Attualità

Rotterdam

Maggiore porto d'Europa, muscolo d'Olanda, ma anche automatizzazione e innovazione di trasporti, panorami artistici e nuove abitazioni.

di Nicola Bozzi

 
Marsiglia, Rotterdam e Amburgo, tre dei quattro più grandi porti d’Europa. Le porte del continente, sul mondo e sul nostro futuro. Pubblichiamo tre reportage dalle tre città, dal numero 13 di Studio. Qui Marsiglia.

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Sulla cima di una duna con il profilo così preciso da sembrare uscita da un rendering, di fronte a me finisce l’Olanda, e finisce l’Europa. Appena dietro, una filiera di pale eoliche che girano pigramente profila il piattissimo panorama. Costruita nel punto in cui l’Olanda si sfrangia nel Mare del Nord, la Maasvlakte 2 è l’ultima, definitiva estensione del porto di Rotterdam, e come tale si tratta di un progetto di interesse nazionale. Del resto, questa seconda «pianura della Mosa» è frutto di un controllo dell’acqua e del paesaggio che è quintessenzialmente olandese.

Fin dalla seconda metà dell’Ottocento, quando l’ingegnere idrico Pieter Caland diresse i lavori per collegare il delta del Reno e della Mosa al Mare del Nord, l’infrastruttura portuale della città di Erasmo ha continuato a farsi largo verso la foce, creando spazi anche dove non ce n’erano. Per la Maasvlakte 2 parliamo di 2000 ettari in più, un aumento di superficie del 20% ricavato anche grazie a milioni e milioni di metri cubi di sabbia, usati per asciugare il fondale. Il tutto costa all’autorità portuale quasi tre miliardi di euro, ma già nella prima fase (si starà in ballo fino al 2030) si guadagnano 4,5 chilometri di banchine.

Stando sull’argine che abbraccia questa immensa distesa in divenire l’orizzonte è fitto di gru e ciminiere fumanti (Rotterdam produce il 14% dell’energia olandese e il 25% delle emissioni, da dimezzare entro il 2025), che però si diradano quando ti avvicini con la macchina e la prospettiva si stiracchia.

Fino al 2004, il porto di Rotterdam era anche il più trafficato del mondo, prima che i colossi asiatici di Shanghai e Singapore lo sorpassassero

A pochi metri da strutture industriali che paiono pezzi di Lego giganti, lisci come veicoli alieni, FutureLand è l’unico, rassicurante rifugio. Con un design leggero e accattivante, questa sorta di museo accoglie il temerario visitatore nella propria dimensione fatta di resti di mammut, mastodontiche chiavi inglesi rugginose, e spiegazioni multimediali della Maasvlakte stessa, con tanto di touch screen e videoproiezioni su acqua. Al primo piano si può anche guardare fuori con dei binocoli, ovviamente per vedere dei moli in costruzione. Le navi arriveranno nel 2014.
Fino al 2004, il porto di Rotterdam era anche il più trafficato del mondo, prima che i colossi asiatici di Shanghai e Singapore lo sorpassassero. Ma al telefono Minco van Heezen, portavoce dell’autorità portuale, suona sicuro e tutt’altro che preoccupato per la concorrenza internazionale.

«Più che sulla competizione ci concentriamo sulle richieste dei nostri clienti», mi dice. I clienti di cui parla sono principalmente gruppi che si occupano di trasporto container o energia (petrolio, carbone, ma anche biomassa) come la danese Maersk o MSC. «E poi ci sono le persone che vivono vicino al porto». Per evitare controversie (come successo con la Betuweroute, costosissima e criticatissima ferrovia che collega Rotterdam alla Germania) quando si è trattato di estendere nuovamente il porto il processo decisionale è stato più aperto. «Per le questioni ambientali abbiamo preso accordi con varie Ong. Il porto ha soddisfatto non solo il minimo imposto per legge, ma ha acconsentito anche a garantire che questa sarà l’ultima espansione. Faremo anche delle aree ricreative sul Mare del Nord».

A questo proposito, oltre a un programma di arte pubblica che, con l’aiuto della fondazione Skor, ha portato gente come Tomas Saraceno sulla nascente landa, l’autorità portuale ha ampliato la spiaggia al limite della Maasvlakte, una volta esclusivo appannaggio dei conoscitori. Van Heezen stima una media di 10 mila visitatori al mese, anche se il porto non ha in programma operazioni di marketing per trasformarsi in una meta turistica. L’uso dell’area è permesso e incoraggiato, ma non ci sono collegamenti con i mezzi pubblici e alla spiaggia ci si arriva solo in macchina – o, per i più tonici, in bici.

