Attualità

New Aesthetic

Esponente di punta della scena tech Uk, James Bridle ci dice che il futuro è qui, è diverso da come lo immaginavamo e non dobbiamo averne paura.

di Cesare Alemanni

È il primo giorno d’estate ma Londra non sembra esserne al corrente. La temperatura supera di poco i 15 gradi e i singhiozzi di pioggia dettano il ritmo alla città. Battono il tempo sopra le strutture ancora in costruzione in vista dei Giochi; sopra le Lane, le Street e le Ave. con l’asfalto in rifacimento; sopra i completi Brooks Brothers dei trader; sopra gli elmetti degli operai londostani all’opera per rimettere in sesto una stazione della Underground. Londra è un unico sterminato cantiere alla rincorsa della sua estate a cinque cerchi o, dal mio punto di vista, una bizzarria steam-punk sfuggita di mano al suo ideatore: una metropoli-mondo che si espande e (de)regolamenta autonomamente. Talvolta si fatica a credere che in cima a questo caos esista ancora una qualche forma di autorità decisionale, una politica, un sindaco. Qualcuno che abbia davvero idea di quello che sta succedendo, che abbia il controllo della situazione o, quantomeno, una visione d’insieme. La sensazione che ti trasmette per lunghi istanti è che se non implode, Londra lo faccia solo per buone maniere.

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Ogni angolo di strada è osservato da almeno un paio di telecamere a circuito chiuso, ogni stazione della metropolitana o delle ferrovie è colmata da voci registrate che informano il passeggero di tutto quello che non gli è concesso fare, di tutte le regole che è tenuto a rispettare mentre per assicurare la sicurezza durante le Olimpiadi si parla dell’utilizzo di piccoli droni spia nelle zone più calde dell’evento. In pochi altri luoghi del mondo – d’Europa certamente – l’interferenza della tecnologia nelle vite quotidiane degli individui è così palesemente osservabile e politicamente problematica. Sembra quindi del tutto naturale che l’intuizione della New Aesthetic sia venuta da queste parti. James Bridle – il giovane a cui si deve quell’intuizione – concorda: «Londra è forse la città con più telecamere al mondo e vanta una delle “scene” di media e web design più sviluppate e attive del globo, è quindi ovvio che tante persone si interessino, per motivi diversi, all’influenza delle tecnologie e di internet sulla realtà e che alcune di esse ci riflettano anche su».

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Si passa dal video di un face morphing al camouflage di un aereo della Lutwaffe che ricorda il pattern di un QR Code per smarthphone, dalla presentazione di un esoscheletro dell’esercito americano.

Dall’inizio del 2011, Bridle e alcuni suoi collaboratori curano un tumblr su cui pubblicano quotidianamente foto e video che a loro giudizio testimoniano lo scivolamento della nostra civiltà verso un nuovo orizzonte percettivo, sempre più ibridato e contaminato dalla cultura tecnologica, dal digitale alla robotica. Il blog è ancora consultabile all’indirizzo new-aesthetic.tumblr.com. Si passa dal video di un face morphing al camouflage di un aereo della Lutwaffe che ricorda il pattern di un QR Code per smarthphone, dalla presentazione di un esoscheletro progettato dall’esercito americano per risparmiare ai fanti la fatica di correre nel deserto a una mappa interattiva della città di Budapest, dal volantino di un cittadino che denuncia lo smarrimento del proprio drone personale come se fosse il suo cane a una collezione di moda i cui capi sono chiaramente ispirati dalla pixel-art. A prima vista non sembra niente di diverso da una collezione di immagini più o meno bizzarre, una Wunderkammer ospitante manufatti di varia specie e natura, spesso presentati senza alcun commento o introduzione da parte dei curatori del sito. L’impressione che se ne ricava è straniante e intuire la logica di curatela richiede più di uno sforzo. Tuttavia, mano a mano che si procede a ritroso nelle centinaia di post presenti in archivio inizia ad emergere, per effetto della giustapposizione dei materiali, quella che Gilles Deleuze avrebbe chiamato un air de famille: la percezione sottile di avere a che fare con una sensibilità più eloquente e coerente di quanto sembri.

