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La nuova tendenza nell’industria del beauty è vendere prodotti di bellezza anche a bambine di 3 anni Da anni si parla di Sephora Kids, ma adesso ci sono storie che riguardano bambine addirittura più piccole.
Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.
Per la prima volta è stata pubblicata la colonna sonora di Una mamma per amica In occasione del 25esimo anniversario della serie, su tutte le piattaforme è arrivata una playlist contenente i migliori 18 brani della serie.
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
A Buckingham Palace si terrà la più grande mostra di sempre sui vestiti della regina Elisabetta Si intitola Queen Elizabeth II: Her Life in Style, in esposizione ci saranno più di 200 vestiti. Apre il 10 aprile.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.

Come Solange ha trovato se stessa

Dal nuovo disco alla performance al Guggenheim a 30 anni la sorella della creatura sovrannaturale chiamata Beyoncé sembra aver scoperto chi è.

25 Maggio 2017

Le grandi opere richiedono tempo, ma forse anche le grandi donne richiedono tempo: una ragazza cresce, si evolve, sbaglia e soffre, e quando alla fine ritrova se stessa, quando riesce a mettere insieme tutti i pezzi, e dare forma a un’immagine di sé convincente, prima di tutto nella sua mente e poi fuori, quello che ottiene è un piccolo capolavoro, una luce, fatta di consapevolezza e solidità, che si vede da lontano e splende anche al buio. Solange Knowles, sorella di una creatura sovrannaturale che siamo soliti chiamare Beyoncé, a 30 anni sembra aver finalmente trovato una voce, e sappiamo che per un artista non c’è niente, nella vita, che possa essere paragonato al momento in cui ti accorgi che hai trovato la tua voce. Ed è molto più bello quando trovi una voce, o te stessa, dopo tanto tempo e qualche sbaglio. Te la godi di più.

Dopo due dischi piuttosto inefficaci, sia a livello musicale che d’immagine – Solo Star, uscito quando Solange aveva appena 14 anni e Sol-Angel and the Hadley St. Dreams, realizzato a 22, A Seat at the Table ottiene un enorme successo e un guinnes dei primati: è la prima volta che due sorelle soliste hanno i loro dischi al numero uno nello stesso anno. Finito di registrare 3 giorni prima del suo trentesimo compleanno e cominciato a scrivere e immaginare quando ne aveva 23 («I literally gave up my sanity for a while to do this record», raccontava a Vibe nel 2010), il disco è privo di singoli, pieno di ottime collaborazioni (il consistente aiuto di Raphael Sadiq e i contributi di Kelela, Sampha e Blood Orange, tra gli altri) e fluisce come un lungo fiume tranquillo, anche se i testi sono pieni di rabbia (ma una rabbia perfettamente controllata, domata con rigore, manipolata così tanto che i suoi spigoli aguzzi sono diventati belle forme rotonde).

E a proposito di rotondità, in questi giorni una performance al Guggenheim Museum, An Ode To, ha fatto parlare di lei. Insieme a Werner Herzog e Gucci Mane, Solange è stata scelta per l’edizione 2017 del Red Bull Music Academy Festival, che si è tenuto a New York tra il 29 aprile e il 21 maggio. L’evento di Solange, che ha avuto luogo il 18 maggio, imponeva agli spettatori due regole: vestirsi di bianco e deporre i cellulari all’ingresso. Costretti a guardare quello che succedeva intorno a loro senza il filtro dello schermo e a tenere le mani vuote: gli spettatori sono stati invitati a disporsi lungo i piani della leggendaria rotonda di Frank Loyd Wright, lasciando i primi 4 liberi. La performance ha occupato i primi piano del museo e il centro. C’erano musicisti, ballerine – tutti a piedi nudi –  e c’era lei, Solange, che cantava le sue canzoni, tutte riproposte in versioni inedite. La cantante ha chiuso lo show con una riflessione sulla cultura nera, su come è stata a lungo esclusa dalle istituzioni e sulla necessità di creare una comunità solida e unita. «I’m not into institutions», ha detto ad esempio, «I care about seeing your faces». Un discorso commovente che tutti gli articoli hanno riportato, ma a cui un bellissimo pezzo di Sasha Bonet ha reso davvero giustizia.

Basta guardare le fotografie di An Ode To per capire che si tratta di qualcosa di veramente bello e speciale. Solange è riuscita a sfruttare una specifica modalità di fare e fruire l’arte che solo una struttura architettonica come quella del Guggenheim consente: ha davvero creato un pubblico che è parte dell’opera e, in questo specifico caso – un concerto – un pubblico che non sparisce nell’ombra della platea, un pubblico che ha potuto davvero guardare in faccia, ma ha anche creato un’esperienza di incredibile bellezza: un insieme di musicisti e ballerini che interagiscono con le forme e gli spazi – i suoni che provenivano da diversi piani della spirale – il tutto con un’intensità estetica e umana che ha fatto pensare a una messa, un rito spirituale di comunione e unità.

