Attualità
La produzione di meraviglia
Intervista con Gianluigi Ricuperati sul suo ultimo romanzo, La produzione di meraviglia (Mondadori) in libreria da oggi.
La produzione di meraviglia (Mondadori) che esordisce oggi in libreria è il secondo romanzo di Gianluigi Ricuperati, segue Il mio impero è nell’aria uscito per minimum fax nel 2011. Allora intervistai lo scrittore torinese, passato a trovarci una mattina di aprile in quella che all’epoca era la prima redazione di Studio, ed è nuovamente una mattinata di aprile a fare da cornice temporale alla nostra chiacchierata due anni più tardi. Questa volta però l’appuntamento è in videochiamata su Skype – io nel mio appartamento di Berlino, lui a Milano nel luminoso ufficio di direttore (fresco di nomina) di Domus Academy – e non potevamo trovare modalità più confacente dato che uno dei momenti decisivi de La produzione di meraviglia è affidato proprio a una chat tra i due protagonisti; ovvero Ione, una ragazza che ha appena perso tutti i privilegi a cui l’aveva abituata una famiglia agiata, e Remì, un giovane uomo innamorato di lei, reso afasico fin dalla nascita da una malattia alle corde vocali, che ha trovato un sovrabbondante riscatto economico nel poker professionistico e, sempre nelle carte, un modo di aggirare l’ostacolo del proprio mutismo. Per comunicare le proprie emozioni negli episodi chiave della sua vita, Remì incolla infatti collage di immagini su carte da gioco da mostrare ai suoi interlocutori, tra cui lo stesso lettore, dal momento che buona parte del libro è occupata da una galleria di riproduzioni delle carte descritte nelle pagine precedenti. Una scelta peculiare quella di far materializzare nel mondo sensibile tracce del testo, così come peculiari sono i tratti dei due personaggi e ancora di più la situazione in cui si trovano all’inizio del romanzo: soli a bordo di un piccolo aereo privato in volo sulle Alpi, sospeso a migliaia di metri sopra un’Europa prossima a un evento traumatico di portata biblica. Ed è proprio da qui, da questo evento catastrofico che conclude il romanzo che paradossalmente comincia l’intervista.
CA: Ti confesso che nonostante sapessi ancora prima di iniziare la lettura che a un certo punto sarebbe accaduto ciò che accade nel finale, la brutalità con cui esso squassa il romanzo e lo fa approdare verso la sua conclusione è riuscita comunque a sorprendermi. Era come se mi aspettassi che da lì in poi sarebbe cominciato un “altro” libro e invece…
GL: Capisco che il finale possa indurre un certo spaesamento e ti posso dire che all’inizio la mia intenzione era scrivere un romanzo che raccontasse un viaggio attraverso un panorama devastato e quindi in pratica cominciasse dove questo finisce. M’interessava lavorare sull’idea di un mondo ridotto a rovine e chissà che questa non possa essere lo spunto per una continuazione. Tuttavia la contiguità con modelli apocalittici anche recenti, come The Road, mi hanno spinto in una direzione diversa. La chiusura così brutale è dovuta al fatto che volevo fare accadere un evento potenzialmente realistico ma allo stesso tempo impossibile. Quando, per esempio, ho letto il libro di Walter Siti, Il realismo è l’impossibile, mi ha molto colpito quando parla di realismo gnostico, cioè della visione di un evento quasi sacrale. Io non volevo che però questo evento sacrale si trasformasse in un evento kitsch, descrivendolo troppo, e da qui viene la scelta di farlo accadere nel modo più rapido e secco possibile. Volevo lasciare una specie di elemento di sogno, di fantasticheria se vuoi. E a questa intenzione si rifà anche l’idea di pubblicare le carte di Remì, che sono una revisione della storia in termini puramente iconici e quindi tipici più del sogno che della computazione realistica. Inoltre quando ho iniziato a scrivere questo romanzo avevo voglia di non ripetere il libro precedente e di maneggiare una parte diversa della tastiera narrativa, di andare in una direzione più visionaria, che sento maggiormente mia.
