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In Cina le persone stanno andando a vedere Zootropolis 2 insieme ai loro cani e gatti Alcuni cinema cinesi hanno organizzato proiezioni pet friendly per vedere il film Disney con i propri animali domestici.
Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.
Aphex Twin ha caricato a sorpresa su SoundCloud due nuovi brani ispirati a una vacanza in Sicilia Le tracce sono comparse a sorpresa e sarebbero state ispirate da una vacanza italiana del musicista, intristito dalla pioggia autunnale.
Il sindaco di Pesaro si è dovuto scusare perché ha coperto di ghiaccio la statua di Pavarotti per far spazio a una pista di pattinaggio Ma ha pure detto che Pavarotti resterà "congelato" fino a dopo l'Epifania: spostare la statua o rimuovere la pista sarebbe troppo costoso.
Siccome erano alleati nella Seconda guerra mondiale, la Cina vuole che Francia e Regno Unito la sostengano anche adesso nello scontro con il Giappone Indispettita dalle dichiarazioni giapponesi su Taiwan, la diplomazia cinese chiede adesso si appella anche alle vecchie alleanze.
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.

4 motivi per guardare Maniac

La serie diretta da Fukunaga, su Netflix dal 21 settembre, è un esperimento riuscito in tutti i sensi.

26 Settembre 2018

Oltre al fatto che presto ne parleranno quasi tutti quelli che conoscete – se non lo stanno già facendo – ci sono diversi motivi per guardare Maniac, la nuova serie che ha debuttato su Neflix il 21 settembre, preceduta da una martellante campagna pubblicitaria. Ispirata a una serie norvegese (con lo stesso titolo, anch’essa disponibile su Netflix: c’è chi si chiede se valga la pena guardarla), creata da Patrick Somerville e diretta da Cary Fukunaga (in pochi ricordano il suo adattamento di Jane Eyre, in tanti la serie Hbo True Detective), a giudicare dalle prime puntate, Maniac sembrerebbe il solito prodotto retro-futurista che gioca con atmosfere anni Ottanta e tecnologia vintage. Ambienti illuminati da luci rosa, robot, computer, personaggi weird, strani eventi. Basta però armarsi di perseveranza (non è una serie da binge watching, anzi: ogni puntata funziona meglio, soprattutto nel cervello dello spettatore, se le viene lasciato il suo spazio) e pazienza (non è nemmeno troppo facile capire cosa stia succedendo, soprattutto all’inizio, e a tratti è perfino un po’ noiosa), per accorgersi che in realtà si tratta quasi di una meta-serie, tanto che i pareri della critica si dividono tra chi la ritiene fin troppo cerebrale («too netflixy», la definisce Wired) e chi – la maggior parte, in realtà – la considera un esperimento riuscito.

Emma Stone interpreta Annie Landsberg, newyorkese a cui viene diagnosticato un disturbo borderline di personalità.

È un esperimento in tutti i sensi

La trama, a grandi linee (evitando spoiler): lei è una ragazza nervosa, ribelle, squattrinata, tossicodipendente, depressa, sopravvissuta a un grosso trauma (non dirò quale), lui è il catatonico figlio di genitori ricchissimi esiliato dalla famiglia, soffre di schizofrenia, vive in un minuscolo monolocale, è obbligato a mentire per difendere il fratello accusato (non dirò per cosa). Per motivi diversi, si trovano entrambi a partecipare, insieme a un gruppo di cavie, a un esperimento condotto dall’azienda Neberdine Pharmaceuticals and Biotech. Ideata da un dottore geniale e, come tutti gli altri personaggi, mentalmente instabile, la cura in sperimentazione prevede l’assunzione (monitorata attraverso video, colloqui e test vari) di tre pillole denominate A,B e C, che dovrebbero essere in grado di risolvere per sempre qualsiasi tipo di disturbo mentale. Una sorta di sessione psichiatrica, insomma, che viene illustrata attraverso video motivazionali anni Novanta, e promette una guarigione permanente e definitiva. Condotto in uno studio in cui il personale è in prevalenza giapponese, le cavie dormono in confortevoli celle e gli spazi bianchi, eleganti e minimali sono decorati con deliziosi bonsai, l’esperimento che costituisce il nucleo della storia si rispecchia nello stile col quale viene raccontata, a sua volta sperimentale.

