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Londra è la città europea che sta battendo ogni record in fatto di telefoni rubati Solo nel 2024 ne sono stati rubati più di 80 mila, la maggior parte dei quali rivenduti poi sul mercato nero internazionale.
È morto Drew Struzan, l’illustratore che ha disegnato le locandine di moltissimi successi di Hollywood Star Wars, Indiana Jones, Ritorno al futuro, E.T, Blade Runner, I Goonies, La cosa: la locandina che vi viene in mente pensando a questi film l'ha disegnata lui.
I lettori di Jia Tolentino non hanno preso bene la sua collaborazione con Airbnb Sia gli ammiratori che i detrattori sono rimasti molto delusi dalla sua decisione di lavorare con un'azienda come Airbnb.
Nella nuova campagna Moncler c’è la reunion di Al Pacino e Robert De Niro Si chiama Warmer Together e vuole celebrare «le emozioni e il calore dello stare insieme».
È morto D’Angelo, l’artista che ha prima rivoluzionato e poi abbandonato la musica soul Aveva 51 anni ed era malato di cancro. Lascia in eredità tre album diventati culto e una storia personale caratterizzata dal difficile rapporto col successo.
Dei 10 film più visti al cinema in Italia nell’ultima settimana, metà sono vecchi titoli tornati in sala Nell'ottobre del 2025, tra i film più visti in Italia ce n'è uno del 1971, uno del 1997, uno del 2001 e uno del 2009.
Nel suo primo viaggio diplomatico all’estero, il ministro degli Esteri afghano ha dovuto affrontare un grosso problema: le giornaliste Ospite in India, Amir Khan Muttaqi ha cercato in tutti i modi di evitare di rispondere alle domande delle giornaliste, escludendole anche dalle conferenze stampa.
Temu ha raddoppiato i guadagni in Europa nonostante una forza lavoro composta da otto dipendenti soltanto Otto persone per gestire gli ordini, il servizio clienti, il sito, oltre alla parte burocratica, amministrativa e fiscale.

I resi sono diventati un problema

Siamo abituati a considerarli complementari all’esperienza di shopping online, ma sono insostenibili, sia per l’ambiente che per gli stessi marchi.

di Studio
13 Dicembre 2019

È indubbiamente una delle comodità di fare shopping online: ordinare un prodotto, provarlo a casa e, se non va bene, restituirlo senza pagare nulla, proprio come se fossimo in un negozio e lo lasciassimo in cassa al commesso. Durante lo scorso Black Friday, in Italia sono stati fatti 37 ordini al secondo su Amazon: fare compere in rete è ormai parte della nostra routine. Ma che i resi gratuiti fossero un problema lo abbiamo capito piuttosto in fretta. Secondo i dati riportati da Vogue Business ed elaborati da Optoro, azienda che lavora per ridurre e riutilizzare gli scarti di produzione, nei soli Stati Uniti i resi creano 5 miliardi di sterline l’anno in rifiuti che finiscono nelle discariche e più di 15 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio, «in pratica l’equivalente dei rifiuti prodotti annualmente da 5 milioni di persone». Nell’Unione europea, invece, nel 2016 i rifiuti da imballaggio hanno raggiunto la cifra record di 187 tonnellate l’anno, circa 170 kg a persona: questo perché, per spedire i propri prodotti, la maggior parte dei marchi fa affidamento su materiali plastici monouso, che sono poi i più difficili, se non impossibili, da riciclare. A questi numeri si aggiungano le condizioni lavorative spesso problematiche nei centri di smistamento per avere il quadro generale del problema.

I resi gratuiti, quelli di cui approfittiamo più volentieri e che anzi costituiscono, assieme alle spedizioni gratuite, una delle determinanti che ci spinge a comprare online, sono un bel problema anche per gli stessi marchi che, come più volte rilevato, soffrono l’adeguamento forzato all’esperienza di shopping fornita da Amazon e altri grandi rivenditori. Amanda Mull sull’Atlantic ha recentemente raccontato il caso di Etsy, la piattaforma e-commerce nata nel 2005 con l’intenzione di promuovere i piccoli marchi che vendono prodotti artigianali e vintage e che oggi, a discapito degli stessi, ha recentemente introdotto un algoritmo che favorisce chi spedisce gratis. È facile immaginare che, per i piccoli imprenditori che usano Etsy, la spedizione gratuita sia un costo spesso insostenibile, che va a impattare fortemente sui loro guadagni e, più in generale, sembra scontrarsi con la filosofia di partenza del canale che li ospita, nato appunto per dare risalto ai business di medio-piccole dimensioni. Ma l’algoritmo è modulato sui comportamenti dei consumatori, che oggi considerano una spedizione di due giorni e gratuita lo standard dell’acquisto online. Secondo una ricerca condotta nel 2018 da Internet Retailer, le ragioni più comuni per cui un acquirente abbandona il suo carrello virtuale senza comprare nulla sono in primo luogo le spese di spedizione, quindi l’impossibilità di comprare senza creare un account e la poca chiarezza sulle politiche di reso. Addirittura, «molti si risentono del pagamento per la spedizione così tanto che comprano articoli più costosi o aggiungono piccole cose aggiuntive – una mascherare il viso monouso, un paio di calze – solo per raggiungere l’importo minimo per la consegna gratuita».

C’è dunque una nuova psicologia dei consumi di cui stiamo iniziando a comprendere gli effetti, ma con la crisi dei negozi fisici, la sfida che attende molti marchi è quella di trovare la quadra nell’offrire un’esperienza di acquisto e un servizio sostenibile, sia dal punto di vista economico che ambientale. Resi e spedizioni gratis, infatti, non danneggiano solo i piccoli rivenditori di Etsy, ma anche tutti quegli e-commerce (tra cui Net-a-Porter, Revolve, Nordstrom) che non hanno la struttura e la capacità distributiva del colosso di Jeff Bezos, che ha avuto, in tempi non sospetti, l’intuizione di staccare il costo delle spedizioni da quello del singolo acquisto con l’abbonamento annuale a Prime. Per aggirare il problema si stanno provando diverse soluzioni: i grandi magazzini come Nordstrom permettono di restituire la merce in negozio, ad esempio, mentre si moltiplicano le collaborazioni con aziende specializzate in riciclo e riuso, come Happy Returns. Piattaforme come Zalando e Asos stanno poi investendo nell’analisi dei dati sui loro utenti: una profilazione sempre più accurata, infatti, sembra oggi l’unico strumento in grado di ribaltare la catena di produzione ed eliminare gli sprechi. È una sfida aperta, tanto più in un momento in cui parliamo moltissimo di diritti sui nostri dati e di “consumerismo responsabile”: le contraddizioni di questo modello sono già visibili, ora ci tocca risolverle.

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