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16:23 giovedì 18 settembre 2025
Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese Anche perché, vincendo, The Sea è automaticamente candidato a rappresentare Israele agli Oscar per il miglior film internazionale.
Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano Dalla Palma d’Oro a Cannes alla candidatura francese agli Oscar, il viaggio di Jafar Panahi attraverso le crepe della politica e del cinema
Sulla tv del ministero della Difesa russo c’è uno show fatto con l’AI che trolla i politici stranieri Macron con i bigodini rosa, Trump che parla di gabinetti dorati, von der Leyen in versione soviet: questo il meglio che la "satira" russa offre.
Il late show di Jimmy Kimmel è stato sospeso per dei commenti di Kimmel su Charlie Kirk Commenti che però Jimmy Kimmel non ha mai fatto.
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 

Estetica di un leak

Con i Panama Papers, il giornalismo si manifesta definitivamente come forma d'arte: il pensiero narrativo sta cambiando i media e il mondo.

05 Aprile 2016

A Storm Is Coming è uno dei titoli sul sito dedicato della Süddeutsche Zeitung. Una tempesta sta arrivando.  Appunto: sta arrivando e nei prossimi giorni e settimane si capirà e si parlerà di quello che i Panama Papers contengono. Per il momento ciò che colpisce della giornata passata è soprattutto quello che c’è intorno e fuori alla notizia che tutti i siti del mondo hanno rappresentato con grafiche cubitali.

Ho letto status e tweet di persone molto eccitate per la faccenda. Stelline, cuori e un sacco di rumore con il sottotesto politico: “stanno smascherando i ricchi e i potenti”. Ma queste reazioni più che basarsi su dati reali, sembrano, almeno per il momento, frutto di un’atmosfera. Lo dico anche perché la prima sensazione che ho provato aprendo questo sito è stata un’emozione di tipo estetico. Il giornalismo è definitivamente un fatto estetico, ho pensato. È una cosa di fronte alla quale più che la voglia di sapere, scatta il tipo di giudizio che esprimiamo davanti a una serie tv: una relazione seduttiva, più che informativa. È un romanzo di Graham Greene, di Joan Didion, o John Le Carré, con le infografiche, i box interattivi e i video e la colonna sonora inquietante. Il titolo è già fascinosissimo di suo: Panama Papers, esotismo coloniale in purezza. I numeri e i documenti sembrano avere la funzione per cui vengono utilizzati nei romanzi; non importa tanto cosa c’è scritto, importa che abbiano lo status di “prova”, che serve a dare credibilità a un universo immaginativo. Sono veri in realtà, ma più che per la loro verità vengono utilizzati per produrre un effetto di verità. Altrimenti, prima di dare i documenti in pasto a noi, avrebbero selezionato quelli importanti per darci le informazioni.

PANAMA-CANAL-FEATURE

Attenzione: non voglio sostenere provocatoriamente che i Panama Papers siano una montatura, sto solo ponendo l’attenzione su quanto il pensiero narrativo stia cambiando i media e il mondo. Viene da dire «bellissimo» guardando il video introduttivo della Süddeutsche Zeitung. Ed è infatti bellissimo: la chat tra i giornalisti del quotidiano tedesco e l’informatore che appaiono e poi rimpiccioliscono fino a sistemarsi sullo sfondo. Come nell’incipit di una qualunque Bourne Saga, John Doe (il nome fittizio dell’informatore) che dice: Hello. This is John Doe. Interested in Data? Il giornale che risponde: We’re very interested. La musica cupa e metallica, appunto. La schermata di dati che allagano lo schermo. La scritta in rosso The secret of dirty money.

Se ci si collega all’International Consortium of Investigative Journalists,  il montaggio è meno spettacolare, ma il lettore utente viene coinvolto in primo piano nell’indagine. Si clicca sui potenti, uno per uno, e si seguono le direzioni che hanno preso i loro investimenti, per esempio i soldi nascosti all’ombra delle palme da sauditi coinvolti in traffici loschi con fazioni in guerra. È oltremodo arduo capirci qualcosa, ma ancora una volta è l’atmosfera che ci avvolge la cosa più interessante, la possibilità di entrare in un mondo nascosto che, in fondo, più che indignarci, ci affascina, più che chiamare alla partecipazione, chiede immedesimazione.

PANAMA-US-TRUMP-BUILDING-CLUB

L’altra segno forte di Panama Papers – una conferma – è che nel giornalismo, così come in letteratura da sempre, la mole sta diventando un valore in sé. Era successo di recente, è solo uno dei molti esempi, con l’indagine sullo scandalo Fifa pubblicata da ESPN, in cui si finiva per sfogliare cliccare e soprattutto restare impressionati dall’estensione della cosa, ma Panama Papers sembra veramente la Ricerca del tempo perduto del giornalismo. Un lunghissimo lavoro di un anno. Un’immensa mole di dati. Tutti i titoli e i sottotitoli visti sui siti insistono su questo punto. «A massive document leak» (Vox). «The largest data leak journalists have ever worked with» (Süddeutsche Zeitung). «Biggest leak in history» (The Guardian). Lo stesso quotidiano tedesco ha pubblicato innanzitutto due grafici intitolati rispettivamente “The scale of the leak”, con la grandezza in dati del dossier (2,6 Terabyte), e “The structure of the leak”, con la divisione dei dati per tipo di file (circa 5 milioni di mail, per esempio). Non c’è bisogno neanche di un contenuto, è una massa che crea da sola il suo racconto ed esercita da sola la sua potenza. Il New York Times è stato forse l’unico giornale a titolare nel più sobrio modo possibile “Panama Law Firm’s Leaked Files Detail Offshore Accounts Tied to World Leaders”.

Le redazioni hanno già iniziato il lavoro di selezione, eppure quello che per prima siamo stati chiamati a osservare è una dimensione, non tanto cioè un insieme di fatti, quanto una cosa che deve sedurre il lettore innanzitutto per la sua grandezza. E noi ci avviciniamo a questa gigantesca cartella giornalistica con lo stesso spirito con cui possiamo avere affrontato L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, una sfida intellettuale, che ci lascerà il ricordo di un’esperienza estetica.

Immagini tratte da un reportage su Panama (Rodrigo Arangua/AFP/Getty Images).
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