Cultura | Libri

Censure che aiutano a vendere

La storia di Maus di Art Spiegelman, tornato in cima alle classifiche dopo essere stato messo al bando in una piccola contea del Tennessee, dimostra i paradossali effetti portati da una forma di cancel culture conservatrice e dalla repentinità di Internet nel mondo dell'editoria.

di Federico Gennari Santori

Foto di Maro Siranosian/AFP via Getty Images

Immaginate un editore che registra un’impennata nelle vendite di un libro sull’Olocausto, non per la ricorrenza del Giorno della Memoria ma perché è stato censurato, cosa che lo ha invece reso ancora più visibile e ricercato. Dopodiché, come se già non bastasse, lo stesso editore impone a una biblioteca digitale, che si oppone alla censura e mostra quello stesso libro, praticamente di censurarlo. Tutto questo per non rischiare di perdere una manciata di vendite, peraltro su Amazon, che molti considerano la nemesi degli editori. Non è un capolavoro? Beh, è reale ed è la storia che stiamo per raccontarvi, con un epilogo paradossale che soltanto il mix tra l’assurdità di questa versione conservatrice della cancel culture, le contraddizioni dell’editoria e la repentinità di Internet poteva generare.

Partiamo dal principio. Se proprio doveste pensare a un libro da censurare, è probabile che il primo a venirvi in mente sarebbe il Mein Kampf di Adolf Hitler. L’ultimo, per contrasto, sarebbe invece un libro sull’olocausto: semplicemente – e giustamente – intoccabile, tanto più se si ha a che fare con i più giovani. In quello che sembra essere un mondo ribaltato, però, le cose non vanno così. Succede che nello Stato americano del Tennessee se la sono presa con Maus, il capolavoro di Art Spiegelman vincitore del Premio Pulitzer nel 1992. Tra i primi volumi che oggi definiremo graphic novel, racconta la storia del padre dell’autore deportato ad Auschwitz e lo fa a fumetti, ricorrendo a un’allegoria che vede ogni personaggio rappresentato da un animale in base al suo status, come nazisti ed ebrei: rispettivamente gatti e topi.

«Mostra persone impiccate, uccisioni di bambini… Perché il sistema educativo promuove roba simile? Non è saggio né salutare». Questa, nelle parole di uno dei suoi membri, la linea del consiglio scolastico della contea di McMinn, Tennessee, che lo scorso gennaio ha votato all’unanimità per rimuovere Maus dal suo curriculum di arti linguistiche di eight grade (equivalente alla terza media). Le ragioni specifiche, secondo il verbale del consiglio, sono «l’uso non necessario di volgarità» e le «rappresentazioni di nudità»: otto parolacce e un’immagine della moglie del protagonista, che sarebbe poi la madre dell’autore trovata morta suicida quando aveva 20 anni.

L’idea iniziale era di rimuovere tutto questo dal libro, ma è poi stata accantonata per complicazioni relative ai diritti d’autore. Così hanno pensato bene di rimuovere direttamente il libro dalle scuole della contea. Sebbene Maus sia «un pezzo di letteratura di grande impatto e significativo», ha spiegato il consiglio scolastico, «non crediamo che questo lavoro sia un testo da studiare appropriato per i nostri studenti». Spiegelman, in un’intervista con la CNBC, si è detto sconcertato da questa decisione, che ha definito «orwelliano». Poi ha ironizzato sul fatto che, se davvero avessero voluto che il libro non fosse letto dagli studenti, avrebbero fatto meglio a tenerlo nel loro programma. Aveva ragione.

