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Chi era Ovartaci, l’artista outsider della Biennale di Venezia
Nato uomo, ha scelto di diventare donna firmando i suoi lavori più conosciuti e poi è tornato uomo: la vita, l'arte e il ricovero durato mezzo secolo di Louis Marcussen.
Ovartaci, The old main building of the Hospital in Risskov, no date © Museum Ovartaci. Private Collection. Courtesy: Foundation of Museum Ovartaci, Aarhus
C’è chi ha passato tutta la carriera di artista superstar vestito come una pensionata con borsetta e fiocco rosa in testa e chi ha scelto di non apparire mai in pubblico. C’è chi ha trasformato se stesso in una scultura in perenne evoluzione e chi si è rivelato addirittura un assassino. Che l’arte sia da sempre l’habitat ideale per le menti più folli, anticonformiste e stravaganti del genere umano, è cosa nota. Eppure raramente ci si è imbattuti in una figura come quella del danese Louis Marcussen, in arte Ovartaci. Le sue opere, solitamente raccolte nell’omonimo museo di Aarhus, sono in scena proprio in questi giorni alla Biennale di Venezia in occasione della mostra Il latte dei sogni (fino al 27 novembre).
Originario di Ebeltoft, piccolo centro di quindicimila anime sulla penisola dello Jutland, Ovartaci è stato un personaggio unico nella storia dell’arte (e forse non solo in quella). Nato uomo, ha scelto di diventare donna firmando i suoi lavori più conosciuti. Poi, quasi per chiudere un cerchio, ha cambiato nuovamente sesso tornando ad essere un uomo. Un viaggio estremo che però gli ha permesso di creare opere visionarie e oniriche che sembrano uscite da un libro fantasy. Le sue figure ricordano le sfingi egizie ma anche silhouette aliene; donne dagli arti allungati e dagli occhi sottili. Creature antropomorfe che flirtano con la natura, col mondo animale e con l’artista stesso. La curatrice della Biennale, Cecilia Alemani ha dedicato a Ovartaci un’intera sala del padiglione centrale, dove le sue creature sembrano arrampicarsi sulle pareti e popolano le teche di vetro come fossero reperti biologici in formaldeide.
Ma chi era davvero Louis Marcussen? Il mistero è fitto. Si sa che nasce nel 1894 in una delle famiglie più ricche della regione. Si sa anche che da giovane pratica yoga, studia buddismo e si appassiona alla musica e alla letteratura. Inizia a dipingere da bambino. La prima svolta fondamentale della sua vita arriva a 19 anni quando decide di partire per l’Argentina. A Buenos Aires però fa la fame, gira come un vagabondo. Sono gli anni Venti. Per un lungo periodo si trasferisce nella giungla delle province settentrionali e vive con gli indiani sperimentando ogni droga possibile. Quest’esperienza lo segnerà per sempre. Quando, nel 1929, rientra in Europa su una nave mercantile che trasporta carbone, è già un’altra persona. Louis è diventato paranoico, si vede circondato da strane figure, che racconta attraverso sculture, disegni, dipinti. La famiglia lo fa subito internare in un ospedale psichiatrico, dove gli viene diagnosticata la schizofrenia. Vi resterà per i successivi 56 anni. Oltre mezzo secolo.
Inizia così la sua metamorfosi. Louis decide di cambiare nome. Ora si fa chiamare Ovartaci, ma a volte anche Ivarygaci, Pupparpasta e Luis Goncalez. Viene trasferito nella casa di cura psichiatrica Dalstrup a Djursland, dove vive nel più completo isolamento. Affresca tutte le pareti della stanza in cui è recluso con figure femminili alte e snelle, di cui puntualmente si innamora. Realizza poi alcune bambole di cui è attratto sessualmente. Viene subito trasferito a Risskov. Ma la sua lotta con le pulsioni sessuali è appena iniziata. Una lotta impari che, secondo lui, può vincere solo in un modo: facendosi castrare. Dopo qualche remora, i dottori lo accontentano. Ma l’attrazione verso il corpo femminile non scompare, anzi. Chiede allora ai medici un altro passo, ancora più estremo: farsi amputare il pene. «È la radice di tutti i mali», racconta. Ma il personale sanitario stavolta si rifiuta. Così decide di fare tutto da solo. Nel 1954 si evira con un martello e uno scalpello nel laboratorio della falegnameria dell’ospedale. Sembra un film dell’orrore, ma è tutto vero. Il gesto stravolge la sua vita che prende una piega più spirituale. «Ciò che è essenziale», dice, «è l’amore dell’anima. La purezza sta nel fatto che la donna ha il controllo dei suoi impulsi, mentre per l’uomo vale esattamente il contrario».
Quest’ammirazione per il genere femminile lo porta alla decisione di cambiare sesso. Altro cambio radicale. Siamo però negli anni Cinquanta e in Danimarca domina il pensiero della chiesa evangelica-luterana. Il desiderio di Ovartaci sembra irrealizzabile. Ma inaspettatamente, ciò che inizialmente sembrava impossibile alla fine accade. L’operazione per il cambio sesso si fa. La conduce un certo dottor Barefoot che nel 1955 esegue la prima parte dell’intervento chirurgico (la seconda avverrà due anni più tardi). L’artista, che non ha mai smesso di dipingere, ha 63 anni. Inizia a indossare abiti femminili e si fa crescere i capelli fino alle spalle. Pretende di essere trasferito nel reparto femminile. Trascorre le sue giornate nel suo atelier. E quando non lavora, gira il paese in bicicletta. Sono gli anni in cui realizza i suoi lavori più importanti.
Nel 1972, l’ennesimo stravolgimento. A un’infermiera del reparto confessa: «Non si può diventare donna così. Mi chiamo Louis Marcussen e sono un uomo…». Alla fine, nel corso della sua esistenza, Ovartaci avrà vissuto 15 anni da donna/transgender e 76 anni da uomo. Il coronamento della sua carriera lo avrà nel 1979 quando le sue opere finiscono nelle sale del museo Louisiana di Humlebæk, vicino Copenhagen in occasione di una collettiva dedicata agli artisti outsider. È il suo canto del cigno. Negli ultimi anni le visioni diminuiscono, l’animo irrequieto dell’artista sembra placarsi. Louis muore nel 1985 a 91 anni nel suo letto dell’ospedale psichiatrico di Risskov. È circondato dai suoi quadri. Immortalati, i fantasmi che lo hanno accompagnato per tutta la vita.