Cultura | Dal numero

Milo Manara, le donne, i fumetti e il mondo che cambia

Intervista al grande fumettista italiano, dal 29 aprile in libreria con l'autobiografia A figura intera, edita da Feltrinelli Comics.

di Arnaldo Greco

La Valpolicella è appena stata sconvolta da un evento metereologico con pochi precedenti, quando facciamo questa chiacchierata, ma per fortuna i vigneti di Milo Manara sono tra quelli che non hanno subito danni. Sono ormai mesi che Manara, uno dei maestri del fumetto italiano (dal 29 aprile in libreria con l’autobiografia A figura intera), vive in campagna, da quando è stata decisa la quarantena, e proprio qui ha disegnato le sue Lockdown Heroes (Feltrinelli Comics), infermiere, cassiere, rider, postine, eroine che continuando a fare il proprio dovere nonostante la paura dell’ignoto e del contagio hanno permesso a tutti di resistere nella fase più dura. Anche se è il tema di conversazione di chi non sa di cosa parlare, partiamo proprio dal tempo. Dal cambiamento climatico che ormai sconvolge ciclicamente il Paese. È chiaro che le preoccupazioni per i cambiamenti climatici riguardano l’umanità e gli animali, ma non il pianeta perché il pianeta se ne frega altamente, fa quello che vuole e reagisce nel modo che stabilisce lui. Quindi se ci preoccupiamo per il pianeta sbagliamo, ci dovremmo preoccupare per noi, per i nostri figli e nipoti soprattutto, per la fauna e la flora.

ⓢ Durante il lockdown ha avuto paura?
Devo ammettere di sì. Ero in città, ma quando si sono diffuse le prime notizie sono venuto in campagna. Credo sia una pruden- za che avesse molto a che vedere con la paura. D’altronde sono nella fascia d’età a rischio. Inoltre, all’inizio sembrava che fosse proprio la mia generazione la più falcidiata. O meglio, ancora adesso è così, solo che siamo molto più prudenti dei giovani.

ⓢ C’è una rimozione da parte dei giovani?
Sì, ma in fondo la rimozione è una caratteristica giovanile: i giovani credono da sempre di essere immortali, hanno sempre corso rischi maggiori, vanno più veloci in macchina, fanno corse spericolate in moto, si buttano dal parapendio. È proprio tipico della giovinezza avere quest’atteggiamento di sfida nei confronti della vita sapendo, sperando, essendo sicuri di essere immortali. La leva su cui bisognerebbe insistere un po’ di più dovrebbe essere quella di dire ai giovani di pensare ai propri vecchi.

ⓢ Anche le eroine del lockdown che lei ha disegnato sono perlopiù giovani donne.
Sono passati diversi mesi da quando ho disegnato queste figurette e, quando ho cominciato, se ne sapeva pochissimo. Allora anche i giovani non erano sicuri di essere immortali e, di conseguenza, per un mesetto anche loro sono stati ligi e se ne sono stati chiusi in casa. Per cui quando disegno la cassiera, per esempio, cerco di disegnarla con la preoccupazione e il timore nello sguardo. Lei stessa, ne sono sicuro, non sapeva di cosa si trattasse, sapeva solo che era tenuta a continuare a fare il suo dovere cercando di proteggersi con quel po’ che c’era. D’altra parte, anche tra gli stessi infermieri, giovani compresi, c’è stata una vera ecatombe, come durante una guerra. Perciò questo è un modo di esprimere la mia ammirazione e la mia gratitudine per tutte le categorie che hanno continuato, per forza, a fare il proprio lavoro. E per fortuna, perché hanno assicurato la sopravvivenza a tutti.

Si è concentrato sulle eroine, che è sempre stata la cifra della sua arte.
Non sono l’unico nella storia che ha utilizzato la figura della donna come paradigma e come simbolo di umanità. E anche in questo caso mi è sembrato giusto continuare a farlo. Se l’ho fatto per tutta la vita per altri motivi, non mi sembrava giusto smettere di farlo proprio adesso. E poi chi ha scoperto il contagio del Covid-19, in Italia, è stata una dottoressa, un’anestesista.

