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Miden, la storia scritta dai colpevoli

Nel suo nuovo romanzo Veronica Raimo racconta una storia di molestie sessuali in maniera totalmente spiazzante.

02 Aprile 2018

Nell’anno delle attrici di Hollywood vestite di nero e del crollo degli idoli, da Kevin Spacey a John Lasseter, il 3 aprile esce un romanzo (Miden, Mondadori, l’ha scritto Veronica Raimo) che affronta il tema delle molestie sessuali in maniera anti-ideologica e totalmente spiazzante. Prima di tutto perché la sua storia di presunto abuso è narrata dal punto di vista del maschio manipolatore, e della sua legittima compagna, e mai da quello della vittima. Poi, perché è un romanzo su una relazione di potere scritto da una donna. E infine, perché è ambientato in una realtà alternativa che, fermandomi a pensare, non saprei se dire utopica o distopica.

Si tratta appunto di Miden, un paese perfetto e odioso che dà il titolo al romanzo, simile a quello suggerito dalla serie televisiva portoghese 3%, o ai moderni esperimenti di housing sociale, in cui bisogna passare delle prove di civiltà per essere ammessi: un luogo di affettate premure tra vicini, solerte partecipazione alla cosa comune, algida adesione alle pratiche più politicamente corrette ed ecosostenibili. Un luogo di irreprensibilità per cui Veronica Raimo immagina perfino una lingua, che comprende l’aggettivo intraducibile “accogliente”, associabile al focolare domestico, a un primo appuntamento, ma anche al sesso fatto bene. E che aspetto può avere il sesso, in un posto dove viene normalmente associato all’aggettivo “accogliente”?

La ricerca del confine tra abuso di potere e sesso consensuale diventa ancora più controversa, in un paese dove i trolley sono vietati perché oggetti cattivi; dove perfino l’Mdma è biologico e i traumi hanno un numero di serie; dove una persona si deve sentire in colpa per non aver cucinato un dolce per la festa di piazza; dove ogni cittadino aderisce con entusiasmo a una Commissione operativa tipo quella dei Fitofarmaci, cosa che mi ricorda con fastidio le occhiate giudicanti di quella gente che partecipa alle iniziative di quartiere e pretende che tutti godano nel vangare l’orto o nel votare le altalene per disabili. Quale persona orribile non lo farebbe? è il ricatto che serpeggia sotto il loro altruismo, e anche il presupposto per essere giusti cittadini di Miden.

Miden è anche un mondo dove i questionari possono sondare le più intime intenzioni, fino a distillare la natura ultima di un sentimento ambivalente come un amore sado-masochista. Già, perché l’aspetto più importante della vicenda è che la studentessa denuncia il professore di filosofia con due anni di ritardo rispetto alla loro relazione, avendo realizzato con ritardo che lui aveva approfittato della sua posizione, e che lei non voleva veramente farsi spegnere le candele nel culo o crocifiggere al cavalletto nel suo atelier. Qualcosa di simile ai casi attuali di denunce d’abuso formulate a quindici anni dal fatto, quando ormai le vittime avevano fatto carriera nel cinema: e a criticare la tardività della recriminazione, si rischia di essere tacciati di anti-femminismo, anche se bisognerebbe poter distinguere tra correnti più o meno vittimiste di femminismo.

In Vergogna, di J. M. Coetzee, il professore Lurie viene accusato di stupro da parte di una studentessa che aveva ceduto alle sue avances e si era installata a casa sua. Una commissione che indaga la sua condotta lo invita a leggere le dichiarazioni della vittima e a chiarire la sua posizione per essere reintrodotto al lavoro. Ma Lurie ammette la colpevolezza senza nemmeno voler ascoltare le accuse dell’ex-amante. A nulla valgono le insistenze di un collega, che lo invita a firmare una dichiarazione intrisa di pentimento: perché la colpevolezza, dice Lurie, è un’ammissione terrena, mentre il pentimento appartiene a un altro mondo. Ho avuto la sensazione che anche all’imputato Louis C.K. sia stata messa in bocca una dichiarazione ruffiana scritta ad arte, toccando tutti i supposti dogmi del femminismo: la sua lettera non ha fatto che indignare ulteriormente il pubblico che si prefiggeva ingenuamente di impietosire.