I Rietveld sono molto affascinati dai porti e per questo il loro lavoro al Maasvlakte è molto sottile

Per mantenere questo doppio standard di porto puro ma amichevole, il presidente dell’autorità portuale ha contattato la Rietveld Landscape. Lo studio è famoso per progetti radicali e di impatto, che rivoltano il potenziale dei luoghi in cui intervengono: per stimolare il riciclo di spazi abbandonati e sfidare la paura dei rischi, nel 2011 i fratelli Ronald ed Erik (uno architetto e l’altro filosofo) hanno riempito di bidoncini infuocati un edificio a Maastricht, illuminandolo in modo che da fuori sembrasse in fiamme. L’anno prima, per renderne visibile l’interno, avevano invece tagliato a metà un bunker, monumento nazionale.

I Rietveld sono molto affascinati dai porti e per questo il loro lavoro al Maasvlakte è molto sottile. «Ci hanno chiesto cosa fare per migliorare visivamente il porto. Abbiamo risposto: niente». Nel loro ufficio a Westerdok, zona portuale ma cool di Amsterdam, Ronald mi spiega come i tempi in cui i marinai attraccavano per poi fiottare al Red Light District siano finiti. Adesso sulle navi la gente è poca, e al porto quasi tutto è automatizzato. Inoltre, lontana dai vecchi moli cittadini, la Maasvlakte sta al limite estremo dell’Olanda, dove correnti marine, vento e altre qualità naturali rendono l’area perfetta per il surf, o anche solo gite in macchina.

«Questa è una duna d’asfalto di 50 metri», mi mostra un rendering. «Se fai una cosa del genere la gente la userà per forza in modo imprevedibile, e noi vogliamo incoraggiarlo.» Il fatto che la gente venga in auto significa che ciascuno si porta dietro il proprio spazio, non serve troppo design. «Il design distrugge il porto. Non è una città, è un paesaggio deserto dove puoi fare cose che altrove non potresti fare.» Per questo, più che aggiungere, i Rietveld preferiscono togliere. «Abbiamo proposto di rimuovere tutti gli alberi lungo l’autostrada vicino al porto, in modo da aprire una bellissima visuale panoramica. Sembra una cosa semplice, ma è di grande impatto. A volte bisogna togliere per far vedere le cose».

Che il porto e la sua estetica ruvida e industriale siano il marchio distintivo di Rotterdam è indubbio. Se Amsterdam è la faccia pulita dell’Olanda, Rotterdam ne è il muscolo. Se gli olandesi sono sempre stati un popolo di commercianti e colonialisti, la città di Erasmo ne incarna la natura più meticcia, cangiante e dissonante, abbracciandone i bordi più distanti. E questo si vede soprattutto in centro, con i rossi lampioni a forma di braccio meccanico di Shouwburgplein e le gru perenni vicino al ponte Erasmo (per non parlare dello spettro melaninico, decisamente più vivace rispetto alla monocromia che contraddistingue il cuore della sorella maggiore sull’Amstel). La bellezza più immediata di Rotterdam sta, paradossalmente, nella bruttezza ballardiana dei grattacieli del Central District, o nel look ultramoderno eppure in qualche modo già sciatto e desueto delle case-cubo di Blaak. Quella più sottile è invece la sua asimmetria, il suo sorprendente svilupparsi a strappi.

Probabilmente il baricentro più rappresentativo del rapporto tra città e porto è l’ex bacino di carenaggio ribattezzato RDM Campus. La sigla una volta stava per Rotterdamsche Droogdok Maatschappij, adesso sta per Research, Design and Manufacturing. Questo monumentale complesso fa parte dei vecchi porti cittadini della città e al momento ospita il quartier generale di Stadshavens, un’iniziativa che sta cambiando moli e quartieri limitrofi. Ispirato a progetti come la HafenCity di Amburgo e finanziato per metà dalle autorità cittadine e per metà da quelle portuali, in una sinergia pubblico-privata che sembra tenere d’occhio gli interessi cittadini, il programma è ambizioso: riguarda un totale di ben 1600 ettari ed entro il 2025 dovrebbe portare alla creazione di 13 mila posti di lavoro e 5000 nuove residenze vicino alla Mosa – o addirittura galleggianti su di essa. Ben 14 dei progetti coinvolti dovrebbero essere realizzati entro il 2015.