A quarant’anni dalla prima pubblicazione, Maus è tornato per qualche settimana in cima alla classifica delle librerie statunitensi, a cominciare da Amazon, dove è tutt’ora trentaduesimo e primo – chissà perché – nella sezione “Satira”. Addirittura una libreria di Knoxville, nel Tennessee, e una fumetteria di San Francisco hanno distribuito gratuitamente copie del libro, in segno di protesta contro la decisione della contea di McMinn. Se i consiglieri scolastici pensavano di liberare la loro gioventù dal peso emotivo di un graphic novel così disturbante, dovranno tuttavia vivere col peso morale di averlo fatto tornare in auge spingendo migliaia di persone, che magari non lo avrebbero mai fatto, a leggerlo. È bastato che la notizia circolasse per attirare improvvisamente la curiosità degli utenti online, sfociata in ricerche, post di denuncia sui social media, acquisti su Amazon e altri store digitali. L’interesse su Google per Maus (espresso da un punteggio in centesimi che si basa sulla frequenza delle ricerche contenenti parole correlate a questo argomento) è passato dal valore di 2 a 100, raggiunto nella prima settimana di febbraio. Nello stesso periodo quattro edizioni del libro erano tra i primi diciotto bestseller di Amazon, di cui due piazzate al primo e al secondo posto. Giubilo tra gli editori, che paradossalmente hanno trovato in quella remota contea del Tennessee un’ottima amica.

Per Penguin, che pubblica l’edizione più diffusa del volume, arrivata in testa alla classifica di Amazon, è stato un buon affare: di quelli che una casa editrice – quando ricapita? – deve sfruttare al massimo, anche se si chiama Penguin. Al punto da prendersela con il noto Internet Archive, uno sterminato sito che si autodefinisce “biblioteca digitale no-profit”. Sì, perché al suo interno c’è anche l’Open Libraries Program, che pubblica in chiaro la versione digitale sfogliabile di circa 38 milioni di libri. Tra questi, Maus di Art Spiegelman. Penguin si è appellata alle leggi in materia di copyright per farlo rimuovere e, dopo un breve contenzioso, ci è riuscita. Permettere a un lettore di trovare in rete un libro consultabile gratuitamente significa effettivamente perdere un potenziale acquirente. Se si tratta di un classico, di un testo di cui sono scaduti i diritti e che qualunque editore può pubblicare liberamente o di un qualche tomo dimenticato, può anche andar bene. Ma se parliamo di un libro in piena ascesa, che peraltro sta vendendo anzitutto online, per l’azienda il problema si pone. Così, sull’Internet Archive, di Maus non restano che una manciata di pagine visibili, sebbene il libro abbia raggiunto in totale 1.700 visualizzazioni da quanto è presente sul sito.

Molto rumore per nulla, si potrebbe dire sul contrasto tra Penguin e l’Internet Archive. Lo stesso si potrebbe dire sui consiglieri scolastici di McMinn, che per togliere il libro dagli istituti di una regione la cui città più grande conta 13mila anime hanno scatenato un putiferio più grande di loro. In entrambi i casi, chi ha poco di cui dolersi sono le piattaforme digitali. Quelle che hanno dato risposte utili a un picco di ricerche, come Google. Quelle che hanno raccolto commenti di indignazione e piogge di like, come Facebook. Quelle che hanno offerto in tempi record il prodotto desiderato, come Amazon. Ed è probabile che negli Stati Uniti i libri continueranno a dargli qualche soddisfazione.

Maus non è la prima né l’ultima vittima di un’ideologia che, in nome della protezione dei più giovani, li lascia all’oscuro del mondo. Di recente la spinta conservatrice ha preso di mira molti titoli che utilizzano immagini sconvolgenti per raccontare storie complicate, con l’obiettivo di rimuoverli dalle scuole. In Texas il procuratore conservatore Matt Krause ha recentemente composto una lista di oltre 850 libri, molti dei quali trattano di questioni razziali e Lgbtq+ che potrebbero «far sentire a disagio gli studenti», chiedendo ai distretti scolastici di tutto lo Stato di segnalare se ce ne sono nelle loro classi o biblioteche. In Oklahoma esiste un disegno di legge per eliminare dalle biblioteche scolastiche i libri che affrontano la «perversione sessuale». Addirittura, nello Stato di Washington se la sono presa con Il buio oltre la siepe di Harper Lee e nel Kansas, prima, con Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood. Potenziali occasioni per l’editoria e per il web, indubbi arretramenti per la cultura democratica.