Cultura | Cinema

La piscina è l’antenato di tutti i film sui ricchi e belli che si comportano male

Il cult di Jacques Deray del 1969 è un concentrato di estetica Instagram: piscine, design, corpi sexy e seminudi.

di Francesco Gerardi

Ogni estate spero che questa sia l’estate in cui riscopriamo La piscina di Jacques Deray e lo riconosciamo come uno dei film europei più belli, avveniristici e influenti del Novecento. Nell’estate del 2021 ci siamo andati vicinissimi, a questa riscoperta: il film fu inserito nel programma del Film Forum di New York, sala-istituzione del cinema d’essai assieme al “vicino” Metrograph, distante mezz’ora a piedi. Inizialmente, il programma prevedeva proiezioni della Piscina per due settimane. Alla fine, il film rimase in cartellone per tre mesi.

Visto il successo, l’estate successiva il Metrograph decise di “copiare” i rivali del Film Forum: anche in questo caso sale piene, code sul marciapiede, persone che tornavano una seconda, una terza volta a rivederlo. La Criterion Collection a questo punto decise di inserire La piscina nel catalogo della sua piattaforma streaming, e a quel punto sembrava fatta: riscoperto negli Stati Uniti, in Europa sarebbe stata solo una questione di tempo. I social avrebbero accelerato il processo, anche perché pochissimi film nella storia del cinema si prestano così volentieri a essere scomposti nei bits and pieces dei video su TikTok e delle gallery su Instagram. Le nuove recensioni avrebbero fatto il resto, rendendo finalmente giustizia a un film che – se non lo ha inventato – ha certamente dato un grandissimo contributo a definire il genere narrativo dei “ricchi e belli che si comportano male”, come scriveva Glenn Kenny in una recensione sul New York Times.

Quell’estate come questa estate come tutte le estati, la riscoperta de La Piscina alla fine non c’è stata e il film è rimasto nel club esclusivo ma ristretto dei cult, venerato dai cinefili, ignorato da chiunque altro. Ma il vantaggio di film del genere è proprio questo: li ha visti anche chi non li ha visti, li ha visti anche chi non guarda film. Saltburn è stato senza dubbio uno dei titoli più discussi del 2023, e Saltburn nel 2023 non sarebbe mai esistito se nel 1969 non fosse uscito La piscina. È l’accostamento più recente e più facile da fare, ma a sforzarsi se ne potrebbero fare tantissimi perché tantissima è stata in questi anni la narrativa sui “ricchi e belli che si comportano male”. A Bigger Splash è l’altro titolo che viene in mente subito e sempre, Guadagnino ispirato come poche altre volte nella sua carriera anche – forse soprattutto – perché liberamente ispirato da Deray. Ma appunto, l’elenco degli ispirati (liberamente, consciamente o inconsciamente) potrebbe andare avanti per un pezzo. C’è (anche) La piscina nella famiglia Roy di Succession che di malavoglia si ritrova nel ranch di Connor a Austerlitz, Nuovo Messico, per una disastrosa sessione psicanalitica. C’è anche La piscina nel soggetto di The White Lotus: mettiamo dei ricchi e belli in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, contiamo quanti minuti passano prima che rivelino i mostri nascosti sotto tutta quella bellezza, sotto tutti quei soldi, sotto tutto quell’ego.

Non che La piscina abbia inventato questo genere narrativo, ovviamente. Ma bisogna ammettere che pochissime volte nella storia sono apparsi sul grande schermo personaggi così belli, così ricchi e così egomaniaci come i suoi protagonisti. Alain Delon – che chissà come avrebbe preso la recensione di Richard Brody del New Yorker in cui il suo Jean-Paul viene definito «un uomo di mezza età» – e Romy Schneider (scelta per interpretare Marianne grazie a un aut-aut di Delon, che arrivò a minacciare di mollare il film quando Deray gli disse che lui la parte aveva deciso di darla a Monica Vitti), Maurice Ronet e Jane Birkin, tutti seduti in un giardino arredato con i mobili della serie Locus Solus disegnati da Gae Aulenti.

 

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Se è vero che l’estate è la stagione nella quale è sacrosanto accettare il primato dell’estetica – perché le giornate sono più lunghe, perché la luce è più bella, perché i corpi sono più nudi, perché la vita è più pubblica – è anche vero che forse non saremmo così frustrati dall distanza tra aspettative e realtà se Deray, Delon, Schneider, Ronet e Birkin non avessero stabilito aspettative così irrealistiche. Il dolore dell’inadeguatezza si acuisce quando si scopre che La piscina è uno dei pochissimi film mai girati senza un costumista vero e proprio. Agli attori e alle attrici Deray disse di presentarsi sul set con i loro vestiti: ha detto poi Deray che quando vide Delon, Schneider, Ronet e Birkin arrivare sul set per il primo giorno di riprese, quando vide come erano vestiti e quanto erano belli, capì che questo film non sarebbe mai passato di moda.

Certo, è facile non passare di moda quando si è tanto irraggiungibili, così irripetibili. È facile lasciare noialtri nel disperato tentativo di fare assomigliare le nostre estati a quell’estate della Piscina. È ingiusto che i responsabili non si siano mai assunti la responsabilità per il crimine di aver rovinato l’estate per sempre a tantissime persone, di aver fatto della bella stagione un periodo deprimente in cui tutte la mancanze, le povertà, i difetti vengono esposti alla luce del sole. Persino lo sceneggiatore della Piscina ammise di aver combinato un guaio: Jean-Claude Carrière preferiva parlare di “aspetto” e di “sensazioni” quando discuteva del film e tendeva a ridimensionare il suo contributo alla realizzazione dell’opera: in tutta la sceneggiature c’erano soltanto nove pagine di dialoghi, il resto – l’aspetto, le sensazioni, appunto – non erano cose che si potevano descrivere a parole, tantomeno scrivere. E in effetti, come descrivereste l’aspetto, le sensazioni di quella scena in cui Delon se ne sta steso pancia all’aria sotto il sole, un braccio ammollo nell’acqua immobile della piscina, in una posa che nemmeno Brad Pitt si è sentito capace di imitare (si è limitato a omaggiarla su una copertina di Gq), con addosso degli occhiali da sole – Vuarnet Legend 06 – così belli che Daniel Craig decise che erano i soli degni dell’outfit del suo James Bond?

Sia Deray che Carrère hanno raccontato che la scelta di ambientare la storia in una villa a Saint Tropez, di far succedere quel che succede (e cioè chiacchiere, malumori, seduzioni, intimidazioni, violenze, ma tutto questo non è importante perché, ancora una volta, questo è un film di aspetto e sensazioni in cui storia e intreccio, dialoghi ed eventi sono quasi del tutto irrilevanti) attorno a una piscina era obbligata. In un film fatto di bellezze tali da sembrare impossibili da riprodurre per il prossimo ma anche da produrre in natura, il mare – con le asperità e le imperfezioni che vengono dal corso degli eventi della natura – avrebbe sfigurato. Certe bellezze inspiegabili si possono riflettere solo in specchi artificiali, prodotti appositamente per lo scopo di accoglierle ed omaggiarle. Uno specchio come quello fornito dall’acqua di una piscina, bianco e azzurro, immobile e stretto. Ecco, se una ragione per la mancata riscoperta della Piscina c’è forse è proprio questa: con tutti gli sforzi che facciamo per dare alle nostre vacanze un’apparenza di coolness, di tutto abbiamo bisogno tranne che vedere scorrere su uno schermo – un altro tipo di specchio, o quasi – le immagini della vacanza che non ci potremo permettere mai.