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Come diventare ricchi con le criptovalute e poi fallire clamorosamente

La storia di Sam Bankman-Fried, da Warren Buffett delle criptovalute a bancarottiere in fuga, è l'ennesima disillusione per il mondo delle monete alternative: per come stanno le cose, però, sicuramente non sarà l'ultima.

di Giulia Ricca

Foto di Alex Wong via Getty Images

«Bitcoin non ha futuro come network di pagamento», dichiarò lo scorso maggio Sam Bankman-Fried, adducendo le vaghe argomentazioni di una persona poco informata sull’argomento: è lento, consuma troppa energia, è destinato a cedere il passo ai network «proof of stake», che non inquinano e sono più efficienti. Allora, Sam Bankman-Fried era ancora Ceo di FTX, uno degli exchange di criptovalute più grandi del mondo, fondato in seguito a una grande accumulazione di capitale tramite attività di trading e arbitraggio. L’imprenditore Sam diceva di avere molto a cuore il nostro futuro. Questo ventinovenne «vegano dai capelli arruffati», come lo descrisse una giornalista estasiata in una intervista di CNBC che si trova ancora su YouTube, era determinato fin da piccolo a diventare ricco, ma non per le ragioni che ci si potrebbe aspettare. Sam voleva diventare ricco per altruismo. Il suo intento era tenere per sé l’1 per cento del suo capitale (più di 15 miliardi di dollari) e donare tutto il resto alle cause che riteneva più importanti: il cambiamento climatico, il benessere animale, la gestione delle pandemie (in più di una intervista Sam è apparso ossessionato dal pensiero di nuove pandemie incombenti: «dobbiamo iniziare a prepararci adesso», dice in una video registrazione abbrancando una mascherina chirurgica). Sam era diventato il secondo più grande finanziatore del Partito democratico statunitense, dopo George Soros. Un pacchetto di 27 milioni di dollari chiamato «The Future Fund» doveva essere destinato alla causa del cambiamento climatico e «alle prospettive dell’umanità a lungo termine». Pare che anche il World Economic Forum abbia ricevuto donazioni da Bankman-Fried, anche se nelle ultime ore ogni riferimento a FTX è scomparso dal sito dell’organizzazione. Sam era «il cavaliere bianco delle cripto», «il nuovo Warren Buffett» secondo una copertina di Fortune, un carismatico giovane miliardario incensato da Forbes, e aveva molti fedeli ammiratori tra gli investitori retail.

Ma l’impero costruito da Sam non era destinato ad avere un futuro. Nel giro di pochi giorni una cascata di eventi si è conclusa con il crollo di FTX e accuse penali contro Bankman-Fried. Il 2 novembre è venuto alla luce che Alameda Research, la società di trading fondata da Bankman-Fried, deteneva un terzo della sua liquidità in FTT, il token associato all’exchange di FTX; in seguito alla notizia il 6 novembre Changpeng Zao, CEO dell’exchange rivale Binance, ha annunciato in un tweet che avrebbe liquidato gli FTT nel suo bilancio; gli utenti di FTX spaventati sono corsi a prelevare in massa i fondi dall’exchange; si sono sparse voci di una «pausa» dei prelievi da parte di FTX; Changpeng Zao ha detto di voler comprare (con una sorta di bail out) FTX, ma si è tirato indietro dopo aver dato un’occhiata ai bilanci dell’exchange. Bankman-Fried, che nei giorni precedenti twittava ancora che i fondi degli utenti erano al sicuro, ha dichiarato bancarotta dopo alcune ore. Tutto il popolo cripto (ma non il mondo Bitcoin) ha reagito incredulo e scioccato, alcuni cripto influencer hanno pianto in diretta YouTube per questa ennesima, enorme disillusione.

FTX, nato nel 2019, aveva ingrandito la sua posizione nel mercato velocemente e Bankman-Fried era considerato dai cripto entusiasti una speranza per il settore, capace di passare dai panni del ventenne arruffato in bermuda alle Bahamas a quelli del relatore in senato in giacca e cravatta impegnato nella discussione delle regolamentazioni del mercato. La visibilità del personaggio e il peso dell’exchange hanno fatto percepire la notizia del fallimento come il più grande disastro abbattutosi nel mondo cripto, quasi un momento Lehman Brothers, qualcuno ha detto. Per quanto esplosivo, però, il caso di FTX non è diverso da quello che ha coinvolto altri exchange e altre piattaforme in un passato non certo così remoto da giustificare l’oblio e lo stupore di questi giorni, ed è molto semplice: i gestori dell’exchange utilizzano i soldi degli utenti per i propri scopi personali (attività di trading ad alto rischio o, nel caso di Bankman-Fried, donazioni politiche) fino ad arrivare all’insolvenza se qualcosa, come spesso succede, va storto. I paragoni con i disastri avvenuti nella storia della finanza tradizionale non sono impropri: in effetti, il mondo cripto si rivela in questi casi una replica parossistica della finanza istituzionale di cui si vende come alternativa. Il modus operandi di dieci coinquilini in un appartamento alle Bahamas dove Sam faceva i suoi affari non è più scandaloso di quello di una banca che investe o scommette con i soldi dei clienti approfittando della riserva frazionaria e potendo confidare, a differenza di un exchange di criptovalute, nel bail out da parte della banca centrale se le cose si mettono male.

