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Riscoprire la musica brasiliana con John Gómez

Il dj spagnolo racconta la genesi delle compilation Outro Tempo, che testimoniano la ricchezza creativa delle scene musicali in Brasile.

di Gilles Nicoli

John Goméz. Foto di Mariona Vilarós via Warm Agency

Come molti, ho a lungo collegato la musica brasiliana a parole chiave come tropicalia e bossa nova, o a nomi di riferimento come Caetano Veloso, Gilberto Gil, o il recentemente scomparso João Gilberto; ma per capire se avevo solo immagini da cartolina o una mappa con coordinate reali, dovevo andare più a fondo: l’ho fatto affidandomi a John Gómez e ai due volumi di Outro Tempo: Electronic and Contemporary Music From Brazil da lui curati per l’etichetta olandese Music From Memory.

La storia di queste uscite discografiche inizia in un modo banale ma bello. «Il primo contatto è avvenuto scambiando dischi con Jamie Tiller (uno dei fondatori di Music From Memory, ndr)», mi dice Gómez, «Abbiamo iniziato a chattare spesso e siamo diventati buoni amici. Tutto il resto si è sviluppato a partire da quelle conversazioni, durante le quali abbiamo scoperto di avere in comune lo stesso approccio alla musica, un insano appetito per la scoperta di nuovi suoni e un retroterra hip-hop alquanto dubbio. Il mio primo coinvolgimento con l’etichetta invece è stato quando ho scritto le note di copertina per la compilation Odisea di Suso Saiz. Mi sentivo molto vicino alla musica di Suso di quel periodo, perché si legava – con una certa nostalgia – agli anni ‘80 della mia infanzia vissuta a Madrid».

Anche la passione per la musica brasiliana di John Gómez è una cosa che viene da lontano ed è stata coltivata col tempo: «La musica brasiliana mi ha interessato sin da quando ero ragazzo» racconta. «Ne ho conosciuto per primo il lato più ricco di groove per via della scena londinese, che osservavo a distanza grazie a riviste come Straight No Chaser, ai programmi radiofonici di Gilles Peterson e a compilation come Blue Brazil e, più tardi, Brazilian Beats di Mr Bongo. Ho visitato il Brasile per la prima volta nel 2001 e da quel momento ho davvero iniziato a dedicarmi alla ricerca dei miei dischi brasiliani. C’è una scena musicale sorprendentemente florida in Brasile: se uno è di larghe vedute e va oltre ai classici tesori che cercano tutti, può trovare della musica incredibile».

Non sorprende che collezionare dischi misconosciuti ma ottimi abbia infine portato all’idea di realizzare una compilation come Outro Tempo. «Tutto è iniziato con una semplice idea: mettere insieme alcune canzoni straordinarie appartenenti a un periodo del Brasile che credo sia stato largamente sottovalutato, almeno al di fuori del Brasile. Ho cominciato a interessarmi a questo specifico genere dopo aver trovato in Giappone il vinile di Brasileira di Maria Rita Stumpf. Suonava davvero unico alle mie orecchie: musica folk d’avanguardia con un tocco di elettronica. Ho iniziato a cercare musica di quell’epoca per vedere se ci fosse materiale dello stesso tipo e sono stato felicissimo di scoprire che c’erano altri album con atmosfere simili che si potevano accostare all’elettronica contemporanea e alle sonorità ambient. L’idea ha preso forma», prosegue Gómez, «man mano che diventavano sempre più evidenti i legami tra i musicisti e le scene musicali, e speravo che una pubblicazione curata per bene avrebbe aiutato questi musicisti a ricevere l’attenzione che meritano».

A questo punto le cose si sono complicate per Gómez che, scelta la sua direzione, ha dovuto iniziare a raccogliere informazioni, acquisire diritti, rintracciare autori e superare anche alcuni pregiudizi. «Ho dovuto fare molte ricerche», mi spiega, «Una volta trovato il primo gruppo di artisti, sono andato a guardare le connessioni tra gli album, i collaboratori, le etichette discografiche. Volevo essere sicuro che entrambe le compilation non avrebbero avuto solo un paio di brani favolosi e un sacco di riempitivi, così sono andato in Brasile cercando dischi che potessero contenere un qualsiasi piccolo indizio che mi portasse sulle tracce di altra musica interessante. Mi sono munito di un lettore portatile e ho ascoltato centinaia di uscite indipendenti degli anni ‘80 e ‘90, musica strumentale, ogni disco la cui copertina o line-up mi ispirasse. La maggior parte degli album che ho trovato venivano trascurati, perché i collezionisti di solito preferivano un altro genere di sonorità brasiliane. Questo è cambiato dopo l’uscita delle compilation, questi dischi sono molto ricercati adesso».

