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Franca Valeri e altre cose divertenti che non vedremo mai più

Dagli anni Ottanta a oggi, come è cambiata e come si è evoluta (e involuta) la comicità femminile in Italia. Una storia che parte da Franca Valeri, dalla Tv delle Ragazze, per passare da Cortellesi fino a Littizzetto.

di Laura Tonini

Franca Valeri in un dettaglio della copertina del libro Bugiarda no, reticente, Einaudi 2010

La Donna dell’Anno viene intervistata mentre porta a spasso il cane. Con l’altra mano tiene accanto a sé il figlio piccolo. Un voluminoso cellulare anni ’80 le pende sul petto. L’intervistatore chiede alla moglie e madre perfetta quale sia la sua giornata tipo. «Ma è così semplice! Io mi sveglio alle sette e porto giù il cane, poi preparo la colazione per i miei bambini, croissant e frittelle, sì. Mi butto nel traffico, li porto a scuola alle otto e mezza e alle nove sono in ufficio. Un paio di riunioni, poi alle dodici e trenta scendo per un po’ di jogging. Alle tredici torno a casa perché mio marito detesta i panini, sì, e io gli preparo un pranzo ipocalorico, sì. Alle 14.30 di nuovo in ufficio, faccio un altro paio di riunioni, alle 16.30 ho il corso per manager rampanti, alle 17.30 vado a prendere i bambini e li porto a canto, danza, nuoto e catechismo. Alle 18.45 vado al supermercato a fare la spesa – in periferia perché li costa meno e lì io faccio la spesa – poi a casa preparo la cena per i bambini e per il cane, e via, un bella favola e li metto tutti  letto! Preparo quindi la cena per mio marito – che arriva sicuramente con cinque colleghi – allora mi vesto da sera dopo avere fatto una bella doccia. Alle 21 accendo le candele e ricevo tutti! Bè alle 24 l’ultimo whiskey prima di andare a letto. Naturalmente prima ho sparecchiato tutto e preparato la colazione per il giorno dopo. Alla una, due chiacchiere con mio marito, parliamo dell’ultima puntata di Beautiful, gli faccio un bellissimo massaggio per la cervicale e via, ci addormentiamo!»
«Signora ma per essere madre, amante, moglie, manager…come fa?»
«Mah. Io sniffo!»

Lo sketch della Donna dell’Anno di Angela Finocchiaro è uno dei pezzi storici de La Tv delle Ragazze, una trasmissione satirica andata in onda su Rai Tre fra l’88 e l’89, con cast tecnico e artistico esclusivamente femminile, un esperimento rimasto unico nella nostra Tv, in quanto dimostratosi capace di successo. È importante specificare l’anno della messa in onda, perché si è trattato di un periodo cruciale per la storia della televisione italiana.

Nel 1987 è stata attuata la riforma che parificava Rai Tre alle altre due reti nazionali e un anno dopo la sua direzione è stata affidata ad Angelo Guglielmi, primo dirigente Rai legato al Partito Comunista, ma anche fondatore del Gruppo 63 con Sanguineti. Un piccolo passo per il lancio di una rete televisiva, un grande passo per la Democrazia Cristiana. L’idea che fosse necessario caratterizzare la terza rete con contenuti innovativi, forti, ha fatto sì che in questo periodo venissero fuori format che poi sono diventati delle colonne della programmazione nei secoli dei secoli a venire: BlobUn Giorno in PreturaChi l’ha Visto?,Samarcanda (il debutto televisivo di Santoro), Quelli che il Calcio e moltissimi altri. In particolar modo si riteneva che l’idea di un programma satirico esclusivamente femminile avrebbe dato una forte connotazione di eterogeneità della terza rete rispetto alle altre due nazionali, ed era vero. Nell’esperienza televisiva degli anni ’60 e ’70 c’erano stati solo singoli e rarissimi fenomeni di comiche che fossero anche autrici e si esibissero come soliste.

Però c’era Franca Valeri. I suoi primi monologhi comici televisivi sono stati all’interno di Studio Uno, la nave madre dei varietà del tempo. Erano “interventi” di diverse forme, a volte si trattava di monologhi, a volte c’erano delle interazioni “disturbatorie” con la conduttrice Mina, ma soprattutto c’era la galleria sterminata di ritratti di donne italiane portate in vita dalla Valeri. Il suo dinamismo in scena, la sua stessa persona erano così fuori dalla convenzionalità televisiva sul comportamento femminile da farla risultare quasi aggressiva, inequivocabilmente diversa da Sandra Mondaini, ad esempio, già membro del cast del programma insieme a Raimondo Vianello. Va detto che nonostante oggi sia percepito come il paradiso dei filmati di repertorio, Studio Uno era una creazione di un autore come Antonello Falqui, concepito come programma innovativo e “generalista”, prima che quest’ultima parola diventasse sinonimo di “pellagra” e “Schadenfreude”.

