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Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Televisione in rosa

Due nuove serie raccontano l'emancipazione femminile negli anni '60. Ma fanno tanto "Mad Men in rosa"

04 Ottobre 2011

Esauritasi anche l’ultima stagione di Baywatch ambientata alle Hawaii, avevo cercato di colmare il vuoto che Mitch Buchannon aveva lasciato nella mia vita immaginando altre serie televisive di ambientazione collettiva. Mentre tracciavo l’albero genealogico delle relazioni sentimentali nate in 10 anni di guardiaspiaggia, prendevano forma i soggetti più inverosimili e i professionisti più gettonati, come medici, poliziotti e avvocati, cedevano il posto a bidelli, netturbini e farmacisti. Anche se Canale 5 soddisfò parzialmente una delle mie aspirazioni mandando in onda Commesse, spin off del programma che avrei volentieri intitolato Cassiere, molti dei gruppi umano-lavorativi che avevo sognato non videro mai la luce.

O almeno fino alla settimana scorsa, quando NBC e ABC hanno rispettivamente lanciato le serie The Playboy Club e Pan Am . La prima fondata sulle origini di Playboy e le sue conigliette, la seconda sulle hostess della nota e fallita compagnia di volo, hanno—o dovrebbero avere—in comune un gruppo di protagoniste donne e l’ambientazione retrò. Con le dovute eccezioni, sembrerebbe però che l’unione di “femminismo” e “anni ’60” non produca per forza una buona serie—anche se chi le ha inventate solo ora si guadagna facilmente il titolo di autore pigro.

Il confronto con Mad Men sorge infatti spontaneo e non rende affatto la vita più semplice alle due serie: entrambe, anche se siamo solo all’inizio, sembrano aver colto solo gli aspetti più superficiali del mondo che vorrebbero raccontare. Basti pensare al tremendo Eddie Cibrian, coprotagonista di The Playboy Club, nel ruolo di un avvocato dal passato torbido, ora dedito alla difesa dei diritti civili (con cliente di colore molto sorridente), mentre cerca di assumere le sembianze di Jon Hamm/Don Draper sollevando pesanti bicchieri di alcolici un po’ troppo chiari per essere Bourbon o Scotch (ma forse sono solo i pubblicitari a bere robe forti, chissà). Oppure si potrebbe ricordare ai creatori di Pan Am che infilare reggiseni a punta sotto tailleur azzurri non basta per dare vita a tante Peggy Olson paladine delle pari opportunità, soprattutto se hanno il volto di Christina Ricci che rassicura un gruppo di cubani appena recuperati dalla Baia dei Porci in quel 1963 (come si precipitano a specificare le didascalie) gridando “No pasa nada!” (ma del resto ci stanno raccontando l’emancipazione delle donne durante la guerra fredda, cosa ci aspettavamo?).

Ma non andiamoci giù troppo pesante: non abbiamo chiesto un altro Mad Men e tutte le variazioni sul tema sono, almeno in linea di principio, ben accette. Sia Pan Am che The Playboy Club regalano infatti alcuni spunti interessanti, così come un paio d’attrici a cui bisognerebbe essere già da tempo affezionati.

Le donnine delle due serie hanno in comune un obbligo professionale: non essere sposate. A questo livello di profondità, per ora, si ferma il femminismo delle protagoniste. L’elemento di “incollamento” delle due serie non va infatti cercato nelle quote rose, ma negli intrecci secondari. The Playboy Club recupera così la “questione omosessuale”, lì dove l’aveva lasciata l'(italo) art director Salvatore in Mad Men, e lo fa con Alice, coniglietta lesbica che lavora sodo per fondare la Mattachine Society assieme al marito molto gay, sposato per convenienza e interessi sessuali comuni. Evidentemente la serie—rivista personalmente da Hugh Hefner—deve avere particolarmente a cuore le rivendicazioni sociali dell’epoca (o forse sola poca fantasia), perché oltre a donne e omosessuali, ecco un assaggio della condizione degli afroamericani, incarnata dalla prima “chocolate Bunny”, Naturi Naughton (piccoletta sorridente che alcuni ricorderanno nei panni della fidanzata di colore di Paul Kinsey, il copy barbuto e rivoluzionario di Mad Men). Pan Am, nonostante nata dall’unione della forza tra Jack Orman (ER) e Thomas Schlamme (l’altro che non è Sorkin di West Wing), è invece più fiacchina e cerca di evitare la claustrofobia da aeroplano con ripetuti flashback che, un po’ alla Lost, introducono i vari personaggi. Sorvolando sulla fissazione dell’ABC con le serie che hanno a che fare con aerei, la nostra capo hostess non solo è un’impavida rossa che rifiuta le convenzioni del matrimonio, ma fa pure la spia! Così i pernottamenti delle cinque assistenti di volo a Roma o Londra vengono giustificati sì da episodi di oh-mamma-ecco-la-liberazione-sessuale, ma soprattutto dalle missioni assegnate alla protagonista, nuova recluta dei Servizi Segreti e altra attrice che dovreste conoscere, Kelli Garner (The Thumbsucker, The Aviator, Lars e una ragazza tutta sua).

Ma se in Mad Men ambientazione storica e personaggi ricevevano reciprocamente giustificazione  in termini di verosimiglianza, tematiche e profondità d’intreccio, proponendo un prodotto estremamente intelligente ma non per questo di difficile fruizione e anzi punto di riferimento per riflessioni valide ancora oggi, Pan Am e The Playboy Club sembrano avere obbiettivi molto più modesti. Anche se entrambe sembrano proporre un progetto molto ambizioso, volendo competere con un drama che forse ha fondato un genere, sfruttandone lo stesso periodo storico e la stessa iconografia nostalgica, queste due serie vanno al sodo e cercano solamente di raccontare qualcosa che ci basti per vedere la puntata successiva. Gli anni Sessanta si ritrovano qui solo come un contenitore generico, offrendo lo stesso spunto esotico e d’atmosfera che potevano avere isole sperdute nel Pacifico o corridoi d’ospedale in altre serie di successo. La Storia di quegli anni appare così più che un tempo, un luogo, uno spazio che siccome è diverso da quello consueto e ordinario, basta in sé per legittimare il proseguire della narrazione e ospitare una collettività di personaggi “strani”. Più classicamente in The Playboy Club (un omicidio involontario da insabbiare) e in modo meno riuscito in Pan Am (il training di una nuova hostess e quello della sorella già hostess ora anche spia), entrambe offrono azioni che, pur solleticando un po’ la nostra curiosità, potrebbero comunque accadere ovunque e dappertutto.

. Con una nota positiva, però: senza agitarsi come in Alias o brutalizzarsi come in Desperate Housewives, forse le storie d’azione hanno trovato finalmente un loro spazio (anche se nel passato) tra le donne.

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