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14:43 lunedì 29 dicembre 2026
Il thread Reddit in memoria di Brigitte Bardot è stato chiuso subito perché quasi tutti i commenti erano pesanti insulti all’attrice Accusata di essere una lepenista, islamofoba, razzista, omofoba e classista, tanto che i moderatori hanno deciso di bloccare i commenti.
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.
È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.

Quando New York faceva paura

Vandalismo, abbandono, omicidi: quarant'anni fa NYC era una città molto pericolosa. La storia di un teschio che metteva in guardia i visitatori.

20 Maggio 2015

All’inizio dell’estate del 1975, davanti agli occhi di una persona che sbarcava al John Fitzgerald Kennedy di New York appariva una scena inconsueta, il possibile inizio di uno di quegli horror grotteschi di John Landis: agenti di polizia in borghese distribuivano volantini con il disegno di un teschio parzialmente coperto da un cappuccio e la scritta Welcome to Fear City, Benvenuti nella Città della Paura.

66dd865e-a13e-4b41-9004-02ef1fc58b8b-680x1020Come poteva la Grande Mela, la metropoli da quasi 8 milioni di abitanti che appena due anni prima aveva presentato al mondo la silhouette del World Trade Center, essere diventata una città che incuteva timore? A metà degli anni Settanta, New York attraversava il peggior momento della sua storia: una crisi fiscale era seguita agli anni della Great Society (il vasto programma di spese per il welfare lanciato nel decennio precedente dall’ex Presidente Lyndon Johnson, che, tra le altre cose, aveva portato Medicare e Medicaid in America). Dal secondo dopoguerra la città aveva perso un milione di posti di lavoro nel solo settore manifatturiero e, trovandosi a dover mantenere l’impianto assistenziale più grande e costoso del paese, le amministrazioni newyorkesi avevano fatto ricorso a prestiti e obbligazioni sempre più difficili da ripagare. Così, nei primi mesi del 1975, il sindaco Abraham Beame si trovava davanti a poco meno di 6 miliardi di dollari di debiti da restituire nel breve termine. Si era recato a Washington per chiedere aiuto a Gerald Ford, ma il successore di JFK aveva fatto spallucce, dicendo, in sostanza, che chi era stato causa del suo male avrebbe dovuto piangere se stesso.

E la New York dell’opuscolo stampato dal Council for Public Safety – un ente che riuniva alcune sigle lavorative cittadine e anche molti di quegli 11 mila poliziotti del NYPD che l’improvvisa necessità di risparmiare avrebbe lasciato a breve senza un impiego – sembrava effettivamente avere molto su cui piangere. Nel testo, scritto sotto forma di una «guida di sopravvivenza» divisa in punti, si consigliava ai turisti di «stare lontani dalle strade dopo le 18», poiché «anche nel centro di Manhattan gli assassini e gli omicidi sono in incremento durante le prime ore della sera», non uscire a piedi, evitare tout court la metropolitana («i crimini commessi in metro sono così frequenti che la città recentemente ha dovuto chiudere la parte posteriore di ogni treno per far sì che i passeggeri potessero accalcarsi e sentirsi più protetti», si leggeva) e fare attenzione al pericolo d’incendio, dal momento che «i vigili del fuoco sono estremamente a corto di personale, e all’orizzonte ci sono nuove riduzioni». In realtà Welcome to Fear City era parte di una strategia di protesta più ampia portata avanti dai sindacati dei lavoratori pubblici colpiti dai tagli annunciati dal sindaco Beame, che da parte sua aveva provato a proibire la distribuzione del volantino, non riuscendovi. In quei giorni avrebbero scioperato massicciamente, tra gli altri, anche gli insegnanti e gli operatori ecologici (al grido, questi ultimi, di «this isn’t Fear City, it’s Stink City!»).

