Marracash indossa giacca e pantalone UNITED STANDARD, scarpe adidas X GORETEX. Ritratti di Guido Borso; styling di Allison Fullin

Cultura | Dal numero

Il ritorno di Marracash

È tornato dopo un lungo silenzio con un disco che ha convinto trasversalmente tutti, un’autofiction in cui, guardandosi allo specchio, parla di amori sbagliati e di dove sta andando il mondo.

di Giovanni Robertini

«Digli che è un figo pazzesco» Così la nouvelle vague delle redattrici che mi tiene compagnia nel nostro atelier televisivo a due passi dalle Cinque Vie saluta la mia discesa in metropolitana, direzione Marracash, il “figo” appunto, l’artista di cui parlano tutti da quando è uscito il suo nuovo album Persona. Ne parlano proprio tutti, dentro e fuori le mille bolle, perché è un disco che arriva a un pubblico molto eterogeneo, che magari il rap non lo sopporta neanche, che ascolta i Coldplay e guarda Tale e Quale Show, tipo una delle colleghe redattrici. A Fabio, il suo vero nome, non gliela dico la cosa del figo pazzesco, ci conosciamo dagli anni in cui bevevamo le birrette al Berlin Café insieme ai Club Dogo (da qui la sua canzone di dieci anni fa “I ragazzi dello zoo del Berlin”, quelli «tutti brutti, tutti grassi, tutti fatti, tutti pazzi, tutti cazzi, tutti tatuati») e sulla sella dei suoi “Scooteroni” si sedevano le ragazze più belle di Milano. Della figaggine è consapevole, perché nell’hip hop prima dell’autotune c’era solo l’autostima, e lui non a caso si faceva chiamare il King. Ma neppure il re oggi, spaparanzato sul divano mentre sul cellulare gli arrivano le notifiche della seconda data al Forum di Milano andata esaurita in poche ore, sa spiegarsi il perché di tutto questo successo.

Dai, provaci: «C’era sicuramente un vuoto, era dal disco di Salmo di un anno fa che non c’era un’uscita importante». Non può essere solo quello: «È diverso da tutto perché è figlio del fatto che non me ne fregava un cazzo. Non avevo niente da perdere, avevo talmente tirato tanto la corda che il disco è diventato da solo quello che avevo bisogno di dire. L’ho scritto in un periodo così assurdo che pensavo davvero fosse il mio debutto, approcciandomi alla musica in modo vero, senza guardare a quello che fanno gli altri. Ecco perché si è avvicinata un sacco di gente nuova, è un nuovo inizio». Del racconto del “periodo assurdo” ne è zeppo questo nuovo Persona, disco denso e calorico in bilico tra autofiction, lettino dell’analista e spiritualità alla Osho, ma con tunica di Vetements. Dopo il successo del 2016 di Santeria in coppia con Gué Pequeno, Fabio è entrato in un periodo di depressione scatenata dal fatto che i successi raggiunti a livello professionale cozzavano col vuoto della vita vera. A questa crisi si è aggiunta una relazione sentimentale tossica con una donna, ben descritta in “Crudelia”, che lo ha annientato fino a poco tempo fa, quando si è chiuso in casa a scrivere i pezzi per tre mesi, fino all’uscita del disco.

Non avevo niente da perdere, avevo talmente tirato tanto la corda che il disco è diventato da solo quello che avevo bisogno di dire

A superare lo shock l’hanno aiutato anche i colloqui con uno psicologo, e sono curioso di sapere se gli abbia fatto ascoltare o meno il suo album: «Sì, mi ha scritto che è bellissimo, è molto fiero perché dà valore al suo lavoro. Poi mi hanno contattato su Twitter altri dottori, tipo uno psichiatra che mi ha detto che “Crudelia” aveva aiutato un suo paziente a uscire da una situazione a cui stavano lavorando da mesi». Che ti ha fatto questa donna di così terribile? «È una psicopatica, ammalata della peggiore branchia del narcisismo, quello maligno. Lo so perché ho studiato, mi sono documentato scientificamente per capire come uscirne». Chi sono i narcisisti maligni? «Persone che non hanno empatia, sono cattive e il loro scopo ultimo è farti del male perché questo va in qualche modo a riempire il loro ego distorto, è la loro unica salvezza dal non essere stati amati. Hanno sofferto tanto e traducono questa cosa in una volontà distruttiva. Lei mi ha fatto quasi arrestare, mi ha detto che aveva un fratello e non l’aveva, si faceva storie parallele mentre stava con me».

