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Zingaretti è il nuovo o il vecchio?

Un ritratto con voci del neo-segretario del Pd.

di Francesco Maselli

Rome, 17 marzo, Nicola Zingaretti alla prima Assemblea nazionale da neo-segretario del Pd (Photo by Alessandra Benedetti - Corbis/Getty Images)

Sì Tav e una nuova sede del Partito democratico. Appena eletto segretario, Nicola Zingaretti ha cominciato a tracciare l’identità del partito che guiderà per i prossimi anni, cercando di rispondere alle critiche di chi giudicava la sua mozione e la sua campagna elettorale per il congresso un po’ ambigua, specialmente nei confronti del Movimento 5 stelle. In questi mesi Zingaretti ha scelto di tenere un profilo basso: poche polemiche, poca televisione, molti incontri con i militanti del partito. Una scelta strategica che da un lato ha penalizzato il Pd sul fronte dei sondaggi e della rilevanza nel dibattito pubblico, dall’altro ha probabilmente aiutato a raggiungere un grande e inaspettato risultato di partecipazione alle primarie del 3 marzo. E soprattutto non ha spaccato il partito: anche per questo di politica al congresso s’è parlato lo stretto necessario. «Per i programmi c’è tempo», dicono molti dirigenti Democratici interpellati da Rivista Studio.

La capacità di tenere insieme gran parte del corpaccione del partito è stato uno dei punti di forza del nuovo segretario: Dario Franceschini, Piero Fassino, Simona Bonafè, Mario Oliverio, Cesare Damiano, Michele Emiliano hanno votato per lui, e segnali di apprezzamento sono arrivati dall’esterno. Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Roberto Speranza sorridono quando gli viene chiesta un’opinione; Zingaretti piace a tutti gli ex diessini. La domanda è quindi legittima: quante cambiali deve pagare il neosegretario? Detta in termini più crudi: quanta voce in capitolo avranno i “baroni” sulla composizione della segreteria e soprattutto delle liste alle europee e alle regionali?

Nel suo discorso all’Assemblea nazionale, il primo da segretario agli organi del partito, Zingaretti ha utilizzato una frase non del tutto originale per neoeletto: «Cambiare tutto». Che vuol dire questa formula? Zingaretti probabilmente approfitterà della scadenza dell’affitto della sede di largo del Nazareno il 30 giugno prossimo per dare una nuova casa al partito: «un coworking», ha spiegato attirandosi qualche ironia; una sede che possa accogliere anche chi non ha dimestichezza con le strutture del Partito democratico. Se questo sarà soltanto un nuovo indirizzo o un vero simbolo di un partito diverso lo vedremo col tempo. Ciò che è interessante della parabola di Zingaretti, è la sua tensione tra l’innovazione e la necessità, espressa da gran parte dei militanti, di tornare alle origini, per ridare al Pd l’immagine di un partito di sinistra. Qual è il confine tra questo proposito e la restaurazione di un mondo che non c’è più? Peppe Provenzano, vicepresidente dello Svimez e sostenitore di Zingaretti, non minimizza i rischi: «Se si ripetono gli schemi di prima è possibile che gli esiti, negativi, siano gli stessi. La cosa più importante su cui dovrebbe mettere la testa Zingaretti come segretario è la riforma delle istituzioni del partito, non ci può essere una direzione di 100 persone, per dirne una. Però sul rinnovamento bisogna fare attenzione: non serve fare tabula rasa del gruppo dirigente precedente, serve parlare e far partecipare alla vita del partito mondi diversi. Aprire».

Il nuovo segretario del Pd è abituato a trattare con gli organi di partito. Ha guidato la sinistra giovanile dal 1992 al 1995, ed è, a differenza di Matteo Renzi, legato da rapporti di amicizia con molti dei dirigenti attuali. Li conosce dal punto di vista politico, è abituato a mediare, a trattarci, sa bene che, per avere lunga vita, un leader di partito non deve farsi troppi nemici. a differenza di quanto ha fatto Matteo Renzi, non ha mai sostenuto tesi eterodosse, né mai si è fatto notare per una dichiarazione polemica o fuori posto: per questo è considerato legittimo da una struttura che ha sempre faticato ad accettare leadership considerate “straniere”. Romano Prodi ne sa qualcosa.