Se è vero che molti degli aspetti citati nel vademecum sono estremizzati, frutto di una strategia volta a seminare il panico, in un articolo uscito sul Guardian a quarant’anni dalla sua distribuzione Kevin Baker, che viveva a New York in quegli anni, scrive che «una verità preoccupante si nascondeva dietro a molta dell’attitudine al gridare al disastro del pamphlet». Il numero di omicidi cittadini era più che raddoppiato rispetto al decennio precedente, e i furti erano addirittura decuplicati. Baker descrive una metropoli piagata da un vandalismo cronico e afflitta da un senso di precarietà e di abbandono. Non a caso, ricorda l’autore dell’articolo, questi anni sono simboleggiati cinematograficamente dal De Niro di Taxi Driver e dai desolati scorci notturni del Bronx messo in scena ne I guerrieri della notte. Lo stesso mito del Bronx come borough “di frontiera” nasce in questo periodo; fino agli anni Sessanta era una meta privilegiata delle classi medio-alte.

Train Graffiti
La subway di NYC nel 1972 (foto di F. Roy Kemp / Getty Images)

Alla fine Abe Beame e il governatore dello Stato di New York Hugh Carey riuscirono a strappare a Washington un piano da 2,3 miliardi di dollari di prestiti diretti alla città, rapidamente approvato dal Congresso e controfirmato da Ford, la cui figura rimarrà tutttavia associata a uno storico titolo apparso in prima pagina sul Daily News: «Ford to City: Drop dead» (“Ford alla Città: Muori”), che riassumeva la posizione di fermezza anti-aiuti inizialmente presa dal Presidente. Ma quella di Welcome to Fear City non è l’unica rappresentazione di New York che oggi apparirebbe paradossale a un turista invaghito dei negozi di Broadway o dei caffè di Greenpoint. Lo stesso Bronx fa da sfondo al romanzo simbolo degli anni Ottanta newyorkesi: Il falò delle vanità di Tom Wolfe, in cui il «Padrone dell’Universo» Sherman McCoy si trova costretto a cavarsela in un quartiere malfamato, Mott Haven, che nell’ultimo decennio è diventato habitat di artisti in cerca di loft a prezzi accessibili e non presenta nulla di particolarmente diverso da tante altre zone di Brooklyn e del Queens, con affitti in crescita e cicliche ondate di ristrutturazioni.

Quella di Welcome to Fear City non è l’unica rappresentazione di New York che oggi apparirebbe paradossale a un turista

Del resto, non esistono nemmeno più il Meatpacking District o l’East Village descritti da Rick Moody nel suo La più lucente corona d’angeli in cielo; nell’East Village dei primi anni Ottanta potevi trovare, scrive Tommaso Pincio nella postfazione del libro, «gente come Keith Haring o Basquiat e una disposizione allegra, incondizionata e disinvolta a qualunque tipo di sperimentazione sessuale». Non esiste ciò che è venuto appena dopo, ovvero il quartiere segnato dall’eroina e dalla povertà, dai pusher e da quei senzatetto che qualche anno più tardi, nel 1988, sarebbero stati protagonisti di uno dei riot più celebri della storia della città.

Nei Guerrieri della notte, la celebre reinterpretazione cinematografica dell’Anabasi di Senofonte girata tra Manhattan, Brooklyn e Coney Island, appare una New York in mano alle gang criminali, e quindi violenta, vandalizzata e coperta di graffiti. Ma Riverside Park, una delle location principali del film, oggi è una distesa verde percorsa da dog-sitter e professionisti del West Side che vogliono provare le loro nuove e costose scarpe da jogging. La New York post-Giuliani, post stop-and-frisk – il metodo di perquisizione della polizia diventato il simbolo di un certo approccio alla lotta al crimine – e post «tolleranza zero» è un luogo diverso, di certo più sicuro, per certi versi tuttavia non meno inquietante di Fear City nella sua tranquillità depurata. Probabilmente l’unica cosa a non essere mai cambiata, neppure nei momenti più bui della città, è il suo fascino. Ciò che portava McCoy a dire, attraversando il Triborough Bridge: «La Roma, la Parigi, la Londra del ventesimo secolo era lì».

Nell’immagine in evidenza: la subway di Nyc nel 1972 (foto di F. Roy Kemp / Getty Images)
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