi passi dalle Torri Gemelle. Si trova di fronte a problemi pratici, che possono essere risolti prendendo la via più difficile: prendere la macchina fotografica e creare uno stile. «Facevo molte fotografie ai miei figli. Ho pensato di uscire in strada e fare fotografie nel settore che meglio conoscevo, la moda. Sapevo di poter avere un punto di vista unico». È stato fin troppo paragonato a Bill Cunningham, fotografo in bicicletta nelle strade di Manhattan per il New York Times, solo che Schuman si allarga al mondo e sfrutta la tecnologia. Sono gli anni in cui nasce l’idea che se scatti una foto, poi puoi condividerla.

Uno dei ritratti di “The Sartorialist – India” (Taschen, 2019)

Così The Sartorialist scatta e posta, alimenta un blog senza commenti, pochissimo testo, solo immagini molto grandi di persone tagliate a tre quarti, sullo sfondo elementi molto riconoscibili delle città in cui viaggia, l’ordine di grandezza è da subito internazionale. I marchi iniziano a interessarsi a lui e al suo modo di documentare lo stile che fermenta al di fuori delle passerelle. È la nascita, o meglio la rinascita, dello street style in chiave contemporanea, pronto e condiviso. «Ho sempre scelto di condividere la vita delle altre persone, tenendo la mia avvolta in una sorta di mistero. Condividere la vita degli altri è sempre più interessante. E questa è stata la ragione per cui ho sempre cercato di mantenere un interesse verso nuove persone, nuovi Paesi. La gente, sui social media, ha paura di sfidare il proprio pubblico, cercano una comfort zone, sanno di poter contare su un certo numero di followers e di like, sono appagati così. Non sfidano il pubblico su un nuovo livello. Ma il pubblico è molto più intelligente di quanto pensiamo, e sfidarlo in questo senso è stata la ragione del successo di The Sartorialist».

«Le persone non si occupano della moda, tantomeno del business della moda, che è una nicchia per addetti ai lavori» continua Schuman «Senza dubbio, però, ogni persona è molto attenta alla propria identità. Mio padre non ha alcun interesse nella moda, ma sa bene che i suoi amici rispettano e riconoscono il suo stile. Insomma, pochi si occupano della moda, tutti si occupano dello stile». Schuman capisce anche che lo stile, più dei marchi, è quella cosa che sviluppa il senso di appartenenza, che genera gruppi, è il comune denominatore che aggrega. Se lo documenti in modo sistematico e per anni, otterrai un archivio. E se hai un archivio, avrai prodotto qualcosa che appartiene alla cultura. «Quando guardo il mio archivio, vedo qualcosa che va al di là della moda. Le mie sono immagini di moda, certo, ma sono soprattutto immagini sulla cultura che incontro quando attraverso i confini. Sono un catalogo dei tempi che viviamo». 

Tempi segmentati, in cui influenzare non significa rivolgersi a tutti, ma parlare alla nicchia che ti riconosce, con qualche scossone per le grandi strategie globali che generano fatturato. «In questo momento, i marchi di moda sono apparentemente in difficoltà, ma il problema è che sono alla ricerca del prossimo big look. E non lo hanno ancora trovato. E nessuno di noi sa che cosa potrà succedere. Tutto è molto segmentato in questo momento storico. Non c’è un look in grado di definire questa epoca. E poi, bisogna dire che è sempre la storia a decidere chi è il vincitore, a decidere che cosa resta di questi anni». La moda ha bisogno di essere storicizzata per essere capita, ci vogliono tempo e distacco per capire che cosa sono stati i dieci, i vent’anni appena passati. Solo che, quando l’avremo capito, tutto sarà cambiato e tutto sarà tornato come lo conoscevamo, senz’altro non nel modo in cui immaginavamo.

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