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ATM ha messo online l’archivio delle sue vecchie campagne e sono bellissime I manifesti, i depliant e le locandine di Azienda Trasporti Milanesi riflettono l’evoluzione del costume e della società milanese.
Anche quest’anno, il solito Tommaso Debenedetti ha diffuso la solita fake news sull’improvvisa morte del vincitore del Nobel per la Letteratura L'autodefinitosi «campione italiano della menzogna» prosegue così la sua lunga striscia di bufale a tema letterario, stavolta la vittima è László Krasznahorkai.
ChatGPT ha lanciato il suo browser con il quale vuole fare concorrenza a Google Chrome Si chiama Atlas, integra l’AI sin dalla barra di ricerca e aspira a insidiare il primato del web browser più utilizzato al mondo di Chrome.
Per due volte la Rai ha prima annunciato e poi cancellato la trasmissione di No Other Land e non si sa ancora perché È successo il 7 ottobre e poi di nuovo il 21. Al momento, non sappiamo se e quando il film verrà reinserito nel palinsesto.
A causa del riscaldamento globale, per la prima volta nella storia sono state trovate delle zanzare in Islanda Era uno degli unici due posti al mondo fin qui rimasto libero dalle zanzare. Adesso resta soltanto l'Antartide.
È uscita una raccolta di racconti inediti di Harper Lee scoperti nella sua casa di New York dopo la morte Si intitola La terra del dolce domani e in Italia l'ha pubblicata Feltrinelli.
A Teheran hanno inaugurato una stazione della metropolitana dedicata alla Vergine Maria La stazione si chiama Maryam Moghaddas, che in persiano significa proprio Vergine Maria, e si trova vicino alla più grande chiesa della città.
Cercando di uccidere una blatta, una donna in Corea del Sud ha scatenato un incendio in cui è andato distrutto un appartamento ed è morta anche una persona La donna ha usato un lanciafiamme fatto in casa con un accendino e un deodorante spray. La sorte della blatta al momento non è nota.

Come Solange ha trovato se stessa

Dal nuovo disco alla performance al Guggenheim a 30 anni la sorella della creatura sovrannaturale chiamata Beyoncé sembra aver scoperto chi è.

25 Maggio 2017

Le grandi opere richiedono tempo, ma forse anche le grandi donne richiedono tempo: una ragazza cresce, si evolve, sbaglia e soffre, e quando alla fine ritrova se stessa, quando riesce a mettere insieme tutti i pezzi, e dare forma a un’immagine di sé convincente, prima di tutto nella sua mente e poi fuori, quello che ottiene è un piccolo capolavoro, una luce, fatta di consapevolezza e solidità, che si vede da lontano e splende anche al buio. Solange Knowles, sorella di una creatura sovrannaturale che siamo soliti chiamare Beyoncé, a 30 anni sembra aver finalmente trovato una voce, e sappiamo che per un artista non c’è niente, nella vita, che possa essere paragonato al momento in cui ti accorgi che hai trovato la tua voce. Ed è molto più bello quando trovi una voce, o te stessa, dopo tanto tempo e qualche sbaglio. Te la godi di più.

Dopo due dischi piuttosto inefficaci, sia a livello musicale che d’immagine – Solo Star, uscito quando Solange aveva appena 14 anni e Sol-Angel and the Hadley St. Dreams, realizzato a 22, A Seat at the Table ottiene un enorme successo e un guinnes dei primati: è la prima volta che due sorelle soliste hanno i loro dischi al numero uno nello stesso anno. Finito di registrare 3 giorni prima del suo trentesimo compleanno e cominciato a scrivere e immaginare quando ne aveva 23 («I literally gave up my sanity for a while to do this record», raccontava a Vibe nel 2010), il disco è privo di singoli, pieno di ottime collaborazioni (il consistente aiuto di Raphael Sadiq e i contributi di Kelela, Sampha e Blood Orange, tra gli altri) e fluisce come un lungo fiume tranquillo, anche se i testi sono pieni di rabbia (ma una rabbia perfettamente controllata, domata con rigore, manipolata così tanto che i suoi spigoli aguzzi sono diventati belle forme rotonde).

E a proposito di rotondità, in questi giorni una performance al Guggenheim Museum, An Ode To, ha fatto parlare di lei. Insieme a Werner Herzog e Gucci Mane, Solange è stata scelta per l’edizione 2017 del Red Bull Music Academy Festival, che si è tenuto a New York tra il 29 aprile e il 21 maggio. L’evento di Solange, che ha avuto luogo il 18 maggio, imponeva agli spettatori due regole: vestirsi di bianco e deporre i cellulari all’ingresso. Costretti a guardare quello che succedeva intorno a loro senza il filtro dello schermo e a tenere le mani vuote: gli spettatori sono stati invitati a disporsi lungo i piani della leggendaria rotonda di Frank Loyd Wright, lasciando i primi 4 liberi. La performance ha occupato i primi piano del museo e il centro. C’erano musicisti, ballerine – tutti a piedi nudi –  e c’era lei, Solange, che cantava le sue canzoni, tutte riproposte in versioni inedite. La cantante ha chiuso lo show con una riflessione sulla cultura nera, su come è stata a lungo esclusa dalle istituzioni e sulla necessità di creare una comunità solida e unita. «I’m not into institutions», ha detto ad esempio, «I care about seeing your faces». Un discorso commovente che tutti gli articoli hanno riportato, ma a cui un bellissimo pezzo di Sasha Bonet ha reso davvero giustizia.