E aggirando le regole. Dimostrando una grande intelligenza e capacità di fare il proprio lavoro.
Mi ricordo benissimo il suo nome, si chiama Annalisa Malara, molto simile al mio. E poi altre due dottoresse hanno mappato il virus. Perciò, oltre al fatto di usare questi simboli per illustrare un po’ tutte le categorie, c’era proprio la realtà delle donne protagoniste.

Nell’arco della sua carriera anche il femminismo è cambiato molto.
Ho avuto due incontri con collettivi organizzati di femministe e il risultato è stato sempre: «Senti, l’erotismo piace anche a noi, quindi continua così». Io ho cominciato nel ’68 e, all’epoca, l’erotismo era davvero veicolo di liberazione dei costumi. Il ’68 ha realizzato un cambiamento sociale nei comportamenti importantissimo di cui l’erotismo è stato una parte, ovviamente non solo nei fumetti. La minigonna, Brigitte Bardot hanno cambiato la percezione del ruolo sociale della donna. È stato un movimento che ha influito molto sul piano politico, nel rapporto tra giovani e vecchi, e schemi come quello alunni-professori sono proprio saltati. E, sul piano della liberazione sessuale, anche il fumetto ha portato la sua piccola quantità di acqua al mulino.

Le cose sono cambiate davvero?
Alla fine dei conti le cose in profondità stanno cominciando a cambiare adesso. Credo che tutto il fenomeno odioso del femminicidio, e anche dove non si arriva all’omicidio, ma ci si limita alle molestie e alle violenze in casa che, peraltro, si sono accentuate proprio durante la quarantena, sia proprio un segnale di come le cose stiano cambiando ora e di come molti maschi non riescano ad accettare questi cambiamenti per colpa di una cultura che fa fatica a morire e a evolversi. E di questa cultura così maschilista, termine abusato ma vero, sono responsabili molte volte anche le mamme. Bisogna che cambino anche le mamme perché cambino i figli. In ogni caso è il segno dell’evoluzione dei costumi e del fatto che il ruolo della donna nella società sta cambiando e sta cominciando a imporsi veramente e sta abbattendo le ultime difficoltà. Ma le donne continuano a pagare un prezzo troppo importante.

Parlava dell’inizio della sua carriera. Oggi, rispetto ad allora, il fumetto ha un riconoscimento diverso.
Credo non sia ancora considerato al pari delle altre arti, ma c’è molto vicino. Già da alcuni anni ci sono fumetti tra i finalisti del Premio Strega e questo è importante. E se si guardano canali come Sky Arte o Rai5 ci sono anche documentari su disegnatori, Hugo Pratt o Vittorio Giardino per esempio. Gli è stato riconosciuto un rango culturale che sicuramente quando ho cominciato io non aveva. Anzi, allora si vedevano cose veramente strazianti: disegnatori straordinari come Dino Battaglia o Sergio Toppi, del tutto consapevoli del proprio valore di artisti, ma i loro lettori erano dei ragazzini perché lavoravano per il Corriere dei ragazzi o il Corriere dei piccoli. Il fumetto non era riconosciuto dalla cultura ufficiale a parte casi illustri come Eco o Fellini o Del Buono, intellettuali che capivano le cose.

Non ci sono rimpianti, dunque, per un’epoca in cui c’era meno riconoscimento, ma più diffusione.
Da un punto di vista strettamente personale si smette di essere degli apolidi sociali di cui non si sa bene la collocazione e si diventa professionisti.