John Gomez (foto di Mariona Vilarós via Warm Agency)

«Nessuna parte di questa ricerca è stata priva di ostacoli», continua, «Rintracciare gli autori ha richiesto un po’ di lavoro da detective, e una volta trovati i contatti è stato spesso difficile sia guadagnare la loro fiducia, sia fargli capire quale fosse l’idea e convincerli a farla propria. La mancanza di fiducia è il risultato di anni di delusioni verso l’industria discografica, dato che molti degli artisti con cui ho parlato non hanno guadagnato praticamente nulla con i loro album. Spiegargli il progetto ha comportato un altro genere di difficoltà, legato principalmente alla definizione di elettronica, poiché molti artisti la associavano negativamente alla musica da club. Io ero interessato al modo in cui molte di queste registrazioni hanno sperimentato con elementi elettronici come la manipolazione dei nastri e l’uso delle drum machine, e volevo rendere chiaro che erano questi a giustificare la definizione, non avevo intenzione di trasformare la loro musica per darla in pasto a Ibiza». Non è stato facile nemmeno organizzare il materiale raccolto per dare finalmente forma alla compilation. «Ho messo insieme una quantità nevrotica di bozze che dovevo poi modificare ogni volta che un particolare brano veniva confermato oppure rimosso perché non ero riuscito ad acquisirne i diritti», conclude. Per tutti questi motivi, entrambi i volumi sono stati costruiti a partire da un ristretto numero di punti fermi accuratamente selezionati.

«Inizialmente era importante, dal punto di vista commerciale, assicurarmi i diritti di tracce che avrebbero potuto catturare l’attenzione, come Maraka di May East o Kiuà di Andrea Daltro nel primo volume. Brani come questi funzionano da esca e stabiliscono le coordinate sonore. Da quel momento in poi l’importante è trovare e inserire tracce che rispettino quella direzione, e possano legarsi a una certa narrazione, che nel secondo volume ruota attorno all’emergente scena elettronica di São Paulo. Questo è avvenuto studiando più a fondo l’eredità di Suba, e la musica che ha registrato in Brasile ha finito con l’essere la base su cui il resto della compilation sarebbe stata costruita». Possiamo considerare raccolte come queste un modo singolare di raccontare la storia di un Paese: il primo volume di Outro Tempo, ad esempio, copre un arco di tempo che va dal 1978 al 1992, documentando dunque gli ultimi anni della dittatura militare e gran parte del periodo di transizione verso il regime democratico. Il secondo volume raccoglie invece materiale dal 1984 al 1996, spingendosi più in là in quegli anni ‘90 caratterizzati da uno slancio riformista che finì per acuire le diseguaglianze economiche già presenti nella società brasiliana. Domando quindi a John Gómez quanto abbia preso in considerazione questi aspetti, e quanto di tutto ciò possa essere colto ascoltando le tracce da lui selezionate.

«Credo di sì, che [le compilation, ndr] possano considerarsi un racconto alternativo della storia del Brasile», mi risponde, «Ci vengono sempre presentate immagini stereotipate di questo Paese, dalle partite a pallone sulle spiagge al Carnevale o alla Samba. Sono immagini che esistono, è ovvio, ma che non raccontano tutta la storia di un Paese che è incredibilmente complesso politicamente, socialmente e culturalmente. In queste compilation si possono ascoltare diverse voci che dal Brasile narrano una storia diversa. A questo si lega il modo in cui abbiamo lavorato sull’identità visiva di Outro Tempo. Volevo evitare di usare immagini che riflettessero un cliché come un tramonto a Ipanema o un ragazzino nero che gioca a calcio in una favela, e usare qualcosa di più suggestivo che sapesse evidenziare le oscurità presenti nella musica». Outro Tempo rappresenta con rara efficacia il Brasile proprio perché non ce ne restituisce un’immagine univoca: il suo ascolto smentisce e conferma nella stessa misura quegli stereotipi e quelle immagini da cartolina di cui sopra.

C’è un sentimento – identifichiamolo pure con quel senso di malinconia e di incompletezza che i brasiliani chiamano “saudade” – che travalica i generi musicali e si trova qui come nei dischi di João Gilberto, Caetano Veloso e Gilberto Gil. Dunque queste raccolte più che falsificare il cliché gli restituiscono buona parte della complessità perduta, rivelando nuove sfumature, espandendo il campo delle possibilità, aggiungendo dimensioni ulteriori. «È questo che rende la musica così grande: queste canzoni sembrano appartenere al Brasile ma anche a un luogo completamente diverso», commenta Gómez. «Non è opera mia, non ho scritto io i brani: ho solo intercettato uno stesso conflitto esistenziale che è al cuore di tutta questa musica».