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In breve tempo il tumblr si è fatto un nome all’interno di una piccola cerchia di appassionati e Bridle è stato chiamato a parlarne a diversi meeting tecnologici tra cui, lo scorso marzo, un panel intitolato “Seeing like digital devices” al South By South West, uno dei più importanti festival di cultura interattiva al mondo. Quel giorno tra il pubblico c’era anche Bruce Sterling e, poche settimane più tardi, lo scrittore di fantascienza nonché critico culturale e scientifico ha pubblicato, sull’edizione Usa di Wired, un saggio di 5000 parole in cui commentava l’intervento di Bridle e la New Aesthetic nella sua interezza. Per molti versi quel testo ha rappresentato sia il momento definitorio della rilevanza del tema sia l’esplosione della sua bolla. Nel giro di pochi giorni dalla sua pubblicazione il saggio, il tumblr e il nome di Bridle erano sulla bocca di centinaia di migliaia di persone interessate alla cultura digitale, all’arte contemporanea e non solo. Ovviamente quasi nessuno di loro aveva la più pallida idea di quello di cui si stava parlando.

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Di nuovo a Londra, dove Bridle occupa una scrivania presso Really Interesting Group, un team di media designer freelance che condivide uno spazio al primo piano di un edificio in vetro e metallo al 32/38 di Scrutton Street – nel quartiere di Hackney a nord-est della City: una zona densamente popolata di factory creative. Come si legge sul loro sito, Rig, questo è l’acronimo, si occupa di «costruire e pensare oggetti e idee che connettano la rete e il mondo reale». Ogni componente è contattabile e recrutabile sia in gruppo sia singolarmente e tra i loro clienti figurano marchi come Apple, Nike e Bbc. Trentuno anni, anche se ne dimostra qualcuno di meno, quando mi riceve James indossa una maglietta con una stampa a macchie colorate. Sembra un macro-ingrandimento di un video di Youtube. L’ufficio è uno spazio aperto di un centinaio di metri quadri, occupati da una mezza dozzina di scrivanie impregnate di MacBook, iPad, iPhone e pile di libri. Dopo avermi offerto un caffè lungo con due zollette di zucchero e qualche goccia di latte, Bridle mi fa strada verso la sala riunioni, una stanza piuttosto spartana sul fondo del locale, separata dal resto dello spazio da un muro sottile ma sufficiente a tagliare fuori i rumori.

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«La nostra idea del “futuro” è rimasta bloccata agli anni ’50 troppo a lungo. Un’epoca in cui immaginavamo il futuro come un tempo “a venire”, pieno di cose bizzarre e scoperte tecnologiche meravigliose. Non ci rendiamo conto che il futuro è già qui».