Basta guardare le fotografie di An Ode To per capire che si tratta di qualcosa di veramente bello e speciale. Solange è riuscita a sfruttare una specifica modalità di fare e fruire l’arte che solo una struttura architettonica come quella del Guggenheim consente: ha davvero creato un pubblico che è parte dell’opera e, in questo specifico caso – un concerto – un pubblico che non sparisce nell’ombra della platea, un pubblico che ha potuto davvero guardare in faccia, ma ha anche creato un’esperienza di incredibile bellezza: un insieme di musicisti e ballerini che interagiscono con le forme e gli spazi – i suoni che provenivano da diversi piani della spirale – il tutto con un’intensità estetica e umana che ha fatto pensare a una messa, un rito spirituale di comunione e unità.

Sembrano lontanissimi i giorni in cui sentivamo parlare di lei soltanto in occasione dei Met Gala, perché aveva menato Jay Z in ascensore, o per i suoi outfit sfoggiati sul red carpet – sempre ironici, intelligenti e raffinati – l’ultimo in occasione della mostra di Comme des Garçons – in netto contrasto con le meravigliose e opulenti tamarrate della sorella. Un altro momento di fama è stato il suo matrimonio con il fidanzato di lunga data e video director Alan Ferguson. Fotografie meravigliose per Vogue, cambi d’abito stupefacenti, un tenerissimo video in cui lei e il figlio ballano una coreografia (Solange è rimasta incinta a 17 anni, subito dopo essersi sposata con il suo ex marito), l’arrivo degli sposi in bici, una crisi di orticaria, tutti gli invitati in bianco: insomma, un matrimonio di cui è stato bello parlare, non soltanto per via di Beyoncé e Jay Z.

Ma adesso Solange torna su Vogue – sulla copertina di Teen Vogue, nello specifico – in vesti completamente diverse, e cioè non in quanto sposa ma come un’artista che apre il suo cuore, scrivendo una toccante lettera a se stessa teenager che è una specie di autocelebrazione. Un estratto: «Ci saranno periodi in cui sarai così triste che non riuscirai nemmeno a sollevare la testa, e ci saranno periodi in cui sarai così felice che la sensazione della vita ti colpirà. Ma soprattutto, ci sarai tu. Ce ne sarà un sacco, di te, e ti sentirai bene quando vedrai chi è e chi sta diventando».

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Tutto quello che fa ultimamente è perfetto e piace a tutti. L’immagine che Solange sta vendendo è molto simile alla nuova versione di sé che Beyoncé ha proposto con Lemonade: fieramente nera e fieramente femmina, politicamente impegnatissima e entusiasta, decisamente più intellettuale e raffinata rispetto al passato. Ma Lemonade è un prodotto gridato con un’ugola d’oro, un disco confezionato per raggiungere tutti che non si dimentica mai della necessità di piacere a tutti. Quello che rende Solange diversa è qualcosa che manca del tutto a Beyoncé, e cioè la capacità – rarissima – di essere insieme protagonista dell’opera e al tempo stesso sparire, lasciare spazio a un’idea astratta e molto precisa di bellezza e di ordine, a una propria speciale visione del mondo.

Tutto quello che adesso fa Solange è elegante. Il suo blog. Il suo sito. La sua etichetta discografica. Di sicuro ha dimestichezza con l’arte, oltre che con la moda, la musica e la danza. Beyoncé e Jay Z hanno una collezione d’arte contemporanea importante anche se abbastanza segreta (si sa che ci sono opere di David Hammons e Richard Prince). Ma il loro modo di fare è così profondamente pop da relegarli al ruolo di compratori dell’arte contemporanea, non certo di artefici. Il loro modo di fare è quello che l’anno scorso ha creato il fenomeno globale degli “art selfies” – selfie davanti alle opere d’arte – per incoraggiare i giovani a visitare i musei, hanno detto i sostenitori del movimento.

Insomma, Solange è il lato hipster, indie e arty che Beyoncé non contempla, almeno non nel suo stile. Molto deve sicuramente a Carlota Guerrero, fotografa e art director di Barcellona che l’anno scorso ha diretto la sua performance in occasione dell’ampliamento della Tate e che racconta di essere stata scoperta da Solange su Instagram. Molto deve sicuramente a un sacco di persone. Ma dietro a tutto c’è il suo gusto, la capacità di aver costruito uno stile che coniuga calma, lentezza, equilibrio, delicatezza: un’indipendenza dello sguardo che non dev’essere stata facile da conquistare, con le pressioni per diventare famosa fin da piccola, una sorella che famosa era già e per cui si ritrovava a fare da baby ghostwriter (“Why Don’t You Love Me”, la mia canzone preferita di Beyoncé, l’ha scritta lei).

Poi c’è il solito rischio che la cultura pop possa rimasticare e ridurre l’orgoglio black a una serie di immagini superficiali come recentemente ha fatto con il femminismo. Se l’estetica di una comunità in lotta diventa pervasiva – sbandierata ovunque anche quando non sarebbe necessario – si confonde e si indebolisce: il femminismo diventa come il corso di yoga a cui iscriversi quando la vita è troppo noiosa, diventa un insieme di pose e discorsi che non scavano affatto in profondità, ma diventano anzi una scusa per chiudersi, auto ghettizzarsi, fraintendere. Solo chi ha sofferto l’essere nera e l’essere donna e ha imparato a trarre forza da entrambe le condizioni conosce il cuore profondo di questi movimenti. Esserne cantori senza svilirli o semplificarli è difficile. Solange e sua sorella, nell’ambito eccezionale di una vita più che privilegiata, pensano oggi di avere qualcosa da dire in proposito. Beyoncé lo fa con grinta, Solange con grazia. E io continuo a chiedermi se un equilibrio tra pop, arte e impegno sociale sia davvero possibile.

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