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Storia del rave in Italia e dei suoi flyer

Pablito el Drito, protagonista dell'underground milanese e autore di Senza chiedere permesso, ci racconta la scena rave italiana attraverso un archivio di immagini raccolte dall'inizio degli anni Novanta.

di Antonella Di Biase

Pablito el Drito, aka Pablo Pistolesi, è una figura di riferimento della scena underground milanese. Un personaggio eclettico che puoi incrociare spesso agli eventi di un certo tipo, in veste di venditore di libri indipendenti, come performer con il suo Gameboy in un live 8 bit, come manifestante e attivista, oppure con la sua borsa di dischi che si prepara per un viaggio vinilico. È un testimone diretto della scena rave italiana, che con il passare degli anni ha sentito il bisogno di storicizzare, ma anche un esperto di spaccio e sostanze che girano in quegli ambienti. Su questi temi ha pubblicato diversi libri, sempre con la casa editrice Agenzia X. L’ultimo, Senza chiedere permesso. Flyer e immagini del rave è uscito qualche giorno fa. Una ricerca visuale formata da circa 350 volantini scannerizzati, che per quanto mi riguarda poteva uscire per Taschen ed essere venduto a 50 euro. «Ma è proprio per questo che l’ho pubblicato con Agenzia X, così costa 15 carte», mi ha risposto quando gliel’ho fatto notare.

Questo è il tuo terzo libro a tema rave, stavolta ti sei concentrato sull’aspetto estetico: flyer, film, fumetti, libri, musica. Come si è svolta la tua ricerca? In parte immagino sia legata ai tuoi ricordi, ma allo stesso tempo è parecchio sistematica…
Dopo l’uscita del mio secondo libro, Rave in Italy, un numero imprecisato di persone mi ha inviato più di mille foto di flyer. Alcuni erano organizzatori di party, altri i disegnatori dei flyer, altri ancora semplici partecipanti alle feste. Sono partito dalle immagini. Guardandole mi sono venuti in mente una serie di prodotti culturali, in maggioranza fantascientifici, che in qualche modo potevano avere ispirato le grafiche. Quindi ho chiesto conferma ad alcuni degli autori, anche per capire attraverso quali percorsi individuali approdarono alla scena rave 1993-2003.

I flyer più vecchi risalgono appunto al 1993, quest’anno è l’inizio di tutto?
Be’, il 1993 è stato l’anno in cui quattro città – Torino, Bologna, Milano e Roma – hanno ospitato i primi rave autorganizzati. Si trattava di un fenomeno nuovo, che rappresentava un taglio netto con le logiche discotecare (biglietto, buttafuori, dress code, Siae, etc.) ma anche con i primi “finti rave” commerciali, che altro non erano che spin-off delle discoteche, anche se organizzati in magazzini e campi di patate…

A proposito, durante il Fuorisalone 2023 in città si parlava di un presunto rave di Ikea. Ti dà un po’ fastidio questa appropriazione? La vivi come tale? Anche la moda ultimamente ci sta mettendo del suo…
Il sistema della moda è un tritatutto. Mi viene in mente che dopo il G8 di Genova alcune sfilate di alta moda sembravano una parata di black bloc. Riguardo a Ikea, diciamo che semplicemente spesso si abusa del termine rave, che è un evento costruito dal basso, messo su senza chiedere permesso. Non una festa organizzata in location esotiche con le logiche del business o del marketing.

Il libro è dedicato all’artista Matteo Guarnaccia che, oltre a essere un tuo amico, è stato una figura di riferimento. Cosa gli deve la scena?
Matteo ha ispirato sicuramente molto l’ala “goana”, che si rifà all’estetica hippie e psichedelica. Secondo me è stato non solo un grande artista visivo, ma anche uno scrittore molto brillante. Io lo conobbi a un incontro sulla controcultura americana organizzato al circolo anarchico Ponte della Ghisolfa e da allora siamo rimasti in contatto. Ho avuto anche la fortuna di collaborare con lui ad alcuni progetti artistici, per me è stato un maestro.

Tornando ai volantini, cosa c’è nell’immaginario fantascienza/cyberpunk che ha affascinato così tanto la scena rave, secondo te?
La fantascienza cyberpunk è stata rivoluzionaria in quel momento storico: al centro non c’è più lo spazio, come nella fantascienza classica, ma il corpo. Inoltre, il cyberpunk è legato a una nuova forma di psichedelia, più implosiva e introspettiva rispetto a quella hippie, più da ketamina che da Lsd. Non a caso William Gibson, il più importante esponente di questo filone della fantascienza anni ‘80, definisce il cyberspazio «allucinazione consensuale». Il sogno di pace, libertà e fratellanza degli anni ‘60/’70 si è trasformato nella disillusione dell’individualismo economico post Reagan e Thatcher. Per i raver l’Apocalisse c’è già stata, ci si può solo ritagliare il proprio spazio al suo interno.

Da lì l’idea di occupare gli spazi industriali abbandonati?
Sì, negli anni novanta, con la deindustrializzazione, era normale provare curiosità per gli edifici non più utilizzati. Ce n’erano a bizzeffe, e occuparli ci sembrava giusto e naturale. Erano dei set perfetti per le nostre prime sperimentazioni con le sostanze. Concettualmente, si prendeva ispirazione dagli autori di riferimento. C’era un grande amore per Burroughs, non solo perché aveva capito la centralità delle sostanze nella società a venire, ma anche per alcuni concetti che ha introdotto, come ad esempio quello di “interzona”. Un altro ispiratore è stato ovviamente Hakim Bey, un anarco-hippie intriso di esoterismo, con il suo leggendario pamphlet T.A.Z. Zona Temporaneamente Autonoma, pubblicato in Italia a metà anni ’90 da Shake Edizioni Underground.

Italia come l’Inghilterra trent’anni fa: nel 1994 vennero banditi i rave nel Regno Unito, da noi nel 2023 arriva una legge durissima, cosa è successo secondo te?
Il governo per legittimarsi crea capri espiatori: stranieri che minacciano l’italianità, gay che minacciano la mascolinità, poveri che non han voglia di lavorare, etc. Hanno deciso di creare un nuovo soggetto criminale: il raver, pericoloso quasi come un mafioso o un brigatista – infatti chi organizza rave rischia poco di meno di chi organizza associazioni criminali: da due a sei anni di carcere invece che da quattro a sette. Quel decreto è una barzelletta che non fa ridere…

A un certo punto dici che questo tipo di repressione potrebbe scatenare un potenziale violento, di ribellione… A me sembra abbastanza difficile, vedo gli italiani sempre più remissivi.
Quello italiano è un popolo di vecchi, ma vedo ovunque segni di insofferenza, soprattutto nelle grandi città. Non credo che la maggioranza dei giovani si beva la propaganda del governo. Oltretutto la violenza, non solo quella delle polizia ma anche quella economica, viene sempre più spesso denunciata da chi la subisce. Basta una scintilla per dare fuoco alla prateria: il futuro non è ancora scritto, lo determinano le azioni di ognuno di noi. Bisogna avere la capacità di vedere oltre, di sognare qualcosa di meglio del grigiore che ci propongono politici e burocrati.

Per concludere, qui su Rivista Studio si parla molto di libri. Tre classici imprescindibili per chi vuole farsi una cultura sul rave? Anche dal punto di vista musicale.
Mondo Techno di Andrea Benedetti, Energy Flash. Viaggio nella cultura rave di Simon Reynolds, Rave New World di Tobia d’Onofrio.