Industry | Dal numero

Un anno di Starbucks

Com’è andato il primo anno italiano della Roastery di piazza Cordusio? Lo racconta in un’intervista Giampaolo Grossi, General Manager Starbucks Italy.

di Serena Scarpello

Tutte le fotografie sono di Federico Floriani

La Starbucks Reserve Roastery di Milano ha uno strano fascino che fa pensare un po’ ai barber shop anni ’30, ma rivisitati in chiave moderna, un po’ alla città di Dubai, dorata e ovattata, ma con un tocco in più di autenticità. Il 6 settembre 2018 Starbucks metteva piede per la prima volta a Milano con l’inaugurazione di questo immenso concept store del caffè, al quale sono seguite le aperture dei core store – quelli del frappuccino per intenderci – di piazza San Babila e corso Garibaldi. Ma come è andato questo primo anno in Italia? L’abbiamo chiesto a Giampaolo Grossi, General Manager Starbucks Italy Srl. Dalla piantagione delle Palme in Piazza Duomo (con polemiche annesse) alle file del sabato.

ⓢ Vi aspettavate questo successo?
Ci speravamo. In un anno siamo riusciti a incuriosire la città di Milano, dagli italiani ai turisti che arrivano ogni giorno da tutto il mondo. La ragione per la quale Howard Schultz decise di non arrivare prima era legata al fatto di volersi presentare alla città con il concetto Roastery, più vicino culturalmente a noi italiani. Oggi siamo il flagship di Emea, e ne siamo orgogliosi.

ⓢ Qual è l’identikit del vostro ospite medio?
La Roastery è aperta dalle 7 di mattina alle 11 di sera ed è incredibile come cambi pelle durante il giorno a livello di luci, emozioni, musica, movimenti, tostatura e di conseguenza, ospiti. Il cliente della mattina appartiene alla categoria business people: quelli a cui piace l’ambiente in cui si trovano. Dalle 9:00 in poi arriva il mondo del fashion e del retail. Dalle 11 alle 15 raggiungiamo il picco della giornata con i turisti, alle 18 se ne vanno e tornano quelli delle 7 della mattina, che vengono per rilassarsi davanti a un aperitivo e per ascoltare un po’ di musica. Iniziamo ad avere i clienti regolari anche dopo le 21. Per quanto riguarda la forma mentis, il nostro cliente è aperto a nuovi orizzonti e quando varca la prima porta e poi la seconda apprezza il fatto di entrare in una nuova dimensione.

ⓢ Quante persone ci lavorano oggi e qual è l’identikit del candidato ideale?
Oggi siamo oltre 150 persone tra retail, manufacturing, persone dedicate al finance, alle risorse umane. Abbiamo il supporto in vari dipartimenti a livello Emea e a livello americano. Il candidato ideale che vuole entrare a lavorare da Starbucks deve avere innanzitutto due soft skills, e cioè umiltà e rispetto. Poi ci sono le hard skills: dinamicità, elasticità, capacità di apprendimento, capacità di lettura cioè convenienza, o meglio “convenience”, in inglese. Noi siamo pronti a darti l’esperienza di un espresso semplice, veloce, all’italiana, ma allo stesso tempo siamo pronti ad accoglierti e a farti conoscere sfaccettature che ruotano intorno alla cultura del caffè. Per me la capacità di lettura si allaccia alla convenience: servono a soddisfare le esigenze del cliente.

ⓢ Come è diventato sostenibile un posto così?
La bellezza della Roastery sta nel fatto che noi riusciamo a trasmettere al cliente il senso della provenienza dell’origine del caffè. Per esempio, organizziamo dei viaggi in Costa Rica e in Ruanda così da far conoscere ai nostri dipendenti le persone che raccolgono i singoli chicchi di caffè. Qui produciamo 40 kg di caffè (per farne uno ci vogliono circa 9 grammi) che viene poi servito ai clienti, venduto nei sacchetti, e spedito in tutti i Reserve Stores di Starbucks di Emea. Ma il core business della Roastery è il fattore esperienziale: è nata perché l’azienda desiderava raggiungere un livello superiore, mostrare al mondo cosa c’è dietro alla produzione del caffè attraverso quello che potrei definire un nuovo concetto di retail.

ⓢ I vostri ospiti più pop?
È venuto Tim Cook. Ha voluto sapere tutti i minimi dettagli, mi ha chiesto di entrare dietro il bancone del bar. Da quell’incontro che doveva durare qualche minuto ed è durato tre ore sta nascendo una bella joint venture con Apple di Piazza Liberty, che mi ha invitato insieme ai ragazzi: loro gli fanno training sugli smartphone e noi andiamo a servirgli il caffè in Apple store. È venuto Gabriele Muccino con il quale ho trovato un senso di visione comune; Fabio Volo, Lewis Eisenberg, l’ambasciatore americano in Italia, il Re del Qatar. Infine la mamma di uno dei nostri dipendenti, una signora di ottant’anni che mi ha ringraziato perché da quando lavora qui la figlia è tornata a sorridere.

Giampaolo Grossi, General Manager Starbucks Italy Srl (foto di Federico Floriani)

ⓢ Quali sono i prossimi passi di Starbucks?
A livello mondiale, la Roastery di Chicago sarà la sesta apertura mentre in Italia per ora è previsto un consolidamento sulla città di Milano. Inoltre il Comune di Milano ha lanciato la bonifica di Piazza Cordusio che dal 2020 sarà ancora più pedonale, mentre a settembre arriverà Uniqlo proprio affianco a noi. Davanti al vecchio palazzo Unicredit, invece, verrà aperto un grande mall. Sopra la Roastery arriverà infine Jp Morgan a novembre, con quattrocento persone. Siamo in un punto nevralgico della città e questo ci rende ancora più interessanti agli occhi del mondo. In futuro mi piacerebbe supportare Starbucks nel “fare cultura” in un modo più formale e che possa interessare non solo gli amanti del caffè ma tutti.

ⓢ Il primo bar aperto da Howard Schultz a Seattle nel 1983 si chiamava Il giornale, in onore ai quotidiani che aveva visto sfogliare nei bar italiani durante la colazione. Oggi avete un’edicola vera e propria dentro la Reserve. Un filo rosso lungo 35 anni?
Esatto. Abbiamo questo corner con alcuni quotidiani e riviste selezionate italiane e internazionali che si sposano con lo stile della Reserve. È quella chicca in più che contribuisce alla magia di questo posto. E poi caffè e giornale, quindi cultura e informazione, sono ancora inscindibili.