Ancora nei primi anni ’80 ci sono pochi modelli televisivi, nonostante il teatro italiano, dopo esperienze come il Teatro della Maddalena, cominci a essere ricco di drammaturgia femminile, anche in campo comico. In Tv c’è Simona Marchini, in A tutta gag, ma soprattutto c’è Anna Marchesini con il Trio in Tastomatto. Molti degli sketch più divertenti sono parodie di telegiornali o pubblicità, un elemento che segnala i primi indizi di meta riflessione che si fanno strada nel discorso televisivo e una diversificazione rispetto al più classico impianto teatrale “importato” del protagonista monologante. Nel 1988 però, l’idea arriva da un capostruttura Rai: Bruno Voglino. Consapevole di quanto Rai Tre sia una rete sostanzialmente sconosciuta al pubblico italiano, intuisce che il canale avrebbe dovuto offrire un intrattenimento non allineato e irreperibile altrove.

In effetti, in quel momento, di meno reperibile di donne comiche in televisione c’erano solo le rendicontazioni dei finanziamenti pubblici ai partiti e l’idea di Voglino di affidare un programma satirico a un team autoriale femminile fu immediatamente appoggiata dalla direzione di rete. Fu la stessa Rai a mettere insieme il gruppo di Linda Brunetta, Serena Dandini e Valentina Amurri. Tutte e tre avevano delle precedenti esperienze autoriali e teatrali, ma nel momento in cui furono ingaggiate da Rai Tre erano pressoché sconosciute. Nonostante questo ricevettero dalla dirigenza la fiducia necessaria per assemblare personalmente il cast, arruolando per i teatri ogni singola attrice. Così il gruppo della Tv delle Ragazze ha portato in televisione per la prima volta o quasi: Francesca Reggiani, Cinzia Leone, Maria Amelia Monti, Sabina Guzzanti. Lella Costa, Syusy Blady e moltissime altre. Data quella che veniva preventivata come una scarsissima visibilità, anche il tono del programma non subì imposizioni e le autrici furono lasciate libere sul piano contenutistico, dando vita a un prodotto assolutamente sperimentale rispetto allo standard codificato dalle altre due reti nazionali.

Fu immediatamente compreso a livello strutturale che il cinismo e la vena rabbiosa che pervadevano alcuni sketch erano parti di un linguaggio nuovo, fresco, efficace. Anche se il programma era chiaramente incentrato sulle donne riusciva proprio tramite questo linguaggio polemico a strutturare riflessioni più ampie. Negli spot interpretati da Angela Finocchiaro la gag sottolineava sempre il ruolo della donna come “bersaglio” dell’advertising aggressivo degli Ottanta, come nelle parodie della Dellera, della Salerno, della Gruber si cercava di decostruire i modelli femminili proposti dai media di quegli anni. Il conceptdella Tv delle Ragazze comprendeva la creazione di un intero palinsesto fittizio, di una sorta di televisione pirata, indipendente e dotata di un suo intero ciclo vitale: telegiornali, pubblicità, talk show. Questo aiutò a spostare gradualmente il punto della riflessione dalla donna alla Tv come media, alla politica.

Visti gli ottimi risultati ottenuti dalla prima stagione in termini di ascolti il budget a disposizione del format ingrassò notevolmente e si ebbe l’intelligenza di mantenere la libertà artistica del gruppo. Per apprezzare appieno l’importanza di questo passaggio è importante sapere che in Rai questi due fattori sono coincisi, negli anni, con la stessa frequenza con cui il Seti registra messaggi alieni credibili e Massimo D’Alema mette in dubbio un suo ragionamento.

Venne approntata una complessa e costosa scenografia di un condominio, che prevedeva la presenza in contemporanea sul set di tutte le attrici. Ci fu anche un avvicinamento progressivo verso l’attualità politica e culturale, a cui è naturalmente corrisposto anche l’ingresso di qualche membro maschile nel cast.