Funziona come un trip

Già a partire dalla prima puntata, che presenta i due protagonisti e le loro vite (se la trovate incomprensibile non preoccupatevi: è normale), Maniac è in grado di disorientare completamente lo spettatore. A partire dallo scenario: siamo a New York, ma in quale tempo? La Statua della Libertà è stata rimpiazzata da quella della Extra Libertà e sui marciapiedi girano piccoli robottini ammaccati che si occupano della pulizia. Chi non ha contanti per pagare il biglietto della metro o un pacchetto di sigarette, può passare un quarto d’ora con un cosiddetto Ad Buddy, una persona incaricata di pubblicizzare a voce una serie di servizi, come la possibilità di fare volontariato da “padre di famiglia”, offrendosi di prendere il posto di un capo famiglia appena morto in un nucleo famigliare già avviato. Nonostante questi elementi evidentemente distopici, molti altri dettagli rimandano a un’estetica vintage, tra Blade Runner e Ritorno al futuro. Ma questo non è l’unico elemento di confusione: ogni episodio ha una lunghezza diversa e alcuni dei personaggi principali compaiono soltanto a metà della serie, se non nelle ultime puntate.

La struttura funziona come un mix tra il Decamerone, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Eternal Sunshine of the Spotless Mind e cento altre cose. C’è una situazione che funge da cornice, e dentro una serie di mini-storie che ripropongono gli stessi pattern riordinando personaggi, traumi e situazioni in modo ogni volta diverso, con le modalità tipiche dei sogni e dei loop di chi soffre di malattie mentali. Non solo le mini-storie si sviluppano come impeccabili parodie di svariati generi – dal fantasy alla spy story, dalla commedia al gangster movie –, a volte sovrapponendosi l’una all’altra o interrompendosi per tornare allo scenario della “cornice”, ma sono piene di citazioni indirette (scene splatter alla Tarantino, momenti deliranti alla Lynch, simmetrie pastello alla Wes Anderson, sette spiritiche in ville lussuose che mescolano Giulietta degli spiritiEyes Wide Shut, il congresso mondiale di Dr. Strangelove) e dirette (ho riconosciuto un’inquadratura di Picnic a Hanging Rock, ma chissà quante ce ne sono). Il viaggio condotto dalla mente dei protagonisti è anche il viaggio dello spettatore: entrambi vengono continuamente stupiti da eventi inaspettati e incongruenti, che soltanto alla fine trovano un loro senso, una sorta di catarsi emotiva e concettuale.

Justin Theoroux e Sonoya Mizuno nei panni del Dr. Mantleray, sex addicted, e della Dr.ssa Fujita, agorafobica.

Ha un ottimo cast

Il virtuosismo con cui Fukunaga sperimenta con i generi coincide con quello degli attori, che riescono a mutare pur conservando le loro personalità: Emma Stone è perfetta nei panni di una ragazza affetta da disturbo di personalità borderline, dipendente da certe misteriose pasticche (un ruolo, quello della tossica, che le riesce benissimo, come avevamo notato in Birdman), con l’ennesimo look da copiare (capelli platino, trench lungo e aperto, anfibi). Ma anche in quelli di un’elfo alcolizzato, un’infermiera tamarra anni Ottanta, una sofisticata femme fatale. Proprio come il bravissimo Jonah Hill (l’amico grasso di Leo DiCaprio in The Wolf of Wall Street), l’esilarante coppia di scienziati formata da Justin Theoroux e Sonoya Mizuno (i miei preferiti) e la sempre ottima Sally Field, Stone è impeccabile sia nei momenti comici – moltissimi – che in quelli drammatici, che si avvicendano continuamente e sorprendentemente. Ma il personaggio più originale, sfaccettato e toccante della serie è una parete illuminata di rosa e cosparsa di tasti scintillanti, ovvero l’intelligenza artificiale inventata dal team della Neberdine Pharmaceuticals and Biotech.

Racconta le malattie mentali con empatia e intelligenza

Disturbo di personalità borderline, disturbo antisociale, depressione, parafilia, schizofrenia: una delle trovate più geniali di questa serie è quella di descrivere le malattie sia scientificamente che attraverso la parodia. Chi conosce la malattia mentale sa che, tra le altre cose, è anche un limite allo sviluppo della personalità del malato. »Un depresso è così e cosà, pensa questo e rischia quello»: tutti i depressi del mondo si assomigliano. Gli autori della serie (tra cui compare anche la scrittrice Amelia Gray) hanno creato una serie di archetipi semplificati (ma mai banalizzati o distorti, come per esempio l’anoressia in To The Bone, per citare un altro titolo distribuito da Netflix). Schizofrenia, Bpd e altri disturbi vengono prima delineati e poi decostruiti, messi alla prova, sovvertiti. Con il pretesto di raccontare i vari step della cura (che punta a guarire le cavie ma anche parte del personale, visto che la coppia di scienziati e la madre del dottore si rivelano a loro volta comletamente fuori di testa), la serie esplora le malattie mentali (e il lutto, la memoria, il trauma, le responsabilità della famiglia e quelle della genetica, il concetto di normalità) in un modo originale, sdrammatizzando con intelligenza e portando anche “i sani” nel cervello di chi soffre. Non per niente la parola chiave della serie, pronunciata da uno dei personaggi durante un dialogo cruciale, è proprio “empatia”.

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