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23:47 lunedì 30 giugno 2025
Una delle band più popolari su Spotify nell’ultimo mese è un gruppo psych rock generato dall’AI Trecentomila ascoltatori mensili per i Velvet Sundown, che fanno canzoni abbastanza brutte e soprattutto non esistono davvero.
A Bologna hanno istituito dei “rifugi climatici” per aiutare le persone ad affrontare il caldo E a Napoli un ospedale ha organizzato percorsi dedicati ai ricoveri per colpi di calore. La crisi climatica è una problema amministrativo e sanitario, ormai.
Tra i contenuti speciali del vinile di Virgin c’è anche una foto del pube di Lorde Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.
La Rai vorrebbe abbandonare Sanremo (il Comune) e trasformare Sanremo (il festival) in un evento itinerante Sono settimane che la tv di Stato (e i discografici) litigano con il Comune: questioni di soldi, pare, che potrebbero portare alla fine del Festival per come lo conosciamo.
La storia del turista norvegese respinto dagli Stati Uniti per un meme su Vance sembrava falsa perché effettivamente lo era Non è stato rimpatriato per le foto salvate sul suo cellulare, ma semplicemente perché ha ammesso di aver consumato stupefacenti.
In Giappone è stato condannato a morte il famigerato “killer di Twitter” Takahiro Shiraishi è stato riconosciuto colpevole degli omicidi di nove ragazze. Erano tre anni che nel Paese non veniva eseguita nessuna pena capitale.
Per sposarsi a Venezia e farsi contestare dai veneziani Bezos ha speso almeno 40 milioni di euro Una cifra assurda che però non gli basta nemmeno per entrare nella Top 5 dei matrimoni più costosi di sempre.

Oggi è il giorno più kafkiano di tutti

Il 3 giugno del 1924 Franz Kafka moriva a Kierling, in Austria. Nei cento anni passati da quel 3 giugno a questo, abbiamo assistito a una delle più grandi operazioni di mitizzazione e fraintendimento della storia della letteratura.

03 Giugno 2024

Nel film autobiografico di Noah Baumbach, Il calamaro e la balena il personaggio adolescente interpretato da Jesse Eisenberg continua a usare il termine “kafkiano”. Quando una ragazza gli chiede cosa pensa del racconto La metamorfosi, lui risponde: «È molto kafkiano». E lei: «Certo, l’ha scritto Franz Kafka», e si accorge che lui non ha mai letto Kafka. La trasformazione non tanto in insetto quanto in aggettivo è una condanna per lo scrittore praghese, morto esattamente un secolo fa. Basta vedere alcuni recenti titoli di quotidiani italiani: “Post alluvione kafkiano in Emilia: presentate solo 2.514 richieste d’indennizzo su 60 mila”, “Cucchi, la requisitoria del Pm Musarò: ‘Primo processo kafkiano, fu scientifico depistaggio’ (Il Fatto Quotidiano). “In quarantena per errore nel Cara di Crotone, il caso kafkiano di Abbas” (La Stampa), “«Detenuto in attesa di giudizio» un Sordi kafkiano affronta il dramma della malagiustizia” (Gazzetta del Mezzogiorno), “Selahattin Demirtas, ostaggio kafkiano” (Il Manifesto), “Il capovolgimento kafkiano della realtà” (ancora Il Manifesto, su Mimmo Lucano), “Arrivabene-Juve, risvolto assurdo: un caso kafkiano che può finire al Tar” (Tuttosport), “Quel caso Marta Russo come un horror kafkiano” (Il Resto del Carlino)… Il kafkaesque si adatta a tutto, dal calcio ai disastri naturali.

