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Un quadro fatto da un robot è stato venduto all’asta per un milione di dollari

Le intelligenze artificiali non ci porteranno via il lavoro, a meno che il lavoro di cui stiamo parlando non sia l’artista. Quanti artisti in carne e ossa possono dire di aver venduto una loro opera a un’asta Sotheby’s al prezzo di un milione di dollari? Pochi, pochissimi. Può dirlo Ai-Da, «artista roboumanoide ultrarealistica» (così la definisce il suo creatore, l’artista Aidan Meller, che chissà se è geloso del successo riscosso dalla sua creazione), la cui opera “AI God” è una pietra miliare nella storia dell’arte, almeno di quella fatta dalle macchine. Dopo un’asta durata 27 rilanci, l’opera è stata venduta per un milione di dollari. È la prima volta che succede e, siamo sicuri, non sarà l’ultima.

«Il valore del mio lavoro sta nella sua capacità di fare da catalizzatore, di facilitare il discorso sulle nuove tecnologie». Chi l’ha detto? L’ha detto Ai-Da, che come la più navigata delle artiste “organiche” ha anche concesso questa breve dichiarazione alla stampa dopo la fine dell’asta da Sotheby’s. «Il mio lavoro», ha detto l’artista roboumanoide, chissà se per rispondere a quelli che si stanno facendo la domanda: ma i soldi, alla fine, a chi vanno? A lei o al suo creatore? Al momento non è dato saperlo. I due, però, sembrano andare d’amore e d’accordo: Meller ha detto praticamente le stesse cose che ha detto Ai-Da – o forse è il contrario, difficile stabilirlo – e cioè che tutto quanto serve a parlare della «nostra ossessione per la tecnologia e per l’eredità che essa lascerà».

In mezzo a tutti questi interrogativi alla Philip K. Dick, si rischia di dimenticarsi che c’è anche un’opera d’arte di cui parlare. “AI God” è un ritratto di Alan Turing, realizzato da Ai-Da attraverso un raffinato meccanismo che comprende algoritmi, videocamere che funzionano come occhi, braccia meccaniche e, stando almeno a quanto dice l’autrice, ispirazione artistica.