CA: In tema di visionarietà, trovo che gli stessi personaggi siano caratterizzati, specie Remì, con dei tratti talmente originali da renderli leggermente idiosincratici al “reale”. Come sei giunto a una caratterizzazione tanto precisa e peculiare del tuo protagonista?
GL: Questo è assolutamente vero ma spero che abbiano comunque una loro vitalità e una loro forza comunicativa ed espressiva anche se sicuramente non sono “pescati” dalla realtà, anche perché è proprio questa la direzione in cui volevo andare, ovvero quella di evitare di fare un romanzo sociologico dato che ritengo che la narrativa debba anche e ancora fare della mitopoiesi. Io avevo una visione iniziale che era quella di due persone disperate su un piccolo aereo che attraversa le Alpi. All’inizio era addirittura una cosa ancora più letteraria perché i due personaggi prendevano l’aereo per andare a trovare lo scrittore John Berger che abita nella Savoia e poi – quando comunque avevo ormai già abbandonato questa idea – ho addirittura scoperto che in un romanzo (G. NdR) dello stesso Berger, il protagonista fa un viaggio aereo molto simile su un trabiccolo simile a quello dei fratelli Wright. Questa era la visione di partenza. Che personaggi fossero non lo sapevo ma poi lentamente si sono affastellate una serie di visioni e di desideri di toccare alcune corde emotive che hanno preso la forma di questi personaggi, Ione e Remì. Avevo bisogno di creare un legame tra i due e quindi la cosa più naturale mi è sembrata un legame di tipo erotico ed emotivo ma avevo anche bisogno che uno dei due avesse qualcosa di eccezionale, avevo bisogno che lui avesse dei mezzi economici molto forti perché si creasse una specie di differenza di potenziale tra loro – anche perché il rapporto tra emozioni e denaro è un tema che personalmente mi interessa molto – ma volevo che questo denaro fosse in qualche modo stato acquisito in virtù di qualche capacità eccezionale, senza però che il personaggio venisse percepito come un vincente o un genio tout-court. Così mi è venuta l’idea che fosse un giocatore di poker, con tutta la teatralità che queste figure si portano dietro e infine, per altre ragioni ancora, mi interessava lavorare con un personaggio che avesse questo handicap, il mutismo, e che dovesse cercare altre strade non fonetiche per comunicare. È in questo modo che è nato il personaggio di Remì, che sicuramente può sembrare iperbolico ma che è anche il frutto di una serie di circostanze e di esigenze narrative.
CA: C’è un aspetto che a mio giudizio accomuna i protagonisti maschili dei tuoi due romanzi, Vic Gamalero de Il mio impero è nell’aria e Remì de La produzione di meraviglia. Entrambi sono individui a loro modo estremamente efficienti ed efficaci nel loro rapporto con la realtà – riescono cioè a raggiungere una sorta di successo – ma allo stesso tempo sono individui menomati in partenza: Vic su un piano più puramente esistenziale, Remì su quello fisico. Personalmente trovo che questa dialettica tra perfomatività e menomazione sia un tratto maggiore del contemporaneo, mi chiedevo se concordi e quali sono le ragioni che ti spingono verso questo genere di creature narrative.
GL: Non avevo mai pensato ai personaggi in questi termini ma ora che mi ci fai riflettere in effetti è vero e credo sia una condizione estremamente contemporanea questo convivere di efficienza e menomazione. Più di tutto però è qualcosa che sento in maniera estremamente personale questa percezione di essere da un lato super-performativo e nel contempo coltivare la sensibilità di una frattura interiore che fa parte della propria identità e che per certi versi produce una specie di supplemento di autenticità. È come se l’essere funzionanti a livello sociale e professionale aggiunga sempre un po’ d’inautentico e l’essere menomati a livello esitenziale e personale salvi un po’ di autenticità. Se poi questo problema è un’antenna di una sensibilità contemporanea non sta a me dirlo, io ho la sensazione che sia così o almeno per me lo è.
CA: Così come tutto in Remì sembra all’insegna di un ingenuo e puro stupore, al contrario il personaggio di Ione sembra quasi impermeabile al mondo esterno e alla stessa meraviglia a cui accena il titolo. L’hai voluta plasmare tu in questo modo o è solo una mia impressione?