Non mancano in nessuna delle sue interviste le domande su Hugo Pratt e Fellini, di cui lei è stato ottimo amico. Non possiamo evitarle anche qui, ma arriviamoci così: lei è stato amico di entrambi, ma ha atteso molto per lavorare assieme a loro. Perché?
Quando è nata la nostra amicizia, sia con Pratt che con Fellini, non c’era nessuna intenzione di lavorare assieme. Erano amicizie vere. Con Pratt la collaborazione è nata proprio perché lui sentiva che non aveva il tempo per raccontare tutto quello che voleva raccontare e quindi ha scritto delle sceneggiature per me. Ma se lui avesse avuto il tempo di disegnare le sue sceneggiature non sarebbe nata la collaborazione e sarebbe continuata l’amicizia disinteressata. Non dico che poi sia diventata interessata, ma in più si è aggiunta la collaborazione.

E Fellini?
La stessa cosa è successa con lui. Fellini voleva pubblicare sul Corriere della Sera un suo soggetto, per liberarsene, per non correre il rischio di doverlo girare: lui sapeva che pubblicandolo non avrebbe più dovuto girarlo. Lui e il direttore mi hanno chiesto di fare un’illustrazione perché altrimenti la pagina, tutta scritta, sarebbe stata graficamente troppo pesante. E l’ho fatto per quattro puntate. Era nata così. Ma poi io stesso ho detto che era una storia d’avventura e che meritava di essere illustrata tutta e gli ho chiesto se ne volevamo fare un fumetto. E lui subito non voleva perché – pensa te cosa mi ha detto, non ci credo ancora – magari poi i colleghi dicono “guarda, questo non lavora più, non gira più, si è messo a fare i fumetti”. In realtà era questa la tristissima realtà, che lui non stava più girando, non c’era più un produttore disposto a finanziare i suoi film. Mi pare che avesse un contratto con la Rai e la Rai tirava per le lunghe le cose. Era un delitto perché trovavano sei, sette miliardi da dare a uno show tv ma non si trovavano cifre adeguate per finanziare un film di Fellini. È una cosa che grida vendetta. Vorrei che i responsabili lo capissero: hanno privato il mondo di qualche film di Fellini. Un delitto.

Non capiranno.
Per me, però, fu una fortuna perché lui ha cominciato a dirottare sui fumetti la sua creatività. Quando ci siamo conosciuti, nel 1984, avevo fatto una vignetta in suo omaggio per il compleanno. Vincenzo Mollica l’aveva chiesto a diversi disegnatori, e io avevo fatto questa storiella perché ero un fanatico di Fellini fin dai tempi di , quando avevo 15 anni. Aspettavo il nuovo film di Fellini come un appuntamento importantissimo dal punto di vista della creazione del mio immaginario figurativo. Ho sempre considerato Fellini alla pari di Michelangelo, Raffaello o Tiziano. Per me non c’è differenza di rango o collocazione nell’Olimpo.

Sia Pratt che Fellini ci hanno lasciato presto.
La mancanza è la cosa che si sente di più perché, specialmente con Hugo Pratt, c’era una confidenza totale. Era come un fratello maggiore scapestrato, per cui alle volte ero io il maggiore. Fellini è sempre stato un maestro, anche se avevamo una certa confidenza, ma con lui non mi sono mai permesso certe confidenze se non era prima lui a metterla sul piano personale. Poi lui lo faceva spesso. Ho addirittura passato una notte in camera d’albergo con Fellini e Masina.

Non c’era posto?
Non c’era altro posto in albergo e stavamo lavorando per delle uscite mensili. Un paio di volte è venuto anche qui da me in Valpolicella. Ma ero io che di solito andavo a Roma per tre o quattro giorni, in Corso d’Italia nel suo studio, o in Via Margutta a casa sua. Invece in quel caso era a Chianciano. Lui era andato a “passare le acque” come faceva ogni anno. Però alla sera non avevamo ancora finito il lavoro. Ha cominciato a fare delle telefonate, ma il suo albergo era pieno così come gli altri due o tre che conosceva. Allora ha chiesto al maître di portare una branda nella loro suite. E così ho passato la notte. Naturalmente ho dormito pochissimo pensando alla stranezza della situazione.