In Miden, abbiamo il privilegio di entrare nella mente del protagonista maschile, indicato dalla Commissione Etica come il “Perpetratore”: non ne esce né come un geniale e goffo Louis C.K., e nemmeno come un integerrimo Lurie, conscio di aver approfittato del suo ruolo. Il Perpetratore è un uomo più semplice di quanto il suo ruolo di filosofo di un Paese Ideale lascerebbe supporre, un uomo mediocre che nemmeno si è meritato la cittadinanza di Miden, che è stato sinceramente innamorato della Vittima, e non ha pensato per un attimo che le pratiche attuate a letto non facessero parte di un desiderio comune. Mentre aspetta un figlio dalla nuova compagna, più che preoccuparsi dell’eventuale espulsione dal Paese, sogna la studentessa che gli chiede scusa, e non riesce a credere che i ricordi del sesso migliore della sua vita siano inquinati dal sospetto di un crimine.

Qui, la bravura di Raimo nel tenere la voce narrante maschile è quella di immedesimarsi a fondo in un omino un po’ patetico che si crede intimamente innocente, facendo propendere anche noi lettori per lo scagionamento. Per esempio, quando uno studente dell’Accademia gli dona una statua intitolata Soluzione del dilemma del porcospino, dilemma che riguarda l’impossibilità dei porcospini di scaldarsi senza provare dolore, a causa degli aculei: è proprio il caso del professore con la ragazza, che non riuscivano a stare lontani, ma vicini si facevano del male, senza nessuna intenzionalità, pensiamo empatizzando col Perpetratore, perché tutti abbiamo provato qualcosa del genere. Cambiamo idea quando una frivola conoscente dell’accusato scrive nel suo questionario, tra uno smile e l’altro, che «il professore viene da una cultura diversa, e una certa forma mentis è dura da sconfiggere. Se sei stato abituato ad atomizzare il corpo di una donna, è difficile poi cogliere l’intero, no?» ci suona subito come la regina delle scusanti cretine, la madre delle più becere attenuanti al femminicidio.

Soprattutto, a bilanciare il punto di vista maschile, interviene il continuo controcanto della Compagna del Perpetratore, in un certo senso l’anti-studentessa, una donna incinta che ha rinunciato all’alcol, a vestire colori accesi, a intessere legami sia cordiali che profondi, perché sin da quando era piccola cercava “meduse”, cioè scuse per non tuffarsi in mare; una donna che odia la Vittima, non tanto per aver trascinato il suo compagno nello scandalo, quanto perché porta dentro un abisso di tormento che lei non conoscerà mai, se non di rimando. È proprio attraverso lei, eterna aspirante scrittrice, che conosciamo la maggior parte dei dettagli della relazione sessuale intercorsa tra studentessa e professore: un sesso ossessivo, crudo, svilente, indissolubilmente legato a Tanathos, com’è raro veder descritto da un’autrice italiana, anziché dal solito Roth nell’Animale morente.

È sempre lei, la Compagna, che, sotto la superficie levigata di una realtà fasulla, scova, porta alla luce e micro-narra le sgradevolezze della vita di una coppia infelice in un mondo frigido: una culla gialla per il figlio, anche se la madre trova il colore orrendo; e una talpa morta da cui escono orrendi feti palpitanti. Infine, è lei che riporta sempre la donna al centro del racconto, e forse, nel finale, offre finalmente una chiave di lettura all’intera vicenda, che fino a quel momento è narrata con una mirabile sospensione del giudizio: l’unica prospettiva possibile per raccontare la sfocata linea di confine tra sesso consensuale e violenza.

L’autrice sarà presente a Studio alla Holden, sabato 7 aprile a Torino

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