Dopo i convenevoli gli confesso il mio notevole interesse per la sua intuizione ma anche alcune delle mie perplessità in merito alla tenuta concettuale e filosofica della stessa. Per esprimere confusione, in inglese esiste una bellissima espressione – “puzzled out” – ed è esattamente quella che utilizzo. Del resto la New Aesthetic mi appare proprio così: un complicato puzzle di cui si riesce a cogliere la potenza di alcuni incastri ma non ancora ad afferrare il quadro complessivo. Peraltro non sono l’unico a pensarla così. Per prepararmi all’intervista ho letto quasi tutto quello che si poteva trovare sulla New Aesthetic e sul dibattito che ha sollevato, a cominciare dal saggio di Sterling, e ho trovato almeno una ventina di opinioni differenti. Per qualcuno si tratta di un movimento artistico, per altri di una teoria filosofica, per altri ancora di una strategia auto-promozionale dello stesso Bridle e della scena hi-tech di Londra. Più semplicemente a me sembra una presa di coscienza di alcuni aspetti della realtà in cui viviamo. Quando gli comunico questa impressione, Bridle è d’accordo: «Sì, credo sia un buon modo di vederla. Del resto una delle chiavi di sviluppo della New Aesthetic era proprio quella di evitare di arrivare a una sua definizione troppo rapidamente o troppo rigidamente. Quando nota qualcosa, Internet ha la tendenza ad antologizzarla istantaneamente, cercando di tirare subito le somme di ciò che si trova davanti, in una forma maneggevole che possa essere veicolata, per esempio, in 140 caratteri. Ho cercato di evitare che questo accadesse con la New Aesthetic perché non credo sia un modo “intelligente” di portare avanti una discussione. Anche per questo, credo,  può sembrare un fenomeno sfuggente e ostico da rinchiudere in una definizione, perché tanto per cominciare definirla non era il nostro scopo». E allora quale? «Credo che la nostra idea del “futuro” sia rimasta bloccata agli anni ’50 troppo a lungo. Un’epoca in cui immaginavamo il futuro come un tempo “a venire”, pieno di cose bizzarre e scoperte tecnologiche meravigliose e appariscenti. Non ci rendiamo conto che il futuro è già qui, è il presente, ed è molto più concreto di quello che ci aspettavamo e, ovviamente, a volte è anche molto più bizzarro e appariscente, anche se non sempre meraviglioso. Semplicemente è diverso da come ce lo eravamo immaginati – non abbiamo un jetpack personale, per esempio – e credo che questo ci faccia paura. L’obiettivo della New Aesthetic è proprio quello di far prendere atto di “come è fatto” davvero, di invitare a guardare le tecnologie che ci circondando con una visione più consapevole e contemporanea».

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Negli ultimi mesi, Bridle si è anche fatto una piccola fama come anti-passatista. In un’intervista rilasciata, all’inizio di maggio, all’edizione inglese dell’Huffington Post, per esempio ha dichiarato: «Uno dei principali sproni a sollevare la questione della New Aestethic è stata la nostra grande insoddisfazione rispetto all’ossessione culturale per tutto ciò che è retrò e nostalgico». Come in quasi qualunque capitale europea, anche a Londra e anche nel distretto tecnologico di Shoreditch, i giovani “creativi” si riconoscono facilmente: di solito hanno barbe à la Hemingway e scarpe di cuoio disegnate oltre mezzo secolo fa; una specie di sforzo collettivo per assomigliare a una via di mezzo tra un gentlemen e un bohémien del ‘900. La contraddizione è che hanno tutti almeno un iPhone in tasca e un iPad nella sacca. «Credo che questo comportamento derivi da una specie di abdicazione alla responsabilità di pensare in termini concreti alla contemporaneità e mi sembra che l’atteggiamento di queste persone denunci una grande mancanza di fiducia non solo nel futuro… ma nel presente! Considerata la crisi economica e sociale è ovvio che non viviamo nell’epoca più sorridente e solare della storia ma credo che l’idea, molto di moda, per cui l’autenticità può essere trovata soltanto guardandosi alle spalle, cercandola nel passato, mandi un segnale molto preoccupante».

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«Siamo riusciti ad aprire una discussione che è esattamente la discussione che volevamo aprire e anche se in futuro non godrà più della stessa attenzione che ha avuto negli ultimi mesi, il dibattito continuerà».