Quando compriamo bitcoin tramite un exchange e non lo preleviamo immediatamente, tutto ciò che possediamo si limita a un bilancio scritto sul nostro conto e a una promessa, senza alcuna assicurazione, che quella transazione verrà onorata. Tutti coloro che hanno lasciato fondi su FTX hanno finanziato l’altruismo di Sam Bankman-Fried, ispirato, come sembra, dal principio di rubare ai poveri, o agli ignari, per dare ai ricchi o ai potenti preferiti.

Sorprende lo stupore generale dei cripto appassionati di fronte alle recenti calamità, considerando che solo cinque mesi fa, dopo il disastro del network Terra-Luna e della piattaforma di prestiti Celsius, già si parlava di «momento Lehman Brothers» e gli investitori sprofondavano nel panico più disperato. Poco prima, inoltre, era uscito su Netflix un documentario sullo scandalo di QuadrigaCX, un exchange incorso nello stesso destino di FTX nel 2018. Fu un grande caso anche quello: 190 milioni di dollari degli utenti andarono «perduti», cioè furono rubati, dal proprietario dell’exchange Gerald Cotten, figura subdola e strana (nel documentario lo si vede sciogliere banconote da 20 dollari nel microonde e filmare altri simili esperimenti casalinghi per il suo canale YouTube) che faceva trading con i soldi dei clienti. Quando gli affari di Cotten iniziarono ad andare male insieme al prezzo di bitcoin, e gli utenti di QuadrigaCX realizzarono che i loro fondi erano irrecuperabili, Cotten, a quanto si diceva unico detentore delle chiavi di accesso ai fondi, partì per un viaggio in India con la moglie e pochi giorni dopo venne dichiarato il suo decesso in circostanze sospette. Oggi, tweet indecifrabili stanno apparendo sul profilo di Bankman-Fried, e tutti si stanno chiedendo morbosamente quale sarà il destino di questo nuovo eroe del male.

«Trust no one», dice il titolo del documentario su QuadrigaCX. Quando non sono i gestori dell’exchange a frodare i clienti, i fondi lasciati in custodia sono esposti ad altri rischi. L’esempio più memorabile è quello dell’exchange Mt. Gox, hackerato nel 2013. 250.000 bitcoin degli utenti e 100.000 bitcoin detenuti dalla piattaforma scomparirono nell’attacco, e Mt. Gox, come molti altri exchange a seguire, dichiarò bancarotta.

La storia continuerà a ripetersi finché il messaggio di quel titolo, non fidarti di nessuno, non sarà davvero ricevuto. Bitcoin esiste per questo: per liberarci dalla necessità di affidarci o di chiedere il permesso a terze parti per gestire il nostro denaro. Passare tramite un exchange, consegnando tutti i nostri dati (nome, indirizzo, documenti) ad entità ambigue di cui non sappiamo niente in cambio di una promessa che troppe volte si rivela una truffa, è esattamente il contrario dello scopo per cui Bitcoin è nato. L’ideale sarebbe utilizzare applicazioni che facilitano lo scambio peer-to-peer; per coloro a cui questo risultasse ancora – comprensibilmente – troppo ostico, resta il monito «not your keys, not your bitcoin», ovvero, se non possiedi le chiavi del tuo portafoglio, ma lasci i tuoi fondi in custodia all’exchange, non possiedi nulla. Un semplice software wallet a cui inviare i propri fondi è facilissimo da installare; per aumentare la sicurezza dopo questo primo passo esistono guide chiarissime come il blog https://armantheparman.com e, in italiano, eccellenti fonti di informazione nel lavoro, tra gli altri, di Giacomo Zucco e Riccardo Masutti.

Sfortunatamente, oltre ad essere più accessibili agli utenti meno esperti, gli exchange godono del vantaggio di attrarre gli investitori in altre criptovalute. «Shitcoin casinos» è il termine con cui i massimalisti bitcoin si riferiscono a entità come FTX. Uno di loro, quando gli ho detto che avrei scritto sul caso di FTX, mi ha risposto: «It’s a short article. Title: “Don’t Shitcoin”. Body: “Read title”». I massimalisti bitcoin hanno assistito impassibili alle ultime sventure nel mondo cripto, per loro totalmente prevedibili e previste. Durante la caduta di Bankman-Fried, su Bitcoin Twitter girava l’hashtag #ThankAMaxi: si ringraziava la persona che era stata determinante per la propria conversione da shitcoiner a bitcoiner. Molti hanno risposto ai lunghi arrampicamenti sugli specchi twittati da Bankman-Fried: «should have listened to us and stayed humble and stacked sats [bitcoin]». Il futuro prossimo delle cripto non sembra roseo, in effetti: CoinDesk, una rivista non certo anti-cripto, ha reso noto che Crypto.com, un altro fra gli exchange più popolari, detiene una grossa fetta delle sue riserve in Shiba Inu, un token-meme meramente speculativo che ha attratto molti investitori «degen» tra il 2020 e il 2021 e ora piuttosto inerte. Come cinque mesi fa, si parla di nuovo di «contagio»: i cripto fedeli si chiedono abbattuti quando questo effetto a catena finirà. Nel frattempo, le perplessità sul funzionamento di Ethereum (che è stato definito «l’archetipo delle shitcoin») dopo il «merge», cioè il passaggio da proof of work a proof of stake, al di là delle narrative ambientaliste, sono aumentate. La caduta di Ethereum rappresenterebbe, per molti, l’apocalisse definitiva. Gli eventi di FTX dovrebbero far realizzare una volta per tutte che è giunto il momento di risvegliarsi dallo stupore di fronte a ogni nuovo disastro, e di iniziare a ricordare gli avvertimenti più semplici, rimuovere i nostri soldi dagli exchange, sperimentare la responsabilità della custodia personale, studiare Bitcoin.