Attualità

Punire o non punire, questo è il problema

La pedagogia della punizione è definitivamente superata? Secondo alcuni sì, ma resta il problema di come educare.

di Arianna Giorgia Bonazzi

Un pomeriggio, a una festicciola di bambini, mi sono accasciata su una sedia libera nei pressi del buffet. Pochi secondi dopo, Anita, 4 anni, mi minacciava brandendo una spada laser di plastica, per riavere il suo posto. Non dico che mi aspettassi di sentire la genitrice della tiranna dire una cosa tipo: «Non mancare di rispetto alla signora», come si sarebbe fatto ai tempi di mia madre. Però non mi aspettavo nemmeno il plauso alla canaglia: «Che tipina! Si fa rispettare!». Ci ho fatto caso, e d’altra parte, quando si sale in tram, non si lascia più il posto alla vecchina (che è sempre e comunque la malefica zitella leghista, che poteva starsene a casa e farsi mandare la spesa per posta, invece di venire a sgambettare noi giovani col bastone e col carrello): adesso, in tram, si lascia il posto ai bambini. Sì, a dei tappetti iperattivi che, una volta seduti, non fanno altro che agitarsi, sgomitare e disegnare sui vetri.

Tempo fa, mia madre mi disse: «Sono stata sfortunata: sono nata in anni in cui i bambini dovevano portare rispetto ai vecchi, e sono vecchia ora che i vecchi devono tacere e farsi maltrattare dai bambini». Sul momento, ho espresso il mio disaccordo, risentita perché il riferimento ai marmocchi maleducati poteva riguardare i miei figli. Poi, gradualmente, a forza di farmi prendere in giro dai figli delle amiche, ho iniziato a rivalutare l’affermazione.

Physical Education

In Tutti insieme appassionatamente, il notissimo musical ambientato nell’Austria degli anni Trenta, il papà chiamava i sette figli con un fischietto. A ciascuno di loro, corrispondeva un fischio diverso, e loro rispondevano con un saluto militare. Durante le feste danzanti date dal papà, i bambini si ritiravano in camera col sole ancora alto, dopo avere omaggiato gli ospiti con un balletto. In Mad Men, la serie tv sui pubblicitari di Madison Avenue ambientata negli anni Cinquanta, i bambini vengono asfissiati sin dalla culla dal fumo passivo delle mamme, non gli viene spiegato niente di quel che succede in famiglia, vengono abbandonati davanti alla tv per interi pomeriggi, e filano a letto a un solo cenno dei genitori, anche digiuni, perché mamma e papà devono ubriacarsi o parlare. Oggi, la stessa scena si svolgerebbe così. I genitori, che già hanno rinunciato per sempre a viaggiare o a andare al cinema, cancellano all’ultimo momento una cena children-friendly con dei tranquilli vicini di casa, perché il figlio di 6 anni ha organizzato un pigiama party/maratona Star-Wars con un altro vandalo che non verrà apostrofato nemmeno se sputerà nel piatto.

Alla fine del Milleottocento, uscì in Germania Pierino Porcospino, un classico, magnificamente illustrato e tutt’ora edito, di poesie crudeli per l’infanzia. Si trattava di una serie di orribili e macabre minacce (compresa la morte violenta), per bambini che banalmente non si tagliavano le unghie. A quei tempi, la pedagogia più diffusa era quella dello spavento. Era prima del filone pedagogico montessoriano. Due o tre anni fa, invece, è uscito Come educare il tuo papà (edizioni Il Castoro), un manuale di buone maniere che fa leva sull’onnipotenza del bambino contemporaneo, mettendo il papà nel ruolo di individuo capriccioso, volubile e piagnucolone, e ridicolizzandolo agli occhi del figlio, che così dovrebbe imparare a evitare comportamenti negativi.

Alan Kazdin, direttore del Parenting Center della Yale University (una cosa che esiste), ha rilasciato in questi giorni una intervista molto condivisa sui social, dove dichiara che la pedagogia della punizione è ormai superata, e che il modo migliore per prevenire un cattivo comportamento è incoraggiare il bambino a compiere il comportamento opposto, e lodarlo quando fa la cosa giusta (la domanda è: quando farà la cosa giusta? Ma andiamo oltre). C’è un pedagogista ancora più estremo, Ross Greene, autore di The Explosive Child, che vorrebbe abolire anche la pedagogia della ricompensa, assieme a quella della punizione, perché il bambino fa il callo alla punizione e si sazia presto dei premi. Il genitore, a suo avviso, non dovrebbe essere un modificatore di comportamenti, ma un alleato del bambino, che crea con lui una “partnership” (sic) per risolvere insieme un problema del figlio. Cosa questo significhi, in pratica, quando tuo figlio si sta arrampicando sul fornello, o sta prendendo a schiaffi un altro bambino di fronte al genitore di quest’ultimo, non è dato sapere.

Climbing On Frame

È bene specificare che con “punizione” non si intende assolutamente né pena corporale, né umiliazione (sculaccioni e sgridate appartengono infatti a un barbaro passato pre-rousseauiano): è annoverato tra le punizioni anche quello che gli americani chiamano “time out”, cioè un momento di isolamento del bambino durante la punizione. Il banale mettere il bambino in un angolo, o mandarlo nella sua stanzetta, sta diventando un gesto sempre più mal visto dagli esperti di educazione: un articolo del Time Magazine di un paio di anni fa sostiene che il suddetto time-out crea un “dolore relazionale” che equivale all’abuso fisico.

Nell’apprendere tutta questa saggezza e temperanza, questo approccio costruttivo contrapposto al volgare bastone e carota, e nel lasciarsi alle spalle strilli, castighi, minacce e sequestri di Wii, ci si chiede solo che cosa rimarrà da fare, a questi genitori collaborativi e paritari che poi compaiono (giustamente sbeffeggiati) nei libri di buone maniere per bambini. La mia sensazione, basata sull’esperienza quotidiana, è che le istanze pedagogiche libertarie, nate agli inizi del secolo scorso e affermatesi negli anni Settanta, oggi siano state portate alle estreme conseguenze, fino a produrre una generazione di piccoli tiranni, incapaci di incassare un no, e conseguentemente difficili da gestire appena varcano la soglia di casa, cioè del loro regno.

Per conto mio, se siete riusciti a educare dei perfetti lord inglesi senza alzare mai la voce, trascinare via il bambino per un polso, o promettergli una cena a base di gelato a patto che tacesse per cinque minuti, significa semplicemente che sì, siete dei genitori moderni e consapevoli, ma soprattutto, che avete avuto la fortuna sfacciata di non avere dei figli “difficili”.

Foto Getty Images/Hulton Archive