Cultura | Personaggi

Miles Teller, il millennial più frainteso di Hollywood

Tra i miracoli che Top Gun: Maverick sta compiendo c'è anche l'aver restituito una carriera all'ex bad boy, che per un lungo periodo è sembrato perso tra film pessimi e interviste disastrose.

di Francesco Gerardi

Miles Teller al 72esimo Festival di Cannes (Foto di John Phillips/Getty Images)

Miles Teller ha trentacinque anni e la sua carriera è già finita (e ricominciata) una volta. Nel 2015 venne scelto per interpretare Reed Richards/Mister Fantastic nel reboot dei Fantastici 4, assieme ad altri tre promettentissimi coetanei come Michael B. Jordan, Kate Mara e Jamie Bell. Nell’estate di quell’anno, quindi, Teller è impegnato nella campagna promozionale del film, ogni giorno ha un’intervista per questa rivista o quel giornale. I maschili lo adorano: amano la storia delle cicatrici sul suo volto (segni lasciati da un incidente automobilistico) e lo paragonano a Paul Newman, a Marlon Brando, a Robert Mitchum. Esquire decide di metterlo in copertina e di dedicargli un lungo profilo-intervista. Il pezzo porta la firma di Anna Peele e comincia così: «Stai seduta di fronte a Miles Teller al ristorante Luminary di Atlanta e cerchi di capire se è uno stronzo», un attacco entrato nella storia recente del giornalismo culturale americano (il New York Times ne parlò come l’ultima aggiunta a un genere, il tough guy profile, “inventato” nel 1950 da Lilian Ross con un profilo di Hemingway per il New Yorker). L’intervista fu un disastro e tra gli addetti ai lavori furono in molti quelli che attribuirono il fiasco dei Fantastici 4 – il film andò così male che 20th Century Fox decise di abbandonare il franchise, annullando anche il sequel già deciso – a quel profilo di Teller su Esquire: a nessuno piacciono i supereroi che se ne vanno in giro a dire che gli highball glass (i bicchieri cilindrici, lunghi e larghi, in cui di solito si serve il gin tonic) sono modellati sul loro cazzo. Quel numero di Esquire generò una shitstorm che contribuì a ridefinire il concetto di shitstorm. Su Salon Anna Silman pubblico un listicle intitolato “The 7 douchiest quotes from Miles Teller’s Esquire profile”. Bustle provò a difendere Teller proponendo un contro-listicle in cui si elencavano tutte le ragioni per le quali, in fondo, non poteva essere considerato uno stronzo: vuole bene alla sua nonna, ama la sua ragazza, fa delle belle battute su Twitter, è cresciuto in New Jersey e quindi bisogna capirlo. Teller stesso provò a difendere la sua reputazione rispondendo a Esquire con un tweet che è nella mia personale classifica dei dieci più spassosi della storia: «Esquire si sbaglia di grosso. Non credo ci sia nulla di figo o divertente nell’essere uno stronzo o un coglione».

Nei sette anni successivi Teller ha dato l’impressione di impegnarsi moltissimo nel dare ragione a chi diceva che quel profilo su Esquire sarebbe stata la fine della sua carriera o, quantomeno, della sua ascesa. Get A Job, War Dogs, Bleed – Più forte del destino, Fire Squad – Incubo di fuoco e Thank You For Your Service sono stati tutt’altro che dei successi, di critica e/o di pubblico. Nel 2016 sembrava pronto per ricominciare: Damien Chazelle aveva deciso di girare un musical e voleva Teller nella parte del protagonista. Alla fine, però, non se ne fece nulla e non si è mai capito perché. Teller ha raccontato in più occasioni che una sera ricevette una telefonata dal suo agente in cui gli venivano riferite le esatte parole con le quali Chazelle lo aveva “scaricato”: «Non è più convinto tu sia quello giusto per questo progetto, dal punto di vista creativo». Teller ormai si era fatto la fama del bad boy e tutti dettero per scontato che la colpa fosse la sua, che avesse detto o fatto qualcosa per far perdere la pazienza a Chazelle. Lui, Teller, dirà sempre che in quel progetto ci credeva davvero e che provò «in tutti i modi» a farne parte. Sebastian Wilder alla fine sarà interpretato da Ryan Gosling, il musical di Chazelle diventerà La La Land, quattordici nomination agli Oscar, sei statuette vinte, sette fino a quando non si capì che quella per “Miglior film” in realtà l’aveva vinta Moonlight. Quando si venne a sapere che Teller avrebbe dovuto essere in La La Land e che per qualche ragione alla fine Chazelle gli aveva preferito Gosling, in molti cominciarono a cambiare opinione su di lui.