Sembrano lontanissimi i giorni in cui sentivamo parlare di lei soltanto in occasione dei Met Gala, perché aveva menato Jay Z in ascensore, o per i suoi outfit sfoggiati sul red carpet – sempre ironici, intelligenti e raffinati – l’ultimo in occasione della mostra di Comme des Garçons – in netto contrasto con le meravigliose e opulenti tamarrate della sorella. Un altro momento di fama è stato il suo matrimonio con il fidanzato di lunga data e video director Alan Ferguson. Fotografie meravigliose per Vogue, cambi d’abito stupefacenti, un tenerissimo video in cui lei e il figlio ballano una coreografia (Solange è rimasta incinta a 17 anni, subito dopo essersi sposata con il suo ex marito), l’arrivo degli sposi in bici, una crisi di orticaria, tutti gli invitati in bianco: insomma, un matrimonio di cui è stato bello parlare, non soltanto per via di Beyoncé e Jay Z.

Ma adesso Solange torna su Vogue – sulla copertina di Teen Vogue, nello specifico – in vesti completamente diverse, e cioè non in quanto sposa ma come un’artista che apre il suo cuore, scrivendo una toccante lettera a se stessa teenager che è una specie di autocelebrazione. Un estratto: «Ci saranno periodi in cui sarai così triste che non riuscirai nemmeno a sollevare la testa, e ci saranno periodi in cui sarai così felice che la sensazione della vita ti colpirà. Ma soprattutto, ci sarai tu. Ce ne sarà un sacco, di te, e ti sentirai bene quando vedrai chi è e chi sta diventando».

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Tutto quello che fa ultimamente è perfetto e piace a tutti. L’immagine che Solange sta vendendo è molto simile alla nuova versione di sé che Beyoncé ha proposto con Lemonade: fieramente nera e fieramente femmina, politicamente impegnatissima e entusiasta, decisamente più intellettuale e raffinata rispetto al passato. Ma Lemonade è un prodotto gridato con un’ugola d’oro, un disco confezionato per raggiungere tutti che non si dimentica mai della necessità di piacere a tutti. Quello che rende Solange diversa è qualcosa che manca del tutto a Beyoncé, e cioè la capacità – rarissima – di essere insieme protagonista dell’opera e al tempo stesso sparire, lasciare spazio a un’idea astratta e molto precisa di bellezza e di ordine, a una propria speciale visione del mondo.

Tutto quello che adesso fa Solange è elegante. Il suo blog. Il suo sito. La sua etichetta discografica. Di sicuro ha dimestichezza con l’arte, oltre che con la moda, la musica e la danza. Beyoncé e Jay Z hanno una collezione d’arte contemporanea importante anche se abbastanza segreta (si sa che ci sono opere di David Hammons e Richard Prince). Ma il loro modo di fare è così profondamente pop da relegarli al ruolo di compratori dell’arte contemporanea, non certo di artefici. Il loro modo di fare è quello che l’anno scorso ha creato il fenomeno globale degli “art selfies” – selfie davanti alle opere d’arte – per incoraggiare i giovani a visitare i musei, hanno detto i sostenitori del movimento.

Insomma, Solange è il lato hipster, indie e arty che Beyoncé non contempla, almeno non nel suo stile. Molto deve sicuramente a Carlota Guerrero, fotografa e art director di Barcellona che l’anno scorso ha diretto la sua performance in occasione dell’ampliamento della Tate e che racconta di essere stata scoperta da Solange su Instagram. Molto deve sicuramente a un sacco di persone. Ma dietro a tutto c’è il suo gusto, la capacità di aver costruito uno stile che coniuga calma, lentezza, equilibrio, delicatezza: un’indipendenza dello sguardo che non dev’essere stata facile da conquistare, con le pressioni per diventare famosa fin da piccola, una sorella che famosa era già e per cui si ritrovava a fare da baby ghostwriter (“Why Don’t You Love Me”, la mia canzone preferita di Beyoncé, l’ha scritta lei).

Poi c’è il solito rischio che la cultura pop possa rimasticare e ridurre l’orgoglio black a una serie di immagini superficiali come recentemente ha fatto con il femminismo. Se l’estetica di una comunità in lotta diventa pervasiva – sbandierata ovunque anche quando non sarebbe necessario – si confonde e si indebolisce: il femminismo diventa come il corso di yoga a cui iscriversi quando la vita è troppo noiosa, diventa un insieme di pose e discorsi che non scavano affatto in profondità, ma diventano anzi una scusa per chiudersi, auto ghettizzarsi, fraintendere. Solo chi ha sofferto l’essere nera e l’essere donna e ha imparato a trarre forza da entrambe le condizioni conosce il cuore profondo di questi movimenti. Esserne cantori senza svilirli o semplificarli è difficile. Solange e sua sorella, nell’ambito eccezionale di una vita più che privilegiata, pensano oggi di avere qualcosa da dire in proposito. Beyoncé lo fa con grinta, Solange con grazia. E io continuo a chiedermi se un equilibrio tra pop, arte e impegno sociale sia davvero possibile.

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