L’ufficio di Stadshavens è caratterizzato da un diffuso verde pastello e da una luminosa visuale sul molo. Ci incontro Jillian Barendregt, responsabile dell’organizzazione ben felice di caricarmi di opuscoli e spiegarmi il succo. «Siccome il porto si sta allargando verso ovest e le sue attività più strettamente commerciali si sposteranno in quella direzione, da cinque anni ci stiamo concentrando sui vecchi porti cittadini. L’idea è di rinforzare l’economia locale rendendoli anche luoghi per vivere e lavorare.»

Nell’ultimo decennio l’autorità portuale e il politecnico di Rotterdam hanno investito un sacco di soldi nel rinnovamento degli spazi del molo

Jillian comincia proprio dall’RDM. Il massiccio complesso che ospita l’ufficio risale ai primi del Novecento e, fino alla Seconda Guerra Mondiale, vi venivano costruite navi militari e, dopo, da crociera. Nel 1914, come si faceva in Inghilterra, la compagnia che gestiva l’attracco ci fece costruire intorno case per i propri lavoratori e le loro famiglie, creando una vivace comunità. Negli anni ‘80, però, il molo andò in bancarotta e da quel momento l’occupazione continuò a calare drasticamente. Fino alla riqualificazione.

Nell’ultimo decennio l’autorità portuale e il politecnico di Rotterdam hanno investito un sacco di soldi nel rinnovamento degli spazi del molo, i primi intensificando il trasporto via acqua ogni mezz’ora e i secondi istituendovi i propri laboratori pratici. Anche il centralissimo museo Boijmans van Beuningen ha lanciato un programma artistico proprio in un capannone dietro l’angolo, il Submarine Wharf.

Nelle casette circostanti, basse, brune e marcate da quei fronzoli espressionisti in mattone tipici dell’architettura olandese della prima metà del Novecento, vivono ancora molti anziani ex dipendenti della compagnia, ma si sta tentando di aprire la zona a giovani e studenti. In questo l’aiuto è arrivato dall’università di Delft, che ha già costruito nella zona una casa prototipo nell’ambito del suo Concept House Village, un esperimento in edilizia sostenibile.

Dalla finestra dell’ufficio di Stadshavens si vedono anche quelli che Jillian mi presenta come Merwe-Vierhavens. «Non è troppo bello a vedersi», commenta, ma indicando la mappa si entusiasma. «Lì i nuclei forti sono medicina, cibo e clean-tech. Medicina perché il centro medico dell’Erasmus University non poteva ospitare attività di laboratorio e noi gli abbiamo dato spazio nella Rotterdam Science Tower. Per quanto riguarda la clean-tech, invece, Rotterdam ha un sacco di esperienza nel controllo dell’acqua. Città come Venezia e New Orleans la tengono in alta considerazione, è vendibile. Siccome non c’è nessuno che gestisca l’acqua meglio degli olandesi, pensiamo che Rotterdam possa essere un hub per l’industria idrica. Qui c’è anche il Netherlands Water Center».

Insomma, Stadshavens vuole sfruttare al massimo i porti cittadini e quello che ci sta in mezzo. «La città si addenserà nei prossimi anni, e stiamo cercando modi di farci aiutare dall’acqua», dice Jillian. In programma ci sono padiglioni, uffici e case galleggianti, tutto collegato sostenibilmente via Mosa. La crisi ha ovviamente rallentato le cose, ma si cerca di facilitare la trasformazione con il marketing. E poi ci sono le buone vecchie attività marittime.

Eemhaven e Waalhaven, sul lato sud del fiume, vedranno infatti consolidare la propria identità commerciale, concentrandosi su chiatte e navi di piccola taglia per la spedizione interna o a corto raggio, mentre quelle a lungo raggio attraccheranno lontane dalla città. L’intenzione è di raddoppiare il volume di trasporto dei container, portandolo a 2,4 milioni di tonnellate TEU entro il 2025, e di trasformare il distretto nell’hub di trasporto a corto raggio più grande d’Europa.

Quanto agli sviluppi residenziali, i riflettori sono su Rijnhaven e Maashaven, in particolare nel quartiere di Katendrecht, ex China Town piuttosto malfamata. «Ci saranno nuove abitazioni per famiglie giovani, a medio reddito», spiega la Barendregt. «Grazie al ponte che abbiamo aperto l’anno scorso si è più vicini al centro, ci si va anche in bici. Dieci, quindici anni fa era un quartiere a luci rosse, adesso invece sarà il posto più cool dove vivere a Rotterdam». Dietro l’angolo c’è Kop van Zuid, anche quello quartiere malfamato fino agli anni ‘90, dove con il completamento del ponte Erasmo è iniziata la risalita. L’accostamento di acqua e nuovi edifici ultramoderni lascia ancora il paesaggio molto rarefatto, ma ormai tra musei di fotografia, hotel e fiere d’arte (in primis Art Rotterdam), si tratta di una delle zone più ad alto profilo in città.

