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Che fine ha fatto Houellebecq?

In Annientare lo scrittore francese sembra aver perso quella capacità profetica che negli anni lo ha fatto diventare guru e icona.

di Giovanni Robertini

Fin dalle Le Particelle Elementari (il suo secondo libro del 1998) a Michel Houellebecq è stato riconosciuto una sorta di potere profetico sul destino della società occidentale che, misurando la temperatura del presente, riusciva a dettare l’agenda della decadenza dell’uomo – meglio precisare, del maschio – liberal-libertario. Grazie a questo super potere, e a un indiscutibile talento per la narrazione, è diventato uno dei più importanti scrittori pop contemporanei, in grado di influenzare il grande pubblico come oggi forse solo la musica e la serialità televisiva riescono a fare.

In Annientare – il suo ultimo romanzo di 743 pagine pubblicato oggi da La Nave di Teseo in contemporanea con l’uscita francese per Flammarion – la sfera di cristallo dello scrittore sembra essersi appannata, e più che in una profezia il lettore s’immerge in un paesaggio virtuale, le elezioni presidenziali francesi del 2027, che assomiglia all’homepage di Repubblica.it in refresh continuo. Il personaggio protagonista di questa distopia mancata (per scelta?) è Paul Raison, consulente del Ministro dell’Economia Bruno Le Maire: entrambi sono uomini così colti, razionali, borghesi normcore, da ricordare Draghi, Macron e i discreti tecnocrati d’oggi alle prese con una post democrazia “tranquilla” che fluttua nel mercato (i rapporti con la Cina, il pareggio in bilancio) e nella rete (i sondaggi, i social) globale. La calma del presente viene sconvolta, annientata, da due minacce che Houellebecq mette in scena con la suspense del thrillerista di razza: il terrorismo esterno che, con una serie di attacchi cyber al limite del satanismo, inaugura la versione Black Mirror della strategia della tensione, e il terrorismo pedagogico della penna dello scrittore che condanna al dolore, e in alcuni casi alla morte, i personaggi di Annientare, e quindi l’umanità tutta.

Stanno proprio in questa doppia matrice terroristica la forza e la debolezza di un libro che è insieme romanzo d’amore, politico, di spionaggio, saga familiare, riflessione sulla vecchiaia e sulla malattia. Se da un lato la società è minacciata da forze sconosciute, forse anarco-ecologisti, forse fondamentalisti della destra identitaria, quasi certamente drop out alla Ted Kaczynski o alla Anders Breivik, dall’altra è lo stesso autore a farsi Unabomber e a pianificare con talento la strage dei suoi personaggi, perché il vero atto terroristico è la condizione umana stessa, fatta di solitudine, perdita di senso dell’amore (già protagonista nel precedente romanzo Serotonina), malattia, e morte.

Sono proprio le pagine sulla malattia del padre e sull’eutanasia, sulla vecchiaia e sulla morte come mostri da nascondere agli occhi della società, a essere le migliori di questo romanzo. Peccato arrivino verso la fine, mettendo a dura prova la fiducia dei fan più esigenti di Houellebecq, già sfiancati dai primi quattro capitoli zeppi di banalità sul decadimento del mondo contemporaneo. Se vogliamo restare nel pop, territorio d’elezione del romanziere francese, c’è più decadenza nella trap o nel tv show parodia russo Ciao 2021 che nel solito maschio etero che non scopa più, incapace di stabilire un rapporto con le donne ancora una volta macchiettisticamente rappresentate: Prudence, la compagna di Paul, è una vegana, adepta a una setta new age, con un bel culo, sembra uscita fuori da un servizio di Cosmopolitan sulle donne in carriera. Manca poi il senso d’inquietudine che aveva caratterizzato la sua precedente bibliografia, la mascolinità in crisi è ormai argomento da talk show del pomeriggio e il cinismo spiccio (come la descrizione di un concerto benefico rock e rap dopo un attentato) per cui lo adoravamo negli anni Novanta oggi è poco più di un meme, o di un sagace tweet. Il terrorista virtuoso Houellebecq, forse spaventato dal timore di ripetere lo stesso libro all’infinito, cerca a un certo punto (siamo oltre la metà del romanzone) di correggere il tiro, di dare una presunzione di salvezza, riabilitando il valore dell’amore di coppia, quello che dura per sempre e aiuta a superare le sfighe della vita, a non rimanere soli. Si passa dal famoso adagio morettiano «È triste morire senza figli», al «è triste crepare senza una donna al fianco», vale anche se è una badante.

Ma come, Michel? Che ti è preso? Sarebbe questo il restyling del tuo brand, un amore mucciniano in casa di riposo? Ecco, noi fan di Houellebecq della prima ora, pronti a leggere pure i suoi deliri politici su Le Figaro, noi che l’abbiamo trattato come un guru nichilista empatico e depresso, un punk colto da esibire sullo scaffale della libreria, ora ve lo restituiamo, non ci serve più, è diventato obsoleto come un vecchio iPhone. Certo, rimane un grande scrittore, uno dei più grandi, e in Annientare “ha fatto anche cose buone”. Il romanzo sarà un successo per il grande pubblico, sia per la bravura del narratore sia per la potenza della trama, che per quella capacità unica di dare del tu (e di farlo sentire intelligente!) al lettore mediamente colto, di mondo, che guarda le ultime serie uscite e si abbona alle newsletter di politica. Ma il vero Houellebecq è altra cosa. Questa è una mezza delusione, mezza, ma pur sempre delusione.