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Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.

Gli Oscar sono mezzi morti ma il cinema è più vivo che mai

Lo spettacolo dei premi ormai parla solo a sé stesso e ai suoi partecipanti, tanto più stavolta che non c’era un conduttore.

25 Febbraio 2019

Come fai, sbagli. Così dicevano le nostre nonne, e così devono aver detto i tizi che quest’anno hanno avuto la rogna di produrre la cerimonia degli Oscar. Li si immagina durante le riunioni a dire: che facciamo, chi chiamiamo, cosa ci inventiamo? E ad optare, alla fine, per il: niente. È andata male con il primo comico chiamato a condurre, e cioè Kevin Hart, reo di aver postato tweet omofobici dieci (dieci!) anni fa. La Hollywood di oggi, si sa, è retroattiva, non c’è prescrizione che tenga, e dunque sempre lì si torna: chi può vantare una fedina morale specchiatissima? Chi può dirsi immune da qualsivoglia macchia? Chi può spacciarsi per inappuntabile testimonial del neo-politicamente corretto? Basta togliere tutto, non coinvolgere nessuno, asciugare il più possibile: solo allora non ci saranno problemi di sorta.

Così è andata stanotte: nessun presentatore principale, perciò nessun monologo con le battute scomode, nessuna parodia dei film candidati, nessuno scossone anti-Trump prima della parata degli omini dorati. Niente di niente, per l’appunto. Anzi: un manipolo di straccioni pressoché sconosciuti al posto delle Sharon Stone di una volta. È questa la direzione verso cui sta andando il cinema? Parrebbe di sì. I film sono qui per non disturbare, stanno vivendo una fase di passaggio, e allora fanno di tutto per non attirare l’attenzione. Ne va del glamour, qualunque cosa significhi, o forse è da un pezzo che l’abbiamo perso.

Il paradosso è che il cinema non solo non è mai morto: oggi sembra più vivo che mai. Prende, semplicemente, forme e traiettorie diverse. Netflix, grande finanziatore di tanto cinema cosiddetto di qualità, mette a segno la sua prima grande vittoria istituzionale: Roma di Alfonso Cuarón si porta a casa tre statuette, tra cui miglior regia, film straniero, fotografia. È il sigillo definitivo: le nuove piattaforme sono ufficialmente protagoniste in termini produttivi e distributivi del mercato di Serie A. È uno scenario irreversibile, che Hollywood si trova costretta a digerire nella sua notte più importante. Il miglior film è l’ecumenicissimo Green Book di Peter Farrelly, perfetta quadra tra critici e pubblico classici. Ma lo streaming killed la sala tradizionale, ormai è un fatto.

Lo spettacolo dei premi, da par suo, parla come sempre solo a sé stesso e ai suoi partecipanti. Tanto più stavolta che, per l’appunto, non c’era un conduttore, un filtro qualsiasi a disturbare la lunga processione di gente che si premia a vicenda. La sorpresa è stata l’Oscar (meritatissimo) a Olivia Colman per La favorita di Yorgos Lanthimos, strappato a Glenn Close alla settima candidatura e dunque sicura di vincere. Unica botta di vita nel corso della consueta festa aziendale di metà inverno, e anche il riconoscimento a uno dei pochissimi film ancora pensati e prodotti alla vecchia maniera.

Perché il cinema d’autore, lo ripetiamo, ormai si rifugia sempre più spesso dove ci sono nuovi soldi o quantomeno più margine di scommettere spesso a fondo perduto (le piattaforme à la Netflix, per capirci). Mentre le grandi platee nelle classiche sale scelgono soprattutto l’intrattenimento smaccatamente pop. I premi non possono non tenerne conto. Tramontata l’ipotesi di un Oscar “del pubblico”, l’Academy ha dovuto a maggior ragione riconoscere i colossi miliardari di stagione: Black Panther, primo cinecomic candidato tra i migliori film, ha strappato un po’ di premi cosiddetti tecnici; Bohemian Rhapsody, sorprendentemente scampato alle accuse di molestie che hanno travolto il suo regista Bryan Singer, ha vinto pure lui qualche statuetta per così dire secondaria, ma anche quella per l’attore protagonista Rami Malek; A Star Is Born si è aggiudicato la migliore canzone, previa esibizione di Bradley Cooper e Lady Gaga da serata dei duetti a Sanremo.

Il futuro, allora, come sarà? Ci sentiremo ancora più legittimati a guardare i film direttamente dal divano (o dallo smartphone), visto che da oggi vincono pure i premi più rilevanti? E, dall’altra parte, il circuito delle sale tradizionali resterà, come la televisione, il posto dei Tale e quale show di lusso? Ma soprattutto: cerimonie come la notte degli Oscar avranno ancora un pubblico? I dati Auditel, o chi per lui, che saranno diffusi tra poche ore ci diranno che sono sempre meno gli spettatori di queste liturgie novecentesche. Forse ci vuole anche per loro una cura Baglioni. Così come il nostro Sanremo, appunto, s’è trasformato nel fortunatissimo karaoke collettivo sulle note di Avrai e Noi no, allo stesso modo gli Oscar possono tornare a vivere come grande festival della nostalgia. Mettete degli spezzoni dei vecchi film che noi anziani analogici conosciamo: tanto è a noi che parlano queste statuette, mica ai ragazzini. E vedrete che un po’ di magia forse ritorna.

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