L’altra condanna per Kafka è esser stato vittima ignara di un processo agiografico. Da morto, quando non poteva smentire nessuno, è stato dipinto come un puro, come un asessuato, come un alieno, un animale indifeso, un mistico illuminato. Questo processo è stato portato inizialmente avanti dal suo amico Max Brod, romanziere mediocre se non addirittura pessimo, a cui Kafka aveva lasciato i manoscritti dicendogli di bruciarli. Con un trick di marketing, dopo l’iniziale accoglienza fredda delle opere postume, Brod si è inventato il personaggio Kafka, e poi gli è scappato di mano. Ma ha funzionato per venderlo come un fenomeno da baraccone, un essere, prima che uno scrittore, inarrivabile. Lo diceva già qualche anno fa Alessandro Piperno in un programma tv: «Quando oggi pensiamo a Kafka abbiamo la tentazione di occuparci eccessivamente di questa sua pura autobiografia e di non occuparci abbastanza dell’opera», creando una «canonizzazione, un’agiografia, la gente si commuove su Kafka». E in effetti, la sua opera più popolare, il racconto dove il protagonista si sveglia tramutato in insetto, oltre che nelle aule di scuola sopravvive nei meme e nelle vignette da rivista (il New Yorker con tutti i cartoon con lo scarafaggio potrebbe farci un volume come fa con gatti, cani e il golf).

Non c’è solo l’eccezionalità di quest’immagine quasi non umana, o superumana, Kafka è diventato anche il santino nella tasca interna della giacca degli scrittori “incompresi”. È diventato quello “avanti per i suoi tempi”, quello “sottovalutato” dalla sua epoca. Ma basta leggersi la monumentale e dettagliata biografia di Reiner Stach per capire che Kafka era molto compreso, almeno da chi voleva farsi comprendere. Il Saggiatore – traduzione di Mauro Nervi, che ha anche tradotto La metamorfosi in esperanto – ha appena pubblicato in tre volumi la ricerca di una vita di Stach, già autore dello splendido Questo è Kafka? adelphiano. Le quasi duemila pagine sono un’immersione dettagliatissima nella quotidianità del boemo, dove si riescono a ricostruire giornate intere, anche grazie ai diari che ha lasciato. Kafka, appunto, era già molto apprezzato come scrittore quando era in vita. Lo scrive anche Giorgio Fontana nel libro Kafka, un mondo di verità (Sellerio), uscito anche questo per il centenario. «Rappresentare Kafka come un asceta solitario incline a fustigarsi per creare», scrive Fontana, «significa cedere alla retorica accumulata negli anni». Le cartoline, le fotografie appese nelle librerie da selfie, nelle Shakespeare & Co., continuano a veicolare questo messaggio di un San Kafka, di un messia del romanzo novecentesco, e non di un ragazzo che, tra le altre cose, andava a puttane.

Certo, il padre lo avrebbe preferito avvocato o bravo commerciante (condanna di ogni scrittore), ma la sua cricca praghese, e anche eleganti editori tedeschi, avevano capito che era un bravo scrittore. Lo vediamo anche nell’epistolario – pubblicato da Neri Pozza con il titolo Un altro scrivere – quanto Brod apprezzasse le doti dell’amico e cercasse in ogni modo di aiutarlo. A un certo punto Brod scrive nel proprio diario che la prosa dell’amico è «divina». Gli amici gli dicono: «Franz, quand’è che scrivi un romanzo?». Kafka, come viene fuori leggendo questi libri, era un vero perfezionista; dopotutto adorava Flaubert, chirurgo massimo della frase. Ha già pubblicato su riviste, è già conosciuto nei giri del teatro yiddish, ma dopo aver iniziato una notte a scrivere Il disperso, che diventerà poi America, all’alba dei trent’anni si rende conto che tutto quello che ha scritto nei precedenti quindici anni non è all’altezza. Si crea un nuovo standard personale. Le prime pagine buttate giù con questa nuova consapevolezza costituiscono, scrive Stach, «una svolta senza ritorno sul piano formale, stilistico e tematico». Tutto quello che ha fatto prima non è più valido.

La paura di esser pubblicati per il giovane Kafka non viene da una mancanza di desiderio di essere letto, seppur certo non fosse alla ricerca esplicita di una gloria letteraria, ma dal fatto che «ciò che è stampato rimane per sempre sottratto a una possibilità di perfezionamento, al di là di qualsiasi volontà». Come diceva Thomas Mann: «riposare nella perfezione è il sogno di chi tende all’eccelso, e non è forse il nulla una forma di perfezione?». E poi, allo stesso tempo, anche dare le opere da bruciare a un amico che adora i tuoi scritti, non è una forma per evitare che brucino davvero?

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