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A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.
Il ministero della Giustizia americano ha fatto prima sparire e poi ricomparire una foto di Trump con Epstein Il Department of Justice sostiene che tutto è stato fatto per «proteggere delle potenziali vittime di Epstein» ritratte nella foto.
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.

Ottavio Missoni, storia di un uomo eccezionale

Atleta prima, stilista poi, un racconto della lunga carriera di un uomo che è stato simbolo perfetto del secolo che ha vissuto.

11 Febbraio 2021

Se Ottavio Missoni fosse ancora qui con noi, oggi avrebbe soffiato su cento candeline. Tanti sono gli anni che questo straordinario personaggio italiano del ‘900 avrebbe compiuto, essendo nato l’11 febbraio del 1921. Un crocevia di radici (era nato a Ragusa, oggi Dubrovnik, che nel 1921 apparteneva al Regno dei serbi, croati e sloveni) e di talento: è stato un campione di atletica ma anche di stile e creatività. Una figura leggendaria, l’incarnazione perfetta dell’uomo del XX secolo, epoca scandita da guerre, migrazioni, colpi d’ingegno, sconfitte e clamorose rinascite. Missoni le riassumeva tutte su di sé. «Il mio successo più grande? Sono un vecchio senza padroni e spero di non aver rotto le scatole a nessuno». Quasi una filosofia di vita.  

Era nato in Dalmazia. Il papà Vittorio, originario della Giulia, la madre Teresa, nobildonna di Sebenico, in Croazia. Ottavio ha iniziato a girovagare presto. A sei anni si era già trasferito a Zara, dove rimarrà fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Alterna gli studi con lo sport. Corre i 400 metri prima e poi i 400 metri ostacoli. Una gara estenuante, faticosissima. Ma va veloce come un treno. Tanto che nel 1937 viene convocato in nazionale. L’anno dopo va agli Europei, mentre nel 1939 fa suo il titolo mondiale studentesco in Austria. Ma la guerra incombe. Missoni parte per il fronte. Non un fronte qualsiasi, ma El Alamein, dove finisce prigioniero degli inglesi. Nei campi di prigionia di Sua Maestà ci resta quattro anni. Come altri 350mila dalmati e istriani vive sulla propria pelle il dramma dell’esilio. Si ritrova a Trieste e decide di tornare a essere un atleta. Quindi, niente più caffè, niente più latte, niente più birra. Inizia a macinare chilometri in pista. Nel 1947 conquista il titolo italiano. Ma è il 1948 il suo annus mirabilis. Viene scelto come portabandiera degli azzurri ai Giochi Olimpici di Londra. È alto, bello, simpatico. In tribuna a Wembley c’è Rosita Jelmini che lo nota e se ne innamora. «Questo è l’uomo che sposerò», dice. E mantiene la promessa. La stessa sera i due si incontrano sotto la statua di Cupido a Trafalgar Square e si innamorano. Cinque anni più tardi diventeranno marito e moglie. Alle Olimpiadi Missoni arriva sesto nella finalissima dei 400 ostacoli, mentre nella staffetta 4×400 vede sfuggire il podio di un soffio per l’infortunio di un suo compagno di squadra. “Ottavio Missoni è apparso nel cielo della nostra atletica come una radiosa cometa”, scrive Gianni Brera. Alla fine della carriera si metterà in bacheca sette titoli nazionali, di cui uno nei 400 metri piani (1939), tre nei 400 metri ostacoli (1941, 1947, 1948) e tre nella staffetta 4×400 metri (1950, 1951, 1952). Ma per Ottavio è solo l’inizio del viaggio.

La famiglia della moglie Rosita possiede un’azienda che produce testi ricamati in provincia di Varese. Mentre lui a Trieste ha già avviato un laboratorio di maglieria. Fisiologico che i due sposi inizino a lavorare insieme. Prima in un capannone industriale di Gallare, poi a Sumirago, sempre nel Varesotto. Proprio questo piccolo centro di seimila anime diventerà per sempre il cuore nevralgico della famiglia. Il posto da cui tutto inizia e prende corpo. Nel 1958 la Rinascente di Milano gli commissiona 500 abiti a righe. Discreto e gentile, caparbio e ostinato, Ottavio, che a casa chiamano semplicemente Tai, applica nel lavoro la stessa tenacia che aveva in pista. Investe tutto nell’innovazione, mixa tecnica ed estetica. E fa centro. La prima collezione è del 1958, la prima sfilata è del 1966 al teatro Gerolamo di Milano. «Destammo scandalo» ricordava lui «Dissero che sfilavano le prostitute. Vicino al teatro c’era un albergo a ore. Le nostre modelle sembravano arrivare dritte da lì». Riesce a vedere cose che gli altri colleghi non vedono. Nel ’68 inventa dal nulla la sfilata “happening”, con una memorabile performance acquatica nella piscina Solari di Milano. È una voce fuori dal coro, non ama i vezzi tipici del mondo della moda e quell’aria frivola che avvolge le passerelle. «Per vestirsi male non serve seguire la moda, ma aiuta», dice parafrasando Gaber. E poi aggiunge: «Se dovessi iniziare oggi non mi metterei sicuramente a fare moda, ma mi occuperei di giardinaggio, farei l’architetto dei giardini, il giardiniere».

Sembra arrivare da Plutone. Niente feste, niente party. Lui e Rosita sono tutti casa e bottega, perché si considerano essenzialmente artigiani. Sempre con uno stile inconfondibile. E gli anni Settanta lo suggellano. La coppia firma arazzi coloratissimi, patchwork, righe e fiammati arcobaleno e quel “put together”, espressione con cui Ottavio spiega agli americani che si tratta di “mettere insieme” fantasie e tonalità che mai nessuno aveva osato accostare prima di allora, tanto più a zigzag. «I nostri fiammati prendono spunto dai vecchi scialli delle nonne», racconta. Nel 1973 i Missoni ricevono a Dallas il Neiman Marcus Fashion Award, una sorta di Oscar della moda. I loro tessuti vengono trattati come opere d’arte: nel ’75 a Venezia sono esposti come fossero quadri e sculture. Nel 1983, firmano i costumi di scena per la prima della Scala, la Lucia di Lammermoor. «Per me il colore è armonia, un’idea che si applica anche nella musica», spiega ancora lui.

È una marcia trionfale. Non si contano le mostre, non si contano i premi. Ottavio ha tre figli e nove nipoti. Si auto-definisce il capotribù. Nel gennaio del 2013, al largo dell’arcipelago di Los Roques, in Venezuela, la tragedia: in un incidente aereo perdono la vita suo figlio Vittorio e la sua compagna Maurizia Castiglioni. È un dolore immenso, che lo accompagnerà fino all’ultimo giorno. Che è il 9 maggio di quello stesso anno. Ottavio Missoni muore soltanto quattro mesi dopo il suo primogenito, nella villa di Sumirago, circondato dall’amore della sua grande famiglia. «La vecchiaia è una brutta malattia che si può curare, ma non guarire», ha detto in una delle sue ultime interviste, «Se sei in salute può anche essere una bella stagione della vita, però dura poco. Maledettamente troppo poco».

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