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Bin Laden, quattro frasi per capire

04 Maggio 2011

“Ve l’avevamo detto”
Henry Foy su Foreign Policy
Dove “ve l’avevamo detto” sta per “ve l’avevamo detto che Bin Laden stava in Pakistan.” Henry Foy non parla tanto per sé, piuttosto dà voce al sentimento dominante che, il day after, si faceva sentire in India. Se c’era qualcuno che il day after festeggiava ancora di più degli americani, questi erano gli indiani. Acerrimi nemici dei pachistani, per loro l’uccisione di Bin Laden a pochi chilometri da Islamabad rappresenta la prova provata che il Pakistan ha sempre fatto il doppio gioco con gli americani, alleandosi formalmente (e in qualche caso sul campo) alla guerra al terrorismo quando faceva loro comodo, contemporaneamente offrendo ai vertici di al-Qaida un porto franco. Da qui, scrive Foy, “la corsa a trasformare questa notizia storica in una munizione” contro il nemico pachistano. In una parola: Schadenfreude. A proposito, Foreign Policy ha stilato una lista di tutte le balle rifilate dalle autorità di Islamabad all’“alleato” americano. Il titolo è tutto un programma: “Osama Bin Who?”

“Il trattamento del corpo del nemico dice molto della guerra in corso”
Giovanni De Luna, storico
Molto si è detto sulla sepoltura di Osama Bin Laden, avvenuta in mare e non in terra, come vorrebbe il rito islamico, sulla non-esibizione del suo corpo e sulla circolazione di foto taroccate del suo presunto cadavere. Giovanni De Luna, storico e autore del saggio Il corpo del nemico ucciso (Einaudi 2006) sostiene che la scelta di gettare la salma in mare rappresenta una scelta simbolica importante. Che, appunto, “dice molto della guerra in corso.” In questo caso, si tratta di “una guerra con un’entità priva di territorio,” descrizione calzante per descrivere quella nebulosa in continuo spostamento che nell’illusione che si tratti ancora di un network definibile ci ostiniamo ancora a chiamare Al-Qaida, che si sposta dal Sudan all’Afghanistan, dall’Iraq al Pakistan, dal Kenya allo Yemen. De Luna è tornato più volte sulla simbologia di un corpo cancellato e di una guerra senza territorio, prima in un’intervista a Repubblica poi nella trasmissione di Radio24 “Melog”. Il conduttore Gianluca Nicoletti aveva paragonato l’annichilimento della salma di Bin Laden allo scempio del corpo di Ettore da parte di Achille. Assai più banalmente, mi viene in mente la vicenda di Adolf Eichman, il gerarca nazista catturato dai servizi segreti israeliani, un’altra incarnazione del male assoluto, giustiziato, cremato e le cui cenere furono disperse in mare affinché di lui non rimanesse traccia.

“L’Afghanistan non è un paese per terroristi”
Hamid Karzai, presidente dell’Afghanistan
Se Bin Laden era in Pakistan, vuol dire che non era in Afghanistan. E se Bin Laden non era in Afghanistan, gli americani hanno una ragione in meno per restarci. Il presidente afgano ha colto l’occasione per cominciare a fare capire agli Stati Uniti che forse è il caso di prepararsi a levare le tende e rinfacciare loro le vittime civili: “Se le truppe internazionali sono veri alleati del popolo afgano, adesso dovrebbero ammettere pubblicamente che l’uccisione di molti afgani, donne, bambini e anziani, non è stata una buona idea”. Gli iraniani sono stati ancora più diretti: gli Usa non hanno più ”alcuna scusa” per restare in Medio Oriente, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Ramin Mehmanparast.

Ding Dong, The Witch is dead
Judy Garland
Avete presente il Mago di Oz? E i festeggiamenti musical-danzanti di Dorothy dopo la morte della cattiva strega dell’Est? Ecco, al alcuni titoli usciti il giorno successivo all’eliminazione di Bin Laden, erano quasi sotto tono. Per citarne alcuni: “Obama got Osama, yes he did”, dell’edizione internet di Abc. Notare il titolo e il sottotitolo. Non bastava essere scontati una volta? Neanche da commentare il “Rott in Hell” di The Daily News, dove il bon ton è sempre di casa. Stupisce un po’ l’“Osama Bin Gotten, the case of Joy” di The New Republic. Cavoli. Stiamo parlando di The New Republic, mica di Cronaca Vera.

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