Roma, 3 marzo, Nicola Zingaretti prima della conferenza stampa indetta per la suua vittoria alle primarie del Partito democratico (Photo by Antonio Masiello/Getty Images)

Prima di diventare segretario, Zingaretti ha avuto una lunga carriera nel partito. Soprattutto, ha capito che il miglior modo di intraprendere una carriera politica duratura è il percorso nelle amministrazioni locali e che lanciarsi nelle contese nazionali può distruggere prima del tempo le proprie ambizioni. Interrogato a questo proposito da Vittorio Zincone su Sette, ha spiegato così la sua scelta: «Una delle patologie della politica contemporanea è che uno fa una cosa per dieci secondi e poi pensa immediatamente di dover fare altro. C’è un disprezzo diffuso per la semplicità del proprio dovere e del servire la propria comunità. È da undici anni che spalo merda nelle amministrazioni locali. E l’ho fatto con grande felicità perché è servito ai cittadini. Ho realizzato cose concrete. Non teorie astrattissime». Può darsi, ma si potrebbe anche sostenere che in realtà il presidente del Lazio abbia evitato accuratamente di misurare il suo consenso interno al partito finché non ha giudicato i tempi maturi e i suoi avversari incapaci di contrastarlo efficacemente.

La storia di Zingaretti, insomma, unita alla sua pacatezza universalmente riconosciuta, non lo rende estraneo al movimento che guida: ne è un puro prodotto. Il contrario della personalità dirompente di Matteo Renzi, probabilmente la prima cosa che il gruppo dirigente del Pd voleva mettersi alle spalle. Oggi tuttavia la politica vive di leadership radicali, non soltanto nelle personalità, ma anche nelle proposte. La sinistra guarda a vario titolo a Jeremy Corbyn, Alexandria Ocasio-Cortez, Bernie Sanders. Tutti personaggi capaci di attirare l’attenzione e di dettare l’agenda dell’opinione pubblica. «Bisogna aumentare la tassazione marginale sopra il 70% per i redditi superiori al milione», dice la Ocasio-Cortez. «Bisogna nazionalizzare le ferrovie e le compagnie energetiche», dice Jeremy Corbyn. «Sanità gratuita per tutti», dice Bernie Sanders. Sono slogan, ma anche programmi politici.

Qual è la proposta dirompente che ha permesso a Nicola Zingaretti di costruirsi un’identità definita? In questi mesi, nonostante il congresso, il neo-segretario non è riuscito a orientare il dibattito pubblico: il Pd è sembrato distante da quanto stava accadendo nel paese, fagocitato e impaurito dall’iperattivismo di Matteo Salvini. Tanto da essere superato a sinistra da Stefania Prestigiacomo, parlamentare di Forza Italia riuscita a salire a bordo della nave Sea Watch tenuta a largo delle coste siciliane lo scorso 27 gennaio, per accertarsi delle condizioni delle 47 persone a bordo. Per questo al quartier generale del governatore del Lazio si giudica il voto del 3 marzo più come un’apertura di credito che come un vero e proprio consenso acquisito. L’equilibrio è una delle doti che le persone a lui più vicine riconoscono e apprezzano: «Forse Zingaretti non è un trascinatore di folle, ma ha la capacità di tenere sempre una porta aperta. Un tratto che condivide con Gentiloni. Durante le primarie spesso eravamo in difficoltà perché venivamo attaccati e non c’era una figura che rispondesse, che stesse sul pezzo. Questo forse può farti avere qualche titolo di giornale in meno, ma penso che alla lunga non ti fa perdere tempo in polemiche sterili», analizza Lia Quartapelle, deputata e sostenitrice di Zingaretti.

L’apertura di credito si riscontra anche nei sondaggi. Secondo una rilevazione Swg per il Tg La7, il Pd è di nuovo sopra il 20 per cento. Non accadeva da oltre un anno. Per questo, dicono al Nazareno, va colta l’opportunità. E sbrigarsi a comporre la squadra che porterà il partito alle europee. Ancora, tra innovazione e restaurazione, come leggere la scelta di un uomo come Luigi Zanda, 76 anni, in Parlamento dal 2003, che gestirà le finanze del partito? Lia Quartapelle la spiega così: «Zingaretti predilige dei dirigenti maturi, che sappiano fare politica e che abbiano un passato solido. In Italia confusione è tale che abbiamo bisogno di persone preparate, esperte in questi ruoli delicati. Ma vedrete che l’innovazione arriverà sul resto della segreteria nazionale». Su questo concorda Provenzano: «Quello che vale per quella posizione lì non può valere per altri incarichi».

Dove può riscontrarla, dunque, l’elettore del Pd, questa innovazione? Secondo Gian Paolo Manzella, assessore allo Sviluppo economico del Lazio, l’idea che la politica debba essere al servizio dell’economia del futuro è centrale nel percorso politico di Zingaretti. «La sua visita, appena eletto, alla Saxa Gres, azienda che produce sampietrini dagli scarti degli inceneritori non è uno spot ma una scelta precisa. Zingaretti ha individuato la cultura che si fa economia come un punto qualificante della crescita, da governatore del Lazio ha scommesso sulle start up e sulla cooperazione tra pubblico e privato. Per la regione, e anche per il Paese, il segretario ha in mente un grande programma di investimento che si pone l’obiettivo della reindustrializzazione».