Mi sorprende che uno noto per essere sgamato, con tanto di laurea in street credibility, si sia fatto fare fesso per amore, lasciando credere a tutti che si fosse perso. «Nella mia vita non mi hanno fregato killer professionisti, ma sono cascato in questa roba. Questa donna ha utilizzato armi come il gaslighting (una forma di violenza psicologica nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione, nda) e il love bombing (serie di azioni apparentemente positive e amorevoli che una persona e esercita su un’altra per carpirne l’affetto allo scopo di ottenere una forte influenza, nda) che se non le conosci, non le sai neutralizzare. Ero innamorato perché, per quanto avessimo un sacco di problemi e litigassimo dieci ore al giorno, lei faceva dei pianti che mi facevano pensare che mi amasse più di ogni altra cosa. Non era così».

Se uno non sapesse i casini che Marracash ha passato, sembrerebbe quasi un’abile operazione di marketing: sparire tre anni, dai social e dal mercato, per poi tornare e diventare disco d’oro in una settimana. E soprattutto fare questo in un momento storico in cui chi fa musica è ossessionato dall’esserci, pubblica un singolo al mese e dieci stories al giorno. «È l’era del presenzialismo a tutti i costi, la versione 2.0 del Nanni Moretti che diceva “mi faccio notare di più se vengo alla festa o se non vengo?”, ma se avessi programmato una cosa del genere sarei davvero un pazzo perché il rischio che io fossi finito c’era davvero, un sacco di gente mi dava per spacciato e non so neanche quanto la mia etichetta credesse in me». Citando uno dei film culto della rap culture, L’Odio di Kassovitz (già ripreso dal nostro nel pezzo del 2010 “Continuavano a chiamarlo Marracash”), «l’importante non è la caduta, ma l’atterraggio». Ed eccolo questo splendido quarantenne – Nanni torna sempre – che va «in Kenya con la miss italiana più fregna» (così dipinge la neo fidanzata, la cantante Elodie, in “Body Parts”). Sembrerebbe essere atterrato in piedi con tutte le tracce del suo Dna intatte, quella dell’artista tormentato, della popstar e dello zarro di Barona, a cui si aggiunge quella dell’intellettuale di riferimento. Così lo apostroferà, un paio di giorni dopo questo incontro, Daria Bignardi nel suo programma tv L’Assedio, dove Marra verrà intervistato intensamente e si emozionerà, sudando a goccioloni. «È anche un ragazzo sensibile, profondo, fragile, oltre che un figo pazzesco», sarà il commento della redattrice fan dei Coldplay, e ora del King del rap. Per dirla tutta, a noi che siamo dentro al rap game da quando eravamo ragazzini e entravamo da Wag (storico negozio di abbigliamento milanese) in cerca dei primi baggy jeans, tutto questo hype per Marracash da un lato ci esalta, dall’altro ci sta sulle palle.

Marracash indossa giacca e pantalone UNITED STANDARD, scarpe adidas X GORETEX. Ritratti di Guido Borso; styling di Allison Fullin

Ne parlo, poco prima che il nostro posi per le foto di questo servizio, insieme agli altri ragazzi di Rivista Studio, tra un accenno al ritorno del pile, un commento sul libro di Veronesi e un’occhiata alle scarpe della stylist, scarponcino trekking urbano da avere assolutamente. Ci spiace che Marra non sia più cosa nostra, sarà difficile recuperare gli amici nelle tre date del Forum andate esaurite (ne è stata aperta una quarta), ci disperderemo tra la folla, addio gang, addio piazza con le canne e le panchine, maledetta nostalgia. Siamo diventati adulti insieme a Fabio, sappiamo da sempre che lui è uno di quelli che scrive meglio, che canta con più stile, assomiglia a Kyrie Irving – il giocatore di basket dei Brooklyn Nets – per la naturalezza con cui riesce ad andare a segno, a chiudere una rima, quasi fosse una naturale terza fase del respiro: inspirare, respirare, rappare. Tu Fabio, sei nostalgico? «Della vita sì, delle esperienze che ho fatto, ma musicalmente no, non me ne frega che adesso il rap sia mainstream, anzi ho lavorato un sacco perché lo diventasse, e lo streaming non uccide nulla. Se prima uscivano solo cinque dischi e oggi ne escono cinquecento al mese, comunque alla fine ne rimangono solo un paio davvero buoni. L’importante è essere tra quelli». Esiste e conta ancora la street credibility? «Siamo nell’era in cui abbiamo tutti un avatar, scrollando i social tutti hanno un personaggio che non è credibile, gli assomiglia ma non è lui, quindi la credibilità non la chiedi neanche a un artista. Non c’è più il legame con la strada, ci sono mille strade». Più che alla strada oggi l’hip hop sembra un universo connesso alle passerelle di moda, al business, ai soldi: «Quando vedo un ragazzino con delle sneaker da settecento euro penso sia una cosa allucinante che arriva da un’insicurezza gigante, dall’infelicità diffusa. Quando ero ragazzo avevamo delle divise, magari non proprio prese alla bancarella del mercato, erano tre o quattro marchi identitari, adesso è tutt’altra storia, una follia».

