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Lena Dunham ha annunciato la data di uscita del suo nuovo libro, Famesick Un memoir scritto nell'arco di sette anni che parla di «malattia, dipendenza e sofferenza amorosa».
A Broadway è arrivato il musical dell’Italian Brainrot e durante la prima ovviamente è successo di tutto Tung Tung Tung Tung Tung Tung Tung Tung Tung Sahur è stato arrestato, il pubblico l'ha presa male, la protesta è arrivata fino a Times Square.
Drake ha girato un lungometraggio in cui se ne va in giro per i luoghi di culto di Milano C'è anche la Bocciofila Caccialanza di via Padova, dove incontra Sfera Ebbasta.
Trump vuole cambiare il nome del ministero della Difesa in ministero della Guerra Non il più rasserenante dei messaggi per il mondo, il fatto che il segretario alla Difesa Pete Hegseth diventi segretario alla Guerra. 
Un quadro trafugato dai nazisti è stato ritrovato in Argentina grazie a un annuncio immobiliare È il "Ritratto di signora” del pittore italiano Giuseppe Ghislandi, meglio conosciuto come Fra Galgario.
È morto a 91 anni Giorgio Armani Con infinito cordoglio, il gruppo Armani ha annunciato la scomparsa del suo ideatore, fondatore e instancabile motore.

Una piccola storia estetica della pubblicità

Un profilo Instagram raccoglie adv dai magazine degli anni Ottanta, Novanta e Duemila: tra stili e sperimentazioni spuntano nostalgia e bellezza.

08 Luglio 2016

Dal settembre dello scorso anno, la graphic designer Halima Olalemi – che vive e lavora a Londra, una perfezionista con particolare attenzione verso la stampa, la tipografia e lo sviluppo dell’immagine digitale – ha preso a catalogare emblematiche pubblicità contenute in vecchie riviste degli anni Ottanta, Novanta e Duemila. Su @adarchives, il suo account Instagram, si possono incontrare alcuni reperti che mostrano come sia cambiato nel tempo l’estetica della pubblicità dei magazine. Alcune idee, innovative per i tempi, fanno apparire l’approccio di queste campagne (perlopiù legate al mondo della moda) come sperimentale. Anche perché, con il ritorno di una certa estetica che si rifà a quella degli anni Novanta, stiamo assistendo ad un nostalgico riproporsi di costruzioni visive che si riverberano nell’account della grafica londinese.

Quello di Halima, cominciato come un semplice progetto personale, si è trasformato rapidamente in un racconto visivo che indaga la nostra relazione con l’evoluzione di stile, consumo, tecnologia e sessualità. @adarchives fa da vetrina a decine di campagne pubblicitarie che stringono un legame unico con cultura e sottocultura giovanile, riviste di moda – tra cui i-D, The Face, Esquire, Dazed e Sleazenation – designer come Katharine Hamnett e Helmut Lang, e brand tra cui Carhartt, Asbolut, Sony Playstation, Gola. Ma ci sono anche incursioni nel mondo musicale, con adv degli album di The Chemical Brothers e Massive Attack.

Oltre a riportare l’attenzione su alcuni progetti considerati provocatori e di rottura al tempo della loro pubblicazione, come nel caso di alcuni lavori firmati Benetton e Diesel, o altri scolpiti nell’immaginario firmati Levi’s, il progetto offre anche uno sguardo sulle evoluzioni della pubblicità del fashion, e quanto quest’ultima sia cambiata nel corso degli ultimi trent’anni. Tra gli scatti in bianco e nero del 1990 di Levi’s, le campagne lo-fi di Wrangler del 1980 e quelle patinate e lucenti di oggi, corre un mare che separa approcci totalmente differenti.

Ogni scatto ripreso da Halima regala delle madeleine che conservano il gusto di intere epoche. In un’intervista a i-D magazine la stessa designer di Londra sottolineava come postare queste immagini sia un po’ come aprire una capsula del tempo. «Mi appassiono e vado alla ricerca di chi potrebbe averle realizzate, come sono state accolte quando sono uscite, se fanno parte di una serie. Amo quelle che hanno un filo narrativo che si dipana attraverso le differenti campagne».

Nel lavoro di Olalemi è presente una velata nostalgia, in parte connaturata all’uso dei social media come strumenti di memoria. Le immagini raccolte dalla designer ci lasciano con il gusto di qualcosa che ha perso il suo obiettivo originario – vendere un prodotto – ed è diventato semplicemente bello come un qualsiasi prodotto culturale.

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