Loro dormirono?
Io sono del ’45 cioè sono nato lo stesso anno del loro figlio che nacque e morì dopo soli due mesi e adesso è sepolto accanto a loro a Rimini. Io pensavo “potrei essere loro figlio” e forse anche loro pensavano lo stesso in quel momento. Ma nessuno ebbe il coraggio di dirlo.

In questi giorni si sta svolgendo il processo per la strage alla sede di Charlie Hebdo, giornale con cui ha collaborato a lungo.
Ho pubblicato a lungo con Charlie Mensuel. Ero molto amico di George Wolinski e ci sono documentari di Artè su Wolinski girati proprio a casa mia. Eravamo molto legati. Lo stimavo moltissimo. Lui mi ha portato in Francia nel ’70 pubblicando Lo scimmiotto su Charlie Mensuel, aprendomi al mercato e ai lettori francesi.

La grande difesa di Charlie Hebdo che venne fatta al momento dell’attentato è un po’ svanita. Si storce il naso per quel tipo di satira.
È difficile restare Charlie Hebdo per tutta la vita. Io lo sono rimasto. Poi capisco, quando c’è stato il terremoto in Italia e loro hanno fatto una vignetta mostruosa…

Con i piani dei palazzi che crollavano sulle persone come lasagne.
Quello ha messo una pietra tombale su tutto il trasporto di simpatia che c’era per Charlie. Ma d’altra parte la satira è questo, chi di satira ferisce di satira perisce. Si fatica ad accettare la satira quando è rivolta contro sé stessi. La si vede ingiusta e la satira spesso è ingiusta. Ma la satira è così. E soprattutto non si censura. Io sono contrario alla censura di qualsiasi genere, ovviamente nei limiti della legge. Ma se uno è Charlie lo è fino in fondo.

Quando Charlie attaccava il perbenismo sessuale o la morale cattolica era più facile, ma quando ha cambiato obiettivi è cambiato l’atteggiamento nei suoi confronti.
Se uno smette di essere politicamente corretto si attira tante critiche e inimicizie, ma la satira non può essere politicamente corretta, anzi per definizione deve essere scorretta sul piano politico, sul piano religioso e su quello etico. La satira è un animale selvaggio.

Rispetto agli inizi della sua carriera, quando l’erotismo era un mondo difficile da raggiungere, oggi internet ha reso erotismo e pornografia a portata di mano.
Non saprei dire cosa ha comportato culturalmente sui giovani. Posso parlare per noi di età avanzata, per cui è tardi per influenzare certi tabù che restano nel profondo, ecco io sono spesso sorpreso di vedere questi ragazzi che sono insieme a delle ragazze meravigliose, vestite in un modo per cui noi all’epoca avremmo strabuzzato gli occhi e invece per loro è una cosa del tutto naturale, da non sottolineare, spontanea. Credo che anche la disponibilità totale della pornografia e dell’erotismo abbiano reso in qualche modo meno trasgressivo il fatto erotico. Una volta le ragazze che mettevano la minigonna lo facevano anche per un fatto totalmente trasgressivo, non perché avevano caldo. Adesso invece lo fanno perché hanno caldo. Hanno perso il senso della trasgressione.

Però tra le due c’è differenza.
Alain-Robbe Grillet diceva che la pornografia è l’erotismo degli altri e credo avesse ragione. Ma se c’è una differenza credo sia che l’erotismo è l’elaborazione culturale del sesso, così come la cucina è l’elaborazione culturale del cibo e dell’alimentazione. La pornografia è semplice esposizione di atti sessuali, senza elaborazione. Il che non vuol dire che sia peggiore, non ho alcun tipo di censura moralistica verso la pornografia. Quello che credo è che sia meno interessante e che per essere interessante punti, visto che non fa altro che mostrare un atto che si perpetua da migliaia di anni, verso la performance di tipo atletico o trasgressivo, verso l’esagerazione e l’estremo.

Questo è un problema di tutto il mondo di oggi. Anche nell’arte per esempio.
La nostra società si evolve culturalmente in quella direzione. Performance più estreme, ma senza elaborazione culturale delle cose. Siamo nel pieno di una catastrofe estetica.