GL: Una cosa che ho scoperto a libro ultimato è che dentro la parola produzione è contenuta la parola Ione e dentro la parola meraviglia è contenuto un anagramma della parola Remì. È un caso, forse no, ma non è stato pre-calcolato di sicuro. Ugualmente mi fa pensare che queste due parole siano la chiave per capire il libro. Lei è un personaggio votato alla ri-produzione e all’imitazione di questo padre iperefficiente e di successo che però poi cade in disgrazia, mentre Remì è una persona che vive di costante stupore. Lui è un personaggio che gestisce la sua purezza mentre lei è una persona schiacciata dalla figura del padre che reagisce al dramma di lui con una specie di super-superficialità e passività. È come se lei dopo quello che è successo volesse solo sopravvivere e non potesse più vivere con un minimo di autenticità, non potesse più sentire veramente, vedere veramente, toccare veramente. Come se dopo aver amato tanto questa figura paterna che l’ha delusa, non potesse più ritrovare il bandolo delle proprie emozioni. In questo senso io la trovo una figura tenera e non mi sento di giudicarla eccessivamente e credo che questa dovrebbe essere una prerogativa di ogni autore: riuscire a comprendere i moventi dei propri personaggi anche quando sembrano abbietti.
CA: A un certo punto tra Remì e Ione si svolge una chat che è ludica ed erotica insieme. Cosa ti ha spinto a far “consumare” ai protagonisti la loro passione in questo modo?
GL: Credo che questo sia il cuore del libro e anche a suo modo una piccola sperimentazione letteraria su un mezzo che mi sembra quello più usato al mondo per comunicare sentimenti in questo momento, al punto che credo che se dovessi definire con una sola parola questi ultimi anni userei la parola chat perché mi sembra che le persone non facciano altro… in generale, anche quando non sono davanti a uno schermo. Volevo in qualche modo creare una lunga scena erotica tra i due ma anziché crearla sul piano fisico ho preferito porla su un piano mentale, e la chat mi è sembrato il veicolo più adatto e contemporaneo per farlo, e inoltre era anche la situazione ideale per Remì per superare il proprio mutismo e trovarsi su un piano alla pari con Ione.
CA: Di quel passaggio mi ha in particolare colpito la tua decisione di formalizzare il loro dialogo attraverso un gioco. Una specie di quiz ideato da Remì in cui a ogni domanda Ione ha la possibilità di scegliere tra due sole alternative: A) o B). Perché questa decisione invece di una conversazione a briglia sciolta?
GL: Ho pensato che niente come un gioco di questo genere poteva creare una specie di sovrapposizione tra libertà e costrizione che è tipica dell’elemento erotico e inoltre in quanto giocatore professionista, mi sembrava naturale per Remì muoversi sul pianio del gioco anche in ambito passionale. Inoltre avevo la chiara percezione che trascrivere una chat “aperta” avrebbe potuto risultare ridicolo e quindi, dal punto di vista letterario, mi serviva accedere a un ulteriore livello di formalizzazione del loro dialogo.
CA: Si sente sempre più spesso parlare del gioco, dell’elemento ludico dell’esistenza come la passione fondamentale di questo primo scorcio di secolo – la cosidetta gamification – un po’ come il sesso è stato uno dei drive della seconda metà del secolo scorso. … la domanda è: c’era in te, mentre scrivevi questa scena, anche l’intenzione di “giocare” su questo aspetto d’inizio XXI secolo?
GL: In parte sì, anche perché il gioco del libro è un gioco che contiene già in sè e piuttosto esplicamente un elemento sessuale. Riguardo al gioco come passione di questi ultimi anni… sì è una cosa con cui sono assolutamente d’accordo e credo sia inevitabile visto che, come dicevo prima a proposito della chat, la nostra vita si svolge sempre più massicciamente all’interno o di fronte a degli schermi. Però in questa scena c’è anche dell’altro… c’è un elemento drammatico e in particolare un elemento di scommessa che è proprio del personaggio di Remì. A livello emotivo, la scommessa per me rappresenta il futuro, è sempre un puntare su qualcosa che deve ancora accadere, è una specie «di violenza verso il tempo» per citare quello che Proust diceva della moda.