Sui social iniziò a girare moltissimo la “Let’s dance scene” del remake del 2011 di Footloose, in cui Teller dimostra notevoli doti da ballerino. Sicuramente superiori a quelle di Gosling, fu il commento di molti. «Penso che tutto succeda per una ragione, sono felice Damien abbia fatto il film, non invidio il successo altrui», dirà poi Teller a tutti quelli che gli chiedevano come ci si sentisse ad aver perso il treno che passa una volta sola. Si sa, avercela con uno stronzo è giusto, prendersela con uno sfortunato è accanimento. È in quel periodo che per Vanity Fair Julie Miller scrive un profilo di Teller che racconta la redenzione del «millennial più frainteso di Hollywood», il perdono che si deve a un ragazzo che, come tutti i ragazzi, sta cercando di «diventare adulto» e al quale non si possono certo rimproverare le interviste spaccone su Men’s Journal in cui parla approfonditamente della forma ad aquilone che con tanta fatica è riuscito a dare alla sua schiena.

Nel 2018 Teller prende una decisione: reciterà accanto a Tom Cruise nel sequel di Top Gun, sarà lui a interpretare Bradley “Rooster” Bradshaw, figlio di Goose e figlioccio di Maverick. Quella parte sarà sua, a costo di farsi crescere i baffi, di mettere su chili e chili di muscoli e di aspettare quattro anni per completare le riprese a causa della pandemia. Farà in tempo, in questi anni di pandemia, a mettersi nei guai ancora una volta: un giorno si scopre che è positivo al Covid, non si capisce se sia vaccinato o no, lui non dice nulla e su internet ricompaiono le foto di una vacanza fatta assieme ad Aaron Rodgers, il quarterback dei Green Bay Packers disposto a violare i regolamenti Nfl pur di non fare la puntura. La lezione di La La Land, però, Teller l’ha imparata, ormai lo sa che certe occasioni richiedono ostinazione. In più, gli insuccessi recenti gli hanno dato il tempo e la voglia di ripensare ai successi del passato. E ha capito che forse non è ancora pronto per essere il lead, per fare il protagonista. Il meglio lo ha dato quando ha dovuto condividere il palcoscenico con un attore che per forza di cose (esperienza, carisma, età) finiva per occupare più spazio di lui: Nicole Kidman in Rabbit Hole, JK Simmons in Whiplash. È andata così anche con Tom Cruise in Top Gun: Maverick.

Tra i diversi miracoli compiuti da Top Gun in appena due settimane di programmazione nelle sale cinematografiche (oltre agli incassi, alla fine prevedibili, c’è soprattutto il fatto di aver dimostrato che cinema popolare e film supereroistico non sono ancora sinonimi) c’è quello di aver restituito a Miles Teller la carriera che avrebbe dovuto avere se solo non fosse stato un ventottenne con un pessimo senso dell’umorismo. Di più: dopo Top Gun, per la prima volta la sua reputazione sembra essere migliorata. C’è chi, adesso, dice di aver sempre apprezzato il fatto che per Whiplash avesse imparato a suonare davvero la batteria e che il sangue da pulire dal drum set fosse davvero il suo. “Miles Teller è finalmente diventato un sex symbol”, dice Glamour, riprendendo la scena del film in cui l’attore, pettorale guizzante e sudato, canotta bianca e camicia hawaiana, occhiali da sole aviator e sorriso bianco accecante si cimenta in una (riuscitissima) interpretazione di “Great Balls Of Fire” di Jerry Lee Lewis. Durante la campagna promozionale per Top Gun, stavolta si è concentrato sulle cose importanti davvero: i vestiti. “Miles Teller is the fresh king of the bold-faced suit”, ha scritto Gq, paragonando l’attore a uno dei Miami Vice per l’azzeccatissimo due pezzi azzurro polvere con il quale si è presentato da Jimmy Kimmel. I maschi della Generazione Z pare stiano decidendo di farsi crescere il baffo à la pornodivo degli anni Ottanta: su TikTok un sacco di loro dicono che Miles Teller in Top Gun con quei baffi sta veramente da Dio. Oggi, quando arriva, puntuale, inevitabile, la domanda su quel pezzo di Esquire ormai di diversi anni fa, Miles Teller risponde: «Bè, in effetti all’epoca ero uno stronzo».