Una delle critiche più frequenti tra quelle rivolte a Bridle e compagni riguarda la “pochezza” metafisica della New Aestethic, a cui farebbe difetto la pienezza concettuale di altre estetiche d’avanguardia della Storia, dal futurismo al surrealismo. Più che esprimere una Weltanshauung, secondo questa critica, la New Aestethic sarebbe una banale collezione di manufatti che esprimono una sensibilità vagamente comune ma di fatto privi di legami abbastanza forti per tendere seriamente all’astrazione. «Non era mio interesse spingermi alla metafisica o discutere di internet in termini di coscienza collettiva; è un’idea sorpassata. Semplicemente è abbastanza difficile parlare di esperienze e tecnologie per la cui descrizione mancano ancora le parole esatte senza cadere in un linguaggio leggermente metafisico ma in realtà sono abbastanza stufo di usare metafore per parlare delle cose, non penso sia utile a chiarire ciò di cui si sta parlando. Sono molto più propenso a mostrare, indicandole in modo molto concreto, le esperienze e le tecnologie di cui mi interesso e poi lasciare che esse parlino per sé». La parlata di Bridle è chiara e scandita e insieme all’impressionante rapidità delle sue associazioni mentali lascia sull’ascoltatore l’effetto riverberato tipico delle intelligenze notevoli. Prima di incontrarlo temevo di conoscere un giovane pieno di sé nel suo momento di massima esposizione mediatica mentre quello che mi trovo davanti è un intellettuale di nuova generazione che sa discutere e confrontarsi in modo elastico e lucido, consapevole del valore delle sue idee ma anche della loro precarietà. «In un certo senso la bolla della New Aestethic è già passata. Purtroppo è il normale ciclo di vita delle idee nella nostra epoca: nascere, crescere, espandersi ed esplodere velocemente ma questo non mi preoccupa, siamo riusciti ad aprire una discussione che è esattamente la discussione che volevamo aprire e anche se in futuro non godrà più della stessa attenzione che ha avuto negli ultimi mesi, il dibattito continuerà».

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“Qualcosa” che parla del contemporaneo cercando parole nuove, non trovandone di esatte nei vocabolari delle generazioni precedenti («La New Aestethic non è pre nulla, né post nulla»).

In James convivono due anime, quella del giovane laureato in computer science che attualmente si occupa principalmente di design degli e-book e modelli di e-publishing, e quella dell’appassionato di letteratura, filosofia e saggistica che ha iniziato a lavorare in una casa editrice tradizionale – anche se, ci tiene a precisare, non è mai stato un feticista del libro come oggetto – prima di muoversi verso il digitale. La New Aestethic, mi rendo conto discutendone con lui, nasce proprio dove queste sue due anime, pratica e speculativa, si incontrano. Probabilmente ha ragione chi dice che si tratta di una intuizione a basso contenuto metafisico ma questo non significa che non sia “qualcosa” che vale la pena di essere preso molto seriamente. “Qualcosa” che parla del contemporaneo cercando parole nuove, non trovandone di esatte nei vocabolari delle generazioni precedenti («La New Aestethic non è pre nulla, né post nulla»), il che è senz’altro una delle caratteristiche più tipiche, direi quasi tradizionali se questa parola non suonasse così fuori luogo in questo contesto, delle avanguardie in tutti i campi. Ma allo stesso tempo è anche il tentativo molto concreto di una classe di  giovani creativi di trovare nuovi strumenti di lavoro e allo stesso tempo di far parlare di sé e del proprio modo di vedere il presente e di progettare il futuro. Non è una avanguardia “concettuale”, per artisti bohèmien, è un’avanguardia “operativa” proposta al resto del mondo da un manipolo di progettisti londinesi che si muovono in vari ambiti professionali dal design alla moda, dall’architettura al web; tutti accomunati dal fatto di avere notato in modo molto più profondo e consapevole della media che l’interazione reciproca tra uomo e tecnologia è meno neutrale e molto più profonda di quanto ritenga la percezione comune. Non so cosa ne penserebbe Bridle, non ho avuto il tempo di fargli quest’ultima domanda, ma credo che in definitiva la migliore summa sulla New Aestethic l’abbia tratta proprio Bruce Sterling nel suo saggio: «La New Aestethic, per certi versi, è la storia, molto rassicurante e tradizionale, di un gruppo generazionalmente e geograficamente ben definito di giovani creativi che si sta accorgendo di alcune cose importanti che stanno succedendo che altri, più vecchi e ingenui di loro, non hanno ancora notato».

 

 

Dal numero 9 di Studio

Nell’immagine, campi di tulipani sopra Anna Paulowna, Olanda, dal blog New Aesthetic