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1990. L’esigenza di cambiare il contenitore, diventato un po’ logoro e invalidante. L’idea di un posto dove avrebbero trovato cittadinanza tutti gli scarti della Tv: gli artisti senza contratto, le pubblicità senza committenti. È così che è nato uno dei format satirici più significativi della televisione italiana,Avanzi.

In quegli anni Sabina Guzzanti non sospettava neanche remotamente quanto fosse in grado di prendersi sul serio ed era una delle attrici più divertenti e versatili in attività. Suo fratello Corrado le faceva spesso da autore, ma non aveva mai considerato l’idea di esibirsi in prima persona, anche per timidezza. È noto che fu il gruppo della Tv delle Ragazze a chiamarlo e convincerlo tra mille insistenze a partecipare allo show, di cui divenne quasi immediatamente una delle figure centrali. Gli sketch erano molto spesso a tema politico e conservavano l’approccio aggressivo, tagliente che aveva caratterizzato i format precedenti. È in questo momento che prende forma riconoscibile la generazione di comicità televisiva “consapevole” che ancora adesso divora ore di programmazione prime time: arrivano Crozza, Marco Messeri, Ugo Dighero, Antonio Rezza, Stefano Masciarelli, Luciana Littizzetto fa la sua prima apparizione televisiva.

La formula del programma funziona e viene ripetuta pressoché identica per la successiva messa in onda di Tunnel, figlio legittimo di Avanzi, ma parecchio più facoltoso a livello di budget produttivo. Nel tempo però l’atteggiamento della dirigenza Rai diventa meno conciliante: ci sono le ovvie pressioni derivanti dai maggiori investimenti, ma ci sono anche i provvedimenti dell’organo di vigilanza. Non ne viene programmata una seconda stagione. Serena Dandini continua il suo percorso di programmi satirici con qualcuno degli attori e degli autori, ma il gruppo originario si sfalda, per non ricostituirsi più.

Però c’è un tentativo della Rai – molto successivo – che va ricordato. Paola Cortellesi è stata una delle poche voci comiche femminili ad affermarsi dalla fine degli ’90, con un talento parodistico fuori dal comune. Arriva al pubblico televisivo nazionale con la partecipazione a Mai dire Goal nel 2000 e poi passa dappertutto, da Zelig a Sanremo, conducendo parallelamente anche una carriera cinematografica comprensiva di un David di Donatello come migliore attrice protagonista. Così, en passant.

Nel 2004 Rai Due le offre la possibilità di realizzare Nessundorma, uno show completamente centrato su di lei. Uno spazio, il lunedì sera in seconda serata, di satira di costume con pillole video e pezzi da studio. La cifra della comicità è meno immediata e più colta rispetto a casa Gialappa’s, ci sono ospiti fissi come l’intellettuale svogliato e un prete fuori di testa, Don Marco, che è interpretato da Massimiliano Bruno. Paola Cortellesi racconta che proprio sul personaggio del prete ricevette dalla rete numerose pressioni, in diverse occasioni. Il programma non andò bene e la Rai non tentò più esperimenti simili, nonostante dopo La Tv delle Ragazze e le sue lunghe propaggini fosse chiaro come l’innovazione del linguaggio e il coraggio editoriale siano gli elementi principali di successo di un programma satirico in grado di superare la dimensione di intrattenimento per affermarsi a quella di cultura.

Se ne potrebbe fare un discorso stantio di lottizzazione politica del servizio pubblico e andare avanti per ore ripetendo molte volte la parola “decadenza” – sempre nel caso si sia disposti a riportare le gravi malformazioni corporali che statisticamente colpiscono chiunque si interroghi sul senso della Rai come azienda e come luogo di cultura. In verità la presenza politica è stata una costante in Rai fin dalla sua costituzione, e non è di per sé satanica, è solo ineluttabile. Quello che è venuto a mancare davvero nel corso degli anni è la competenza. La capacità di visione degli uomini colti come Guglielmi, la preparazione rocciosa, lo sguardo fendinebbia che si dovrebbe richiedere a chi gestisce la più grande azienda dell’industria culturale italiana.

Sembra che l’intrattenimento di stampo satirico e la sperimentazione in generale, nella struttura pubblica, siano diventati nel tempo più tollerati che coltivati come strumenti di analisi collettiva, sacrificando a una linea editoriale oscurantista, pedagogica e conservatrice anche le potenzialità commerciali derivanti dall’avvicinamento di fasce di pubblico che non possono riconoscere il buon senso pernacchioso della Littizzetto come un valido strumento di lettura della contemporaneità.