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Stefano Colombo e l’eredità di Colmar

Il giovane imprenditore monzese racconta sfide e prospettive della storica azienda italiana.

di Serena Scarpello

Stefano Colombo, illustrazione di Felix Petruška.

StudioNext racconta le nuove generazioni delle aziende italiane che hanno fatto la storia. Dalle sfide del mondo digitale al rinnovamento dei modelli di business, parleremo di opportunità, di confronto con le generazioni precedenti e di come intendono lasciare il loro segno nella cultura aziendale.

Stefano Colombo nasce a Monza nel 1985, quarta generazione della famiglia che ha fondato l’azienda di moda Colmar. Nel 1923 i suoi bisnonni decisero di intraprendere una strada imprenditoriale indipendente e iniziarono così a produrre cappelli e tute da lavoro, per approdare poi al mondo dello sci dopo la Seconda guerra mondiale. Da loro, dai suoi nonni e da suoi padre, Stefano ha ereditato non solo la grande passione per lo sport ma anche umiltà e razionalità.

Colmar ha quasi 100 anni. Come inizia il percorso che ne ha fatto quello che è oggi?
Uno dei soci dei miei bisnonni, Irma e Mario Colombo, era Vittorio Fossati Bellani, Presidente della Federazione Italiana Sport Invernali ed è anche grazie a lui che Colmar iniziò ad avere una certa credibilità all’interno di questo mondo. Uno degli eroi dello sci italiano, Zeno Colò, grande innovatore, ci mostrò l’esigenza di indossare capi che fossero aereodinamici (al tempo si sciava ancora con delle magline in lana fatte di bottoni resistenti) anche in discesa libera. Si mise così lui stesso a studiare con la mia bisnonna, che era prima di tutto una sarta, una soluzione per rendere la guaina aderente al corpo: lei prese ispirazione dai corpetti indossati dalle donne del tempo in tulle e tessuto elastico. Nacque la prima tuta ergonomica, antesignana delle tute da gara che vediamo adesso. Con quella tuta Zeno Colò vinse alle Olimpiadi di Oslo del ’52. Lo sci poi divenne lifestyle e Colmar si trasformò in un importante hub per la distribuzione di brand come adidas per diversi anni e tutt’ora di Lacoste.

Che rapporto avevi con i tuoi nonni?
Mio nonno era molto attento alle evoluzioni ma anche molto cauto nell’approcciarle, per esempio non voleva che si utilizzassero le mail a suo tempo… abbiamo dovute installare di nascosto! Era conscio dell’importanza dell’impatto delle nuove tecnologie ma al contempo voleva sottolineare la forza del modello di business che aveva creato negli anni.

E dei social cosa avrebbe detto?
Probabilmente avremmo fatto di nascosto anche quello. Ma poi gli sarebbero piaciuti!

Hai fatto il tuo ingresso in azienda nel 2010. Cos’hai aggiunto di tuo in questo primo decennio?
Credo di aver messo un po’ in discussione quello che c’era prima, portando idee fresche ma anche entusiasmo e spinta in avanti. La prima cosa di cui sono contento è il team di lavoro, dopo questi dieci anni lo sento inevitabilmente più mio. Negli ultimi anni hanno fatto ingresso in azienda molte persone giovani, le persone che già c’erano hanno trovato nuovi stimoli, alzato lo standard, cambiato idea. Inoltre quando sono arrivato la parte digital non era ancora veramente sviluppata e i social network non venivano utilizzati. Oggi siamo su 7 piattaforme social, abbiamo un sito e-commerce che vende 40 mila capi ogni stagione, e tanti progetti ancora da sviluppare. Infine, credo di aver dato un mio contributo sull’evoluzione del posizionamento del brand e sul suo percepito: oggi è rilevante a livello internazionale, abbiamo 10 negozi di proprietà più altri 7 in franchising, con un nuovo concept molto moderno costruito su uno storytelling che vuole regalare una certa esperienza al consumatore.

Come ti confronti con tuo padre e i tuoi zii nel lavoro di tutti i giorni?
Mio padre è Il presidente, oggi meno presente in azienda ma ci confrontiamo continuamente. I cugini di mio padre sono all’interno del consiglio di amministrazione in qualità di Ad, e con loro il livello di cooperazione è maggiore perché sono più operativi all’interno dell’azienda. C’è fiducia reciproca e molti momenti di confronto basati su analisi logiche.

Come sarà il 2020 di Colmar?
Abbiamo appena presentato il nuovo talent, ospite di Colmar Age (Advance Garment Exploration), che vuole essere uno spazio in cui designer, artisti e  creativi possono confrontarsi e lavorare sul nostro archivio per reinterpretarlo, a seconda della nostra cifra stilistica. Ed è proprio in questa “camera degli ospiti” che è nata la collaborazione con il giapponese Yosuke Aisawa e una contaminazione di visioni diverse ma che hanno molto in comune. La mentalità giapponese è molto più simile a quella italiana di quanto ci si immagina: le nostre culture sono infatti accomunate da una grande conoscenza dei materiali e dall’importanza delle forme. Abbiamo lavorato molto bene insieme ed il risultato sta riscuotendo davvero un ottimo successo. Questo è proprio uno di quei progetti che servono a portare la ventata di novità di cui parlavo prima: un livello di design più elaborato, soluzioni innovative e delle reinterpretazioni anche forti. Sono tutti strumenti che impattano sul marketing anche a livello commerciale, ma soprattutto permettono di spingere sempre di più verso il futuro.