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07:03 domenica 21 dicembre 2025
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C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Una maledetta domenica di cinquant’anni fa

Il 30 gennaio del 1972 quel Bloody Sunday marchio indelebile della storia inglese raccontato in una mostra fotografica di Gian Butturini a Milano fino al 6 marzo.

30 Gennaio 2022

Non c’è quasi mai colore quando si parla del Bloody Sunday, dove il termine inglese bloody significa sanguinoso ma anche maledetto. Un po’ perché le immagini sgranate che ci sono arrivate da quella domenica a Derry sono sempre state in bianco e nero. E un po’ perché l’intero racconto dei “Troubles” (così spesso viene chiamato il conflitto etnico-nazionalista nordirlandese) è stato costantemente circondato da una strana coltre nebbiosa, capace di appiattire qualsiasi tonalità, in inverno come in estate.

Tutti i reportage che testimoniano quella tragedia portano con sé questo marchio cromatico. Come gli scatti di Gian Butturini, ex interior designer con la passione per la fotografia, in scena da Still fotografia a Milano fino al 6 marzo con la mostra Londra 1969-Derry 1972. Un fotografo controUn tour in cinquanta scatti dominati da atmosfere cupe, barricate, cavalli di frisia, fili spinati, soldati armati di mitragliatori, auto bruciate ai lati delle strade che da Londra ci porta dritti nel quartiere di Bogside a Derry, teatro della mattanza.

Sono passati cinquant’anni da quel 30 gennaio del 1972, quando il 1° Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico, già accusato dell’eccidio di Ballymurphy a Belfast nel 1971 in cui hanno perso la vita undici civili, decide di aprire il fuoco contro i manifestanti cattolici a Derry. Quel giorno in città si svolge una gigantesca manifestazione organizzata dalla Northern Ireland Civil Rights Association per protestare contro contro l’introduzione dell’internamento di alcuni sospetti membri dell’IRA senza processo decisa dal governo. In quindicimila rispondono all’appello (anche se per gli inglesi non si superano le tremila unità, questione di zeri). Inizialmente la marcia avrebbe dovuto raggiungere il centro città, ma il percorso viene prontamente bloccato dalle barriere dell’esercito britannico. Scoppiano dei tafferugli. Normale amministrazione da queste parti. Sembra un giorno come mille altri. Ma non sarà così. Il corteo piega verso Rossvill, fino al quartiere di Bogside, nella profonda e limacciosa periferia di Derry. Quando la marcia arriva a Creggan, un complesso di case popolari rosso mattone, si scatena l’inferno. L’esercito apre il fuoco per la prima volta alle 15:50 e compie un massacro che resterà per sempre come un marchio indelebile nella storia inglese (oltre che nella storia della musica pop, grazie al famosissimo pezzo degli U2).

Il primo a morire è John Duddy, 17 anni. Testimoni racconteranno di aver visto un militare sparargli contro deliberatamente. Il soldato testimonierà di aver visto il ragazzo armato. Ma non è così. Poi è la volta di Michael Kelly, Kevin McElhinney, Hugh Gilmour, John Young, Gerard “Gerry” Donaghy, tutti diciassettenni, a cadere sotto i colpi dei paracadutisti di Sua Maestà. I proiettili schizzano ovunque. Tutti ad altezza d’uomo. Il diciannovenne William Nash viene ammazzato davanti a una barricata, il ventenne Michael McDaid mentre è rannicchiato dietro una macchina. Il ventiduenne James Wray è colpito alla schiena mentre scappa nel parcheggio del Glenfada Park e poi finito con un’altra pallottola quando è ormai a terra esanime. Una carneficina senza fine. Il ventiseienne William McKinney viene colpito anche lui alle spalle e crolla sull’asfalto. Gerard McKinney ha dieci anni in più di lui ed è ucciso a sangue freddo mentre si è già arreso e se ne sta con le mani alzate. “Non sparate! Non sparate!”, dice. Niente da fare. La morte di Patrick Doherty, 31 anni, è immortalata nelle immagini del fotoreporter francese Gilles Peress e diventerà un simbolo di questo scempio. Si cade come birilli. I soldati non fanno alcuna distinzione fra rivoltosi e manifestanti pacifisti. Fra ribelli e soccorritori. Bernard McGuigan, 41 anni, è ferito a morte mentre sventola un fazzoletto bianco. John Johnston, 59 anni, muore quasi per caso. Non ha nulla a che fare né con la manifestazione né con l’Ira. Sta andando a casa di un amico a Glenfada Park, ma viene colpito a una gamba e a una spalla. Morirà quattro mesi dopo.

Alla fine il bilancio è pesante: i feriti sono ventisei, i morti  – come detto – quattordici, i colpi sparati, oltre un centinaio. Tutto dura circa dieci minuti. Forse qualcosa in più. Subito dopo il massacro, alla Camera dei Comuni di Londra, il ministro degli interni Reginald Maudling dirà che i paracadutisti hanno semplicemente risposto agli attacchi di alcuni sospetti membri dell’IRA che stavano usando armi da fuoco e bombe a chiodi. Ma nulla di tutto questo corrisponde a verità. I testimoni oculari − compresi giornalisti britannici e irlandesi − affermeranno di aver visto i militari sparare deliberatamente sia contro gente in fuga che contro chi prestava aiuto ai feriti. Un dato più di altri avvalorerà queste deposizioni: nessun soldato inglese resta ferito, nessun proiettile o bomba a chiodi viene trovata sul campo di battaglia. Il 2 febbraio 1972, giorno dei funerali, l’Irlanda fa da scenario al più grande sciopero generale organizzato in Europa nel dopoguerra.

Dopo la strage di Bogside nulla sarà più come prima. L’esercito britannico, inizialmente accolto con caramelle e cioccolato, diventa un nemico da distruggere. In ogni angolo dell’Ulster cresce il risentimento, portando un aumento vertiginoso di adesioni all’Ira, l’Irish Republican Armyche non aspettava altro. Solo nel 2010, praticamente l’altro ieri, dopo due inchieste e anni di insabbiamenti, il governo di Londra ammetterà le sue colpe, riconoscendo che nessuna delle vittime fosse una minaccia per i militari e che le azioni di questi ultimi furono totalmente prive di giustificazione. Decisamente fuori tempo massimo.

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