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L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.
Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.
Anche il Vaticano ha recensito entusiasticamente il nuovo album di Rosalía José Tolentino de Mendonça, prefetto per il Dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano, ha definito Lux «una risposta a un bisogno profondo nella cultura contemporanea».
La nuova funzione di geolocalizzazione di X si sta rivelando un serio problema per i politici Non è facile spiegare come mai i più entusiasti sostenitori di Donald Trump postino dall'India o dalla Nigeria, per esempio.
Gli Oasis hanno detto che adesso che il reunion tour è finito si prenderanno una pausa di riflessione Ovviamente, sono già partite le indiscrezioni: si separano di nuovo? Faranno un nuovo tour? Stanno lavorando a un nuovo album?
Il Grande Museo Egizio di Giza ha appena aperto ma ha già un grave problema di overtourism A nulla è servito il limite di 20 mila biglietti disponibili al giorno: i turisti sono già troppi e il Museo adesso deve trovare una soluzione.

Milano da bere #5

Abbiamo chiesto a 6 autori di scrivere un testo sul loro rapporto con Milano e il bere: questo è il racconto di una smania.

22 Aprile 2017

Per festeggiare Tempo di Libri, la nuova fiera del libro di Milano che si terrà da mercoledì 19 aprile a domenica 23, Studio ha commissionato a sei autori altrettanti testi che raccontassero il loro rapporto con la città e il bere, un aspetto che coinvolge la nostra vita sociale e le nostre abitudini, e uno dei modi migliori, a nostro avviso, per descrivere le atmosfere di Milano. La collaborazione tra la rivista e la fiera è arrivata giovedì 20 aprile al Bar Basso, dove dalle 19 in poi si è tenuto un cocktail party in cui i racconti pubblicati sul sito sono stati presentati in un’edizione speciale su carta insieme all’ultimo numero di Studio.

Una sudamericana con la scopa in mano sculetta e canta sul balcone davanti. La musica è un pulsare di bassi e tiritera in spagnolo: «despasido», capisco soltanto. Fumo una sigaretta e la guardo ballare. Ho appena cenato in accappatoio, seduta sul tavolo. Patatine al gusto lime/pepe rosa, una Tennent’s. Sono a casa da sola. Sono stanca. Da troppi giorni, dopo il lavoro, serata coi cosiddetti amici. Bottiglie di vino a cena seguite da vodka liscia con ghiaccio, gin tonic al Love di via Melzo, altro altrove. Mi fanno male le gambe. Piene di lividi. Ieri sveglia all’alba per farmi una lampada. Dopo il lavoro a correre lungo la Martesana: galvanizzata da un vecchio disco di Skepta, corso 1 ora e 17 minuti. Stanca. Riposo, silenzio, dormire. Il letto: “Torno a casa e vado a letto”, pensavo al lavoro. “Sono quasi arrivata”, pensavo pedalando a fuoco verso il letto. “Mi faccio la doccia”, mi dicevo ai semafori, “abbasso la tapparella e mi lancio in mutande nel letto”. Ma passando davanti all’indiano mi sono ricordata che avevo fame e in casa non c’era niente. Ho mollato la bici all’ingresso, ho preso le patatine lime/pepe rosa e due Tennent’s.

«Niente festa stasera», dice l’indiano senza nome, notando la miseria della mia spesa alcolica. «Basta feste ti prego. È lunedì», dico io. «Il tuo fidanzato oggi non c’è», dice lui con sorriso furbo. «Non è il mio fidanzato», dico io per l’ennesima volta. «Ieri con rossetto rosso eri bellissima», dice lui. «Lo devo mettere per forza, al lavoro». «Che lavoro», dice lui. «La commessa». Mi faccio aprire la birra e comincio a berla mentre pedalo verso casa. Il caldo è sorprendente, estivo, e la musica risuona nello spazio lungo e arido della via, si dissolve nell’aria del tramonto, tra le file di palazzi che si allungano fino a raggiungere, in fondo, una larga rotonda illuminata di rosa. «Pasito pasito», ripete il cantante, mentre giro le chiavi nella porta.

