Cultura | Personaggi

Quarant’anni fa Mark Chapman uccise John Lennon per diventare famoso

Era l'8 dicembre del 1980 a New York. Quarant'anni dopo l'assassino continua a chiedere di essere rilasciato.

di Germano D'Acquisto

New York, 8 dicembre 1980, John Lennon mentre autografa la copertina del disco a Mark Chapman, la sua ultima foto da vivo

New York quella notte doveva essere bellissima. Il Natale alle porte, aveva colorato ogni centimetro quadrato della Central Park West, la lunga strada che nell’Upper West Side costeggia il grande parco di Manhattan. Quelle luci, Mark Chapman le avrà viste infinite volte l’8 dicembre di quarant’anni fa, mentre aspettava l’arrivo di John Lennon. L’ex cantante dei Beatles viveva con la moglie Yoko Ono nel Dakota Building, un lugubre palazzone neogotico costruito a fine ‘800, in cui avevano vissuto, fra gli altri, anche Rudolf Nureyev e Leonard Bernstein e dove Roman Polanski aveva ambientato il suo film più cupo e inquietante, Rosemary’s Baby.

Quel giorno del 1980 Mark, un ragazzone texano di 25 anni, con un passato da guardia giurata alle Hawaii, si era appostato proprio davanti all’ingresso della residenza di Lennon. Quando il musicista uscì, Chapman gli si avvicinò, gli strinse la mano e gli chiese di firmargli la cover del suo ultimissimo disco, Double Fantasy, dove l’ex Beatles bacia teneramente sua moglie. Lennon firmò sulla copertina dove c’era il collo bianco di Yoko, e si allontanò in direzione degli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas lo stava aspettando per lavorare al pezzo “Walking On Thin Ice”.

Nelle successive quattro ore Chapman non si mosse mai da lì e, alle 22.52, vedendo John e Yoko rientrare, chiamò il cantante –  «Ehi, Mr. Lennon!» – per poi sparargli contro cinque colpi di pistola, una calibro 38 comprata a 169 dollari un mese e mezzo prima a Honolulu. Quattro proiettili centrarono in pieno Lennon, che ebbe solo il tempo di compiere due passi in avanti, sussurrare «mi hanno sparato» e crollare a terra. L’assassino invece non fece una piega. Mentre Yoko urlava, lui tirò fuori dalla tasca della sua giacca scura una copia del Giovane Holden e si mise a leggere a pochi metri da lì. Quando sul posto arrivarono gli agenti Steve Spiro e Peter Cullen, di pattuglia sulla 72ª Strada e la Broadway, lo trovarono proprio così: intento a leggere. Lennon venne trasportato d’urgenza al Roosevelt Hospital, e fu dichiarato morto venti minuti dopo, alle 23:15. Aveva compiuto 40 anni da due mesi e un giorno. Improvvisamente a New York calò il buio.

«Ascoltavo quella musica e diventavo sempre più furioso verso John Lennon perché diceva che non credeva in Dio… e che non credeva nei Beatles», dirà in seguito il killer, «volevo proprio urlargli in faccia chi diavolo si credesse di essere, dicendo quelle cose su Dio, sul paradiso e sui Beatles! Dire che non crede in Gesù e cose del genere. A quel punto la mia mente fu accecata totalmente dalla rabbia».

Chapman intervistato dalla Cnn nel 1992

La mente accecata di un megalomane, di uno schizofrenico, di un nevrotico. E l’elenco potrebbe continuare con altre patologie e disturbi psicotici. Ma chi era davvero e chi è diventato Mark David Chapman?

Un’adolescenza segnata da bullismo, dall’emarginazione scolastica e dall’auto-emarginazione casalinga: il killer di John Lennon è sempre stato ossessionato da qualcosa o qualcuno. Da Dio e dalla religione, dalla Salinger e dal peccato mortale. Come quando a 15 anni si convertì al presbiterianesimo, una confessione di origine calvinista, estrema e radicale. O quando negli anni 70 incontrò Jessica Blakenfield si innamorò di lei e la tradì, entrando in una crisi esistenziale dominata dal senso di colpa che lo porterà a un passo dal suicidio, poi fallito miseramente.

Chapman non ha mai avuto il senso del limite. Tutto è stato sempre estremo. L’odio come l’amore. La passione per i Beatles come quella per i libri, divorati come in una catena di montaggio. Ma in contraddizione con la tesi secondo cui leggere fa bene, per Mark la lettura non ha mai avuto l’effetto di un balsamo. Anzi, è stata come benzina sul fuoco della sua anima, che l’ha portato a immedesimarsi in modo maniacale coi personaggi dei vari romanzi. Come quando, dopo aver letto Il giro del mondo in 80 giorni, decise davvero di girare il mondo in ottanta giorni esatti. O come quando, leggendo Il giovane Holden, si trasformò nel suo protagonista, che sognava di spazzare via l’ipocrisia dal mondo. «Sono sicuro che una grossa parte di me sia Holden Caulfield e una piccola parte di me invece sia il diavolo», affermò un giorno. Per eliminare anch’egli l’ipocrisia dal mondo, stilò una classifica dei grandi ipocriti. In questa sorta di hit parade mise Marlon Brando, Elizabeth Taylor e Jacqueline Onassis. In cima alla lista però posizionò lui: John Lennon, l’ipocrita numero uno, quello che – secondo lui – doveva pagare per tutti. Il ricco che canta la pace e l’uguaglianza circondato da tonnellate di bigliettoni verdi. “All You Need is Gold”.

Dopo essere stato arrestato, Chapman fu accusato di omicidio di secondo grado e condannato alla reclusione da un minimo di 20 anni al massimo dell’ergastolo. Dal 2000, quando scontò il minimo della pena, fino allo scorso agosto si è visto rifiutare la domanda di scarcerazione sulla parola per ben undici volte. L’ultima, in ordine di tempo, risale a tre mesi fa, quando la commissione giudicante dello stato di New York disse no per l’ennesima volta. In quest’ultima occasione però, il criminale fece qualcosa che non aveva mai fatto prima: chiese scusa. Ma a modo suo. «Se scegliete di lasciarmi in prigione per il resto della mia vita, non ho niente da eccepire», disse. Poi, rivolgendosi direttamente alla vedova Lennon, affermò: «Mi dispiace per il mio crimine, non ho scuse, è stato fatto per auto-celebrazione. L’ho ucciso per avere fama, è stato un atto molto molto egoista e mi dispiace per il dolore che le ho causato. Non l’ho ucciso per la sua personalità ma perché era molto molto molto molto famoso. Il mio è stato un atto spregevole».

Affermazioni che però pre abbiano sortito l’effetto diametralmente opposto. Almeno nei membri del dipartimento di correzione e supervisione dello stato di New York. I giudici, infatti, hanno sempre considerato distorta e inquietante l’affermazione dell’assassino secondo cui infamia e gloria viaggiano all’unisono. «È impossibile concedergli la libertà condizionale perché considerata incompatibile col benessere della nostra società», hanno spiegato quelli della commissione del centro correzionale, «il suo atto violento ha causato devastazione non solo alla famiglia e agli ex membri della band ma al mondo intero».

Chapman avrà la possibilità di ripresentare domanda tra due anni esatti. Avrà 67 anni. E appare fin troppo facile pronosticare come andrà a fine. Anche la prossima volta.