È proprio in un break tra i molti eventi della settimana dell’arte che faccio due chiacchiere con Sjarel Ex, direttore del Boijmans e curatore del programma al Submarine Wharf. «L’autorità portuale mi ha chiesto se conoscevo qualcuno che potesse entrare nel comitato e supportare l’arte a Rotterdam. Gli ho detto che ci venivo io». Il progetto di Ex consiste in cinque mostre che portino la classe creativa a visitare l’RDM. «Il porto paga parte del budget, noi facciamo manutenzione e alla fine cureremo il catalogo». La prima installazione ha visto protagonista Atelier van Lieshout, collettivo fortemente legato alla città e nel 2001 fondatore, proprio al porto, di un mini-Stato indipendente. Con il secondo e il terzo capitolo (rispettivamente Elmgreen & Dragset e Sarkis) il numero dei visitatori è calato, ma Ex si ritiene comunque soddisfatto: «Nel corso dei cinque anni circa 50.000 membri della classe creativa avranno visitato quel posto e si saranno fatti un’idea. Per il momento già diverse compagnie teatrali e artisti si dicono interessati a trasferirsi lì».

«Siamo una città remota, devi saperlo che ci siamo. Essendo in continuo sviluppo, però, a Rotterdam c’è sempre una chance per l’utopia. È bello poter rischiare»

Quanto al fattore ispirazione di Rotterdam, mi racconta un aneddoto: «Una volta ho fatto una mostra con Carsten Höller, avevamo un meeting. Dopo qualche ora mi chiama dicendo che è in ritardo, ha sbagliato strada ed è finito al porto. Era rimasto così colpito dal paesaggio che ci ha girato tutto il pomeriggio».

Parlando di arte, quando faccio il paragone con Amsterdam il direttore del Boijmans mi spiega la differenza: «Rotterdam è un laboratorio, agli artisti piace vedere lo spazio, il vuoto e l’ispirazione che ne deriva. Il 20% dei nostri visitatori viene dall’estero, ad Amsterdam è l’80%. Siamo una città remota, devi saperlo che ci siamo. Essendo in continuo sviluppo, però, a Rotterdam c’è sempre una chance per l’utopia. È bello poter rischiare».
Tornando al vuoto, il potenziale di cui parla Ex, direi che è senza dubbio qualcosa di significativo in un territorio poco esteso e altamente pianificato come l’Olanda. La sgranatura della città è una discontinuità stimolante, ma c’è chi sostiene che oltre al porto ci siano altre zone da sviluppare, come il Central District. Pieno di palazzoni di uffici semivuoti come lo Schieblock, la zona è stata eletta a «test site» dalla biennale di architettura locale e da qualche anno è oggetto di vari progetti di riqualificazione, più o meno temporanei.

Quando ho sollevato la questione nelle mie interviste ho avuto risposte diverse. Dal punto di vista dell’amministrazione cittadina e di Stadshavens è normale che i soldi per lo sviluppo tendano a concentrarsi sui quartieri adiacenti le sponde della Mosa, essendo il porto il cuore pulsante della città. Secondo l’amsterdamese Rietveld, invece, espandere la città seguendo l’estensione del porto senza lavorare su una maggiore concentrazione nel centro cittadino può essere un problema: si rischia di fare più cose a metà invece che una per bene.

Forse però, fuori dal Klassieker (il ricorrente scontro calcistico tra Feyenoord e Ajax), non vale la pena contrapporre la città di Erasmo alla capitale. In un documentario ho visto Richard Florida dire casualmente che, in futuro, Rotterdam dovrà inevitabilmente rassegnarsi a essere inglobata da Amsterdam. Può essere, forse tra cinquant’anni la città sarà solo l’appendice portuale di un grande agglomerato urbano, ma per il momento – dalla sconfinata Maasvlakte ai riscoperti moli cittadini – Rotterdam non potrebbe essere più fiera del proprio porto. E prima di salutarci, infatti, la Barendregt mi raccomanda: «Rotterdam è la porta dell’Europa. Mettilo nell’articolo!»

Dal numero 13 di Studio
Nella foto, un’immagine del porto di Rotterdam, di Freek van Arkel