Musicalmente non sono nostalgico, non me ne frega che adesso il rap sia mainstream, anzi ho lavorato un sacco perché lo diventasse, e lo streaming non uccide nulla

Non gli va di parlare dei colleghi, il dissing è diventato merce per i talk show politici, non appartiene più al rap nella sua evoluzione. Anche se Persona è un album più vicino – non prenderla male, eh! – ai temi dell’indie, del nuovo cantautorato o come diavolo lo vuoi chiamare, piuttosto che ai canoni di storytelling del rap, soldi, troie e successo. Tu parli di sfighe d’amore, come Calcutta, facendo un disco che è un trionfo di individualismo, un uomo che soffre allo specchio registrandone le reazioni. «Mi è venuto naturale, quando mi sono reso conto che il figo in questo disco non lo potevo fare. È vacillata la mia autostima a tal punto che, uscito dalla famosa relazione tossica, mi sono reso conto che non avevo lavorato per tre anni e che tutto quello che avevo seminato lo avevo lasciato andare al vento. Non mi è era davvero rimasto nulla, se non un dolore incredibile. Ho pensato di aver deluso tutti, i miei genitori, chi credeva in me, ho spezzato la corda che avevo tirato per anni».

Marracash indossa giacca e pantalone UNITED STANDARD, maglione SELF MADE BY GIANFRANCO VILLEGAS, scarpe adidas X GORETEX. Ritratti di Guido Borso; styling di Allison Fullin

Già, il fallimento, altro tormentone di questo album che cita Kurt Cobain, Don Draper che precipita nella sigla di Mad Men e Tony Soprano con gli attacchi di panico, e che fa dire al Marra “guru spirituale” che «negare il fallimento è di per sé un fallimento», quasi fosse un manuale d’auto aiuto per i giovani rapper che si affacciano sulla scena con i loro marsupi carichi di aspettative e view di YouTube. «I ragazzi sono ossessionati dal fallimento. Questo disco è la dimostrazione che parlare del fallimento, gettare la maschera, è un gol, non una sconfitta», chiosa Fabio, tenendo a precisare che il suo disco si chiude con un messaggio positivo, che ce la si può fare. Il pezzo in questione è “Greta Thunberg” con il featuring di Cosmo: «All’inizio il pezzo era molto più dissacrante e pessimista, del tipo “ma sì estinguiamoci, che ci stiamo a fare qui”, poi è arrivato Cosmo che con il suo ritornello – “io ce la posso fare, cambiare/la mia razza si estingue” – mi ha contagiato con una visione più felice e genuina in cui ho imparato a riconoscermi».

Marracash indossa Giacca e pantalone UNITED STANDARD, cappello SELF MADE by GIANFRANCO VILLEGAS. Ritratti di Guido Borso; styling di Allison Fullin

Forse è ottimista perché è l’unico con dei figli tra gli artisti che hai chiamato a collaborare. «Hai ragione, non ci avevo pensato. Poi nel pezzo dico che mi dispiace non aver pensato al buco nell’ozono perché dovevo pensare a campare. Non puoi chiedere alla gente di fare qualcosa di più della raccolta differenziata, perché non basta quella, sono cose più grandi di noi, è politica». A proposito di estinzione, hai paura di invecchiare? «No, se riesco a invecchiare bene come Jay Z, senza inseguire le mode, rimanendo me stesso». Una curiosità tra maschi metrosexual (scherzo!): come fai a essere così in forma a 40 anni? Palestra? Corri? «Mi alleno in casa, non mi spacco, ma faccio il giusto». Prima di lasciare il King ai suoi mille impegni da uomo del momento, voglio chiedergli ancora tre cose. Lei, Crudelia, ha ascoltato l’album? «Non ne so nulla, ho rotto qualsiasi rapporto, era l’unico modo per salvarmi la vita». Sei consapevole che senza questa donna e tutto sto casino non avresti fatto il disco che hai fatto? «È incredibile, ma è così». Sei ancora incazzato? «Io mi sono perdonato, ma non ho perdonato lei. Ho finito il disco poco prima che andasse in stampa, e se penso a sei mesi fa ero clinicamente morto». E invece, altro che morto, è un figo pazzesco.