Primavera: ogni sera una scintilla. E stasera è “Pasito” a svegliare la belva – la smania Milano, la chiamo così – andar fuori di notte a cercare e cercare, desiderare e raggiungere. La moldava del centro massaggi si aggiusta il camice bianco addosso, calze a rete sulle gambe magre, non lunghe ma belle, unghie senza smalto, sigaretta sempre accesa, tra le sue mani, crepuscolo dopo crepuscolo, a ricordarti qualcosa – ma cosa, che cosa –, non raggiungi mai niente, né soldi né orge né fiumi di coca, grattacieli e decappottabili, portami al mare, grandiosi amori strazianti, eppure, lo senti: non vuoi matrimoni, né cani o bambini, vuoi solo lavoro, sesso e lavoro – entusiasmanti, ti prego – però  non così, ma adesso sei qui, con in mano un Gin Tonic, all’entrata del Love, a parlare dell’ultima serie Netflix, con dentro una voglia di piangere. «Andiamo a casa?», gli chiedi tu dolce, sai già che sarà irrilevante, come sempre.

“Despasido” va in loop da mezz’ora. Via Zuretti è la sua cassa di risonanza. Due uomini grassi e calvi oziano ai tavolini del bar. Mi sento scottare la pelle; il lettino solare di ieri. Controllo allo specchio: il segno del costume. Non è ancora abbastanza nitido. Ogni lettino, 12 euro. Lettini, più lettini. Soldi, più soldi, “domani ancora lavoro”. Ho lavorato anche ieri, domenica. “Despacido” è finito. Mi affaccio a vedere. Luci spente dai sudamericani. Uno dei ciccioni del bar mi vede, dice qualcosa all’altro. Resto un po’, nuda alla finestra, ignorando i ciccioni. Poi accendo il Mac e scrivo su Google: Despasido. Despacido. Despacito. Trovato. Il pezzo riparte, primitivo e ridicolo, la smania riprende, il cielo si spara le fosforescenze, al tavolino iniziano ad alzare la voce. Diventa buio. Come lanterne di carta si accendono le finestre, gialle, azzurre, bianco perla, arancioni. Mi vesto. Trovo una Heineken in frigo, la apro. Fumo una sigaretta mentre ballo, mentre “Despacito” va in loop. Scrivo un po’ di messaggi a tutti. Whatsapp, Messenger, Tinder, ovunque. Ormai è buio. Metto 50 euro nella borsetta di paillettes a forma di cheeseburger. Prendo le chiavi. Love, Cupido, Rainbow, bar Lara, bar Doria, bar Basso, bar degli Artisti… ma è lunedì. È lunedì per tutti, anche se mi sembra quasi nessuno, ormai, abbia più un lavoro normale.

«Come non detto», dico ridendo all’indiano. Prendo quattro Tennent’s e due Moretti. Lui sghignazza con gli altri: è coi suoi amici, maneggiano soldi. Bevo le Moretti nella casa buia mentre aspetto che arrivi un Tinder; invitato da me mentre scendevo in ascensore. Il Tinder dimostra più dei suoi 40 anni – che è bene – ma è poco più basso di me, molto male. Lo manderei via. Invece prendiamo le quattro Tennent’s e andiamo a berle sulla Martesana. Ci sediamo tra i fiori, l’erba mi pizzica il culo sotto la gonna. Mi guardo le ginocchia piene di lividi. «Sono felice», penso, come al solito. Ma non è per niente vero. Mentre l’acqua verdastra, più stabile del marmo, emana i suoi sensuali fetori, lui mi prende la mano. Non se la mette addosso, non ancora. La stringe e basta. «Dalle foto non sembravi così alta», mi dice. «Sei bellissima», aggiunge. «Io sono un nano», conclude. «Non preoccuparti», mento io. «Ho sempre avuto la perversione dei nani», mento spudoratamente, e inizio a ridere, e non riesco più a smettere.

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