Cultura | Letteratura
Izumi Suzuki, la sad bad girl che arrivava dal futuro
Con Noia terminale, primo volume di una trilogia, Add editore introduce in Italia l’opera di culto della modella, attrice di soft-core e musa di Nobuyoshi Araki che ha ispirato una generazione di scrittrici giapponesi.

Morta suicida all’età di 36 anni impiccandosi accanto alla figlia addormentata dopo una vita di relazioni violente e abusi di droghe, la modella e attrice di soft-core Izumi Suzuki (classe 1949) non somiglia per niente alle scrittrici contemporanee giapponesi miti e studiose che pure, sulla sua scia, hanno prodotto libri di fantascienza destabilizzanti, conditi di incesti, pedofilia e cannibalismo. No, Izumi Suzuki, che in vita è stata nota più per la sua bellezza e per la storia d’amore travagliata col jazzista Abe Kaoru (si tagliò un alluce per lui), e che come scrittrice è stata riscoperta solo con la ripubblicazione da parte dell’editore Bun’yūsha, conduceva una vita molto più vicina alle atmosfere cupe e stranianti della sua raccolta Noia terminale (edito in Italia da add): libro incubatore e anticipatore di tante tendenze del romanzo fantascientifico e fantastico giapponese (e non solo) di oggi, nella terza ondata del femminismo.
Chi ha un po’ di familiarità con le autrici giapponesi contemporanee – e non mi riferisco ai feel good: romanzi motivazionali che si svolgono interamente in librerie/caffetterie/raviolerie magiche – ne ritroverà in Izumi Suzuki i temi e le ossessioni: l’assurdità del reiterare strutture sociali superate come la famiglia nucleare, il rifiuto dell’atto sessuale con finalità riproduttive, le storture della socializzazione in base al genere, l’irrisione della produttività. Non male per un’autrice che scriveva negli anni Settanta, e non lo faceva nemmeno come carriera principale. Passava la maggior parte del tempo in una nebbia farmacologica, a letto coi musicisti, a litigare furiosamente col marito famoso e a farsi scattare foto sexy dal fotografo Araki Nobuyoshi. Suzuki si dedicò alla scrittura soprattutto dopo aver perso il marito, dal quale aveva appena divorziato, per overdose di sedativi (la loro storia è raccontata, per le ire della figlia, nel libro e nell’omonimo film degli anni novanta Endless waltz, di Wakamatsu Koji).

Immaginò, proprio come nel recente Gli uomini di Sandra Newman, o in tutta la letteratura di Sayaka Murata, un mondo fatto solo di donne dove gli uomini fossero rinchiusi in ospizi quali esseri deformi e contro natura, e la fecondazione avvenisse solo per via artificiale. Mise a nudo – come oggi Mieko Kawakami – l’assurdità della famiglia tradizionale, trapiantando due genitori e due figli in un pianeta del futuro senza alcun riferimento socioculturale, dove i quattro individui alienati e privi di ogni slancio spontaneo mimano artificiosamente vecchi ruoli di genere e ruoli familiari a partire da vecchi libri e vecchi film (gli adolescenti sbattono la porta della cameretta solo perché leggono i tratti tipici della loro età su antichi manuali di psicologia terrestre).
Oltre ai concetti cardine di genere, famiglia e sesso, Izumi Suzuki mette in discussione il tempo cartesiano (sugli altri pianeti scorre in modo discontinuo, con effetti destabilizzanti per la narrazione), il corpo (felicemente sostituito dagli idol) e – tratto più tipico di molte culture asiatiche – un sistema scolastico fortemente competitivo ed escludente: nel racconto che dà il nome al libro, i giovani sono tutti disoccupati, anoressici, asessuati e privi di motivazione.
Forse le anticipazioni più notevoli che troviamo nei racconti di Noia terminale non riguardano in fondo i temi della narrativa femminista, che ciclicamente si ripresentano a ogni decennio; quanto le vere e proprie precognizioni della grande rivoluzione tecnologica del nostro secolo. In “You may dream”, la possibilità dei morti di trasferirsi nei sogni di un’altra persona ricorda in modo inquietante le profezie contenute in Essere una macchina o il transumanesimo di Peter Thiel. C’è una descrizione incredibilmente vivida (sebbene ispirata agli schermi televisivi e non a quelli tascabili) dello scrolling e del brain-rotting dei ragazzini su TikTok: «Mangiamo uno accanto all’altra fissando lo schermo. Senza qualcosa da guardare, non riusciamo a stare tranquilli». […] Lo slogan del locale è “Video sempre nuovi”. In “Pic-nic notturno”, i prodotti narrativi del passato vengono utilizzati dai personaggi in maniera simile all’uso più bieco che oggi si può fare dell’intelligenza artificiale: non per velocizzare processi lavorativi, ma affinché ci sostituiscano in maniera acritica nei processi di pensiero.
Spesso, la letteratura sci-fi datata, per quanto sempre attuale nella critica sociale e politica, non ha saputo intercettare la vera direzione del progresso futuro: automobili volanti, anziché comunicazioni istantanee, colonizzazione di altri pianeti, più che trasferimento dei cervelli su un dispositivo. Invece questa sad bad girl, che mentre viveva sembrava intenta a fare tutt’altro, ha finito per prevedere quasi tutto quanto, in una sorta di Black mirror femminista che racchiude al suo cuore non solo una visione del mondo, ma un tipo umano che dopo la morte di Suzuki ha finito per affermarsi definitivamente come categoria esistenziale: