Cultura | Personaggi

Mike Davis: criticare e raccontare Los Angeles, e amarla

È morto il 25 ottobre l'autore di Città di quarzo, uno dei testi fondamentali dell'interpretazione urbana.

di Francesco Longo

Foto di Josh Edelson/AFP via Getty Images)

Nasce in California, a Fontana, e muore a San Diego il 25 ottobre 2022, e pur avendo vissuto per un periodo tra Irlanda e Scozia e per qualche anno nella Londra degli anni Ottanta, la sua mente e la sua immaginazione sembrano essere attirate sempre e solo da Los Angeles. Ama Los Angeles, la indaga, la perlustra, la racconta celando la sua venerazione dietro toni cupi, apocalittici, sviscerando la violenza che la attraversa, le ingiustizie che la lacerano, restituendone un’immagine così sinistra da essere considerato una sorta di profeta di sventura. Mike Davis è l’autore di uno dei più affascinanti libri sulla città di Los Angeles, Città di quarzo (manifestolibri 1999), il suo capolavoro. Pubblicato nel 1990 è diventato presto un punto di riferimento per gli studi sulle metropoli, un bestseller inatteso, un saggio di culto, un libro dotto e colloquiale, di una ricchezza impressionante, con uno sguardo sulla città da amante tradito, un testo lucido e maniacale; un libro stratificato e insolito soprattutto se si pensa che l’autore è un autodidatta. Da giovane Davis fa il camionista per un’azienda di carne all’ingrosso dello zio, poi consegna le Barbie per un grossista, per un periodo guida pullman trasportando turisti in giro per Los Angeles. La sua formazione è quella di chi attinge tanto dall’esperienza della vita quotidiana quanto dai libri, animato da una passione per la politica, si avvicina al marxismo dopo essere stato da giovane patriottico e di destra. In una fase della vita aderisce al Partito Comunista, ha un debole per gli attivisti.

Docente universitario di urbanistica, giornalista, saggista, oltre a Città di quarzo scrive oltre una dozzina di altri libri. Il primo è Prisoners of the American Dream: Politics and Economy in the History of the U.S. Working Class. Tra gli altri più importanti e tradotti in italiano ci sono Geografie della paura. Los Angeles: l’immaginario collettivo del disastro (Feltrinelli), Città morte. Storie di inferno metropolitano (Feltrinelli), Il pianeta degli slum (Feltrinelli), Breve storia dell’autobomba (Einaudi). In Italia però i suoi libri sono quasi tutti fuori catalogo, o introvabili.

Città di quarzo, tradotto in sette lingue, resta un modello brillante di saggistica, un faro per libri che vogliono narrare le città. Tanta architettura, ovviamente, molta urbanistica e conoscenza della storia antica del luogo, ma il libro indaga a fondo le forze oscure che plasmano la metropoli, gli interessi delle grandi speculazioni immobiliari, gli interessi economici di varia natura, il potere dei sindaci, le pressioni politiche, l’uso propagandistico delle testate giornalistiche. A queste forze che si agitano sotterraneamente per decretare il destino di Los Angeles, Davis affianca sempre l’immaginario della città, che la riflette e insieme la plasma, con la stessa efficacia. Nelle pagine di Città di quarzo si incontrano filosofi e architetti, romanzieri e registi, i capitoli dal sapore più pop possono intitolarsi “Gramsci contro Blade Runner”, “Frank Gehry come l’ispettore Callaghan”, “Lo shopping Center panottico”. Nelle pagine si passa da Aldous Huxley a Herbert Marcuse, da John Fante a Joan Didion, da Thomas Pynchon a Bret Easton Ellis (“Il suo Meno di zero, un romanzo in stile Cain sui giovani dorati del Westside, offre il ritratto finora più tenebroso di Los Angeles”). Davis analizza il ruolo dei film noir e della letteratura noir usandolo per decifrare l’inconscio della città, la torcia per i suoi passi sono Raymond Chandler e James Ellroy. La sua curiosità illimitata si spinge fino alle scritte sui muri, alle rivolte del 1992, al gangster rap (“come Charles Bukowsky o Frank Gehry i gangster rappers non sono riusciti a evitare una reintegrazione, diventando delle celebrità”). Un intero libro, Geografie della paura, è dedicato ai disastri di finzione legati a Los Angeles. Come mai nell’immaginario collettivo, prima e dopo Blade Runner, la città è vista come sede di distopie? Davis smonta il mito della città assolata, edenica, hollywoodiana, facendo emergere quella tetra, legata alle grandi paure reali, a tempeste, incendi, roghi, terremoti, in particolare al terremoto gigantesco, definitivo e imminente che aleggia da sempre sulla città e sui suoi grattacieli.

Davis fa parte di una serie disarticolata di autori che leggono le città con lenti multifocali, una lista di profili molto diversi tra loro che può andare da Walter Benjamin a Fredric Jameson, da Iain Sinclair a Teju Cole, da Jane Jacobs a Lewis Mumford. Camminatori, osservatori, sociologi, urbanisti, raccoglitori di dettagli. Per Davis è chiaro che l’interpretazione delle città deve riguardare i miti che le fanno palpitare, per ascoltarle non bisogna solo conoscere piani regolatori e trame immobiliari, ma avere dimestichezza con i personaggi di romanzi che incarnano simboli, con i sacerdoti di questi miti e con i loro testi sacri. Spesso le leggende e le mitologie mostrano influenze enormi, il racconto della criminalità può essere molto più influente dei dati reali della criminalità, e può arrivare ad alterare il valore commerciale del terreno e i prezzi delle case. Chi controlla la città? Concentrazioni di capitale, certamente, rapporti di forze tra violenze e repressioni, ovvio, ma ogni evento, ogni incontro remoto può lasciare tracce e riemergere a distanza di anni. I saggi come quelli di Davis squarciano la storia urbana quando arrivano a toccare vecchie storie semisepolte dal tempo e che rilasciano luce a distanza di decenni. Come quando racconta della Los Angeles dei rifugiati, quella di Bertold Brecht (“Una volta si lamentò che il suo bungalow di Santa Monica era ‘troppo piacevole per poterci lavorare’”), di Theodor Adorno e Max Horkheimer, di Arnold Schönberg e George Gershwin che giocano a tennis a Brentwood, distretto di Los Angeles. Chi racconta le città può cercare di decostruire i miti metropolitani, ma alla fine non farà che alimentare la loro fama. Per quanto si possa tenere nascosto l’amore per città ambigue come Los Angeles, ogni libro trasmetterà inevitabilmente questo amore ai lettori.