Hype ↓
04:39 giovedì 13 novembre 2025
È uscito il primo trailer di Marty Supreme, il film sul ping pong con cui Timothée Chalamet punta a vincere l’Oscar Il film di Josh Safdie è stato accolto con entusiasmo dalla critica e il suo protagonista è già lanciatissimo verso la statuetta per il Miglior attore. 
Da oggi scatta il blocco ai siti porno per i minorenni, solo che al momento non è bloccato niente Dal 12 novembre i portali per adulti devono controllare l'età degli utenti con un sistema esterno e anonimo, che però non è ancora operativo.
È morto Homayoun Ershadi, leggendario attore iraniano che Abbas Kiarostami scoprì a un semaforo Il suo ruolo ne Il sapore della ciliegia lanciò una carriera iniziata per caso: nonostante il successo, non si è mai sentito un vero attore.
Papa Leone XIV ha rivelato i suoi quattro film preferiti e tra questi non ci sono né ConclaveThe Young Pope E neanche Habemus Papam e I due Papi né nessun altro film che parli di Papi.
Hbo ha annunciato che V per Vendetta tornerà, stavolta come serie tv Del progetto al momento si sa pochissimo, ma è già stato confermato James Gunn nel ruolo di produttore esecutivo.
Le aziende di Big Tech stanno investendo nella creazione di neonati “di design”, cioè geneticamente modificati I miliardari della Silicon Valley hanno deciso che quello di cui l'umanità ha bisogno è una formula per creare “neonati potenziati”.
Secondo il presidente della COP30 i Paesi ricchi dovrebbero tutti prendere lezioni di ambientalismo dalla Cina André Corrêa do Lago ha detto che la Cina, uno dei tre maggiori inquinatori al mondo, è l'esempio che il resto del mondo dovrebbe seguire.
Prima di essere scarcerato, Sarkozy si è vantato su Instagram di tutte le lettere che stava ricevendo in carcere Un reel sull'Instagram dell'ex Presidente mostra le tante lettere, regali e cartoline inviategli dai sostenitori. Lui ha promesso che risponderà a tutti.

E se la spuntasse Kamala Harris?

La senatrice della California, dopo un inizio sfolgorante, sembrava aver perso terreno. Oggi, invece, è vicinissima ai favoriti per le primarie democratiche.

17 Luglio 2019

Ora si parla di Kamala Harris. Sarà lei a sfidare Donald Trump? È ancora troppo presto per dirlo, ma gli articoli e gli approfondimenti sui giornali americani, l’ultimo sul New Yorker di questa settimana, si moltiplicano. C’è che la prima tappa della lunga campagna elettorale è stata vinta da lei, Kamala Harris, una dei venti candidati democratici che alle primarie di partito si contendono la nomination per sfidare, il 3 novembre del 2020, il presidente in carica Donald Trump. Cinquantaquattro anni, madre indiana e padre giamaicano, accademici separatisi quando Kamala aveva 7 anni, senatrice della California, ex procuratore distrettuale di San Francisco e Attorney General della California, prima asio-americana a candidarsi alla Casa Bianca, seconda donna di colore nella storia del Senato di Washington, Kamala Harris è una predestinata che lavora da anni per questo momento. Il 27 gennaio di quest’anno, il giorno in cui ha annunciato di candidarsi a presidente, ha raccolto ad Oakland, sua città natale, una folla oceanica, che ha colpito anche Donald Trump, solitamente restio a complimentarsi con gli avversari. Dopo quell’inizio sfolgorante, ha stentato ad emergere tra i tanti candidati, ma il 27 giugno scorso, sul palcoscenico televisivo di Miami, ha dominato il dibattito democratico assestando alcuni colpi potenzialmente letali al grande favorito della competizione, l’ex vice presidente di Barack Obama, Joe Biden. Fino a quel momento si diceva che Harris sarebbe stata un’ottima vicepresidente di Biden, dopo il dibattito lei fa battute su quanto sarebbe bello avere Biden come “running mate”.

La senatrice della California sta impostando il suo messaggio presidenziale sulla stessa lunghezza di quello obamiano, ovvero quello di fornire soluzioni intelligenti a problemi complessi e di mostrare agli elettori un’edificante storia personale di riscatto sociale. Il momento chiave dello scambio Harris-Biden, infatti, è stato quando Harris ha raccontato la storia di una piccola bambina che faceva parte della seconda annata di studenti che finalmente uscivano dalla segregazione razziale ancora in vigore nelle scuole pubbliche della California: «E quella piccola bambina ero io», ha detto rivolto a Biden che all’epoca aveva espresso dubbi sulla desegregazione forzosa degli scuolabus pubblici, coniando una di quelle frasi che finiscono dritte sulle t-shirt di tendenza e fanno la storia.

Harris punta a mobilitare gli elettori di colore, ma anche le donne ancora scottate dalla sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, fino a oggi l’unica donna nominata da uno dei due partiti principali alle elezioni presidenziali. Oggi sono sei le candidate alle primarie, oltre a Harris anche le colleghe senatrici Elizabeth Warren del Massachusetts, Amy Klobuchar del Minnesota e Kristen Gillibrand di New York, più la deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard e la life-coach Marianne Williamson, tutte tranne quest’ultima fotografate da Annie Leibovitz sul numero di luglio di Vogue Us. Ma guai a chiedere alla senatrice Harris di parlare di questioni femminili: «Quando qualcuno mi chiede di parlarmi di questioni femminili – ha detto a Vogue – lo guardo, sorrido e dico che sono molto felice di parlargli di economia o di sicurezza nazionale».

Subito dopo il primo dibattito, Kamala Harris è schizzata in alto nei sondaggi che registrano il consenso degli elettori, superando l’altro favorito Bernie Sanders, senatore socialista del Vermont, e piazzandosi, a seconda delle diverse rilevazioni, al secondo o al terzo posto dopo Biden, assieme alla collega Warren. Oltre ai sondaggi, l’altro elemento di valutazione della popolarità dei candidati è la quantità di denaro raccolto. Anche qui, la senatrice Harris è messa bene: seconda dopo Sanders nella raccolta fondi nei primi tre mesi dell’anno e quinta nel trimestre successivo, dietro Pete Buttigieg, Biden, Warren e Sanders, con un exploit di denaro ricevuto nelle 24 ore successive al dibattito.

“Ma ciò che i dibattiti danno, i dibattiti tolgono”, si dice di solito delle campagne presidenziali, in particolare di questo ciclo con tanti candidati e ancora altre due tornate di confronti televisivi, il 30 e il 31 luglio e il 12 e il 13 settembre, prima dell’apertura delle urne il 3 febbraio 2020 con i caucus in Iowa. Ma la strategia di Harris, studiata assieme alla sorella Maya, già consigliera politica di Hillary Clinton, è quella di far pesare negli incontri con gli altri candidati le sue superiori capacità dialettiche, addestrate nelle aule dei tribunali californiani e, più di recente, nelle commissioni al Congresso, dove si è distinta per essere riuscita a mettere in seria difficoltà i membri dell’Amministrazione Trump coinvolti nel Russiagate. C’è sempre il rischio di qualche capitombolo, però. Ad Harris, per esempio, durante un’intervista radiofonica hanno chiesto se aveva mai fumato una canna. La sua risposta, «Che domande, sono per metà giamaicana», non è piaciuta al padre, con cui di fatto non ha rapporti, il quale si è lamentato con la figlia per la reiterazione di un odioso stereotipo sul suo popolo.

Ma queste, al momento, sono quisquilie. In un Partito democratico che si è spostato molto a sinistra rispetto alla tradizione americana, fino a sfiorare posizioni socialiste, Harris è considerata  dell’ala progressista, non moderata. Eppure nella città più di sinistra dell’Unione, San Francisco, le contestano di non aver assecondato, quando era procuratore distrettuale, la decisione di una corte federale che avrebbe portato alla dichiarazione di incostituzionalità della pena di morte, pur essendo lei contraria alla pena capitale e nonostante (o forse proprio per questo) agli inizi della carriera sia stata sul punto di essere rimossa dal ruolo perché non aveva chiesto l’esecuzione dell’assassino di un poliziotto, limitandosi a chiedere l’ergastolo. Harris invece è stata decisiva nel processo, nato in California, che ha portato al riconoscimento giurisprudenziale del matrimonio omosessuale. L’accusa, insomma, è di essere molto cauta e troppo attenta a prendere posizioni che non la danneggino nelle più importanti sfide successive: per questo diceva di essere contro la pena di morte a San Francisco, ma evitava di diventarne una paladina quando l’obiettivo era quello di diventare Attorney General di tutta la California convincendo anche elettori meno progressisti di quelli residenti a San Francisco. Troppo lenta come riformatrice, troppo dura come tutore dell’ordine. Non è detto che sia uno svantaggio elettorale.

Alla seconda Convention nazionale di Obama, a Charleston nel 2012, da Attorney General, era stata annunciata come la futura stella del partito indicata personalmente dal presidente: Obama l’aveva presentata come l’Attorney General di gran lunga più bella del paese, con l’intento di segnalare che la gran parte di quei posti è di uomini bianchi, ma il commento fu giudicato sessista e Obama è stato costretto a scusarsi. Il discorso di Kamala a Charleston fu talmente guardingo e ponderato da risultare noioso ed essere dimenticato seduta stante. Ma ora che sta affrontando la sfida più grande, Harris sembra finalmente più libera di dire ciò che pensa, ma sempre con la circospezione del caso. La strada per arrivare a sfidare Trump è complicata e gli ostacoli sono imprevedibili, ma Harris ha cominciato bene, prendendo di mira il favorito Biden e sovrastando il vice-favorito Sanders. Chi l’ha vista in televisione su quel palco di Miami non ha potuto fare a meno di pensare in che trappola retorica potrebbe catturare Trump l’estate prossima. Tra questi c’era anche Trump.

Articoli Suggeriti
Social Media Manager

Leggi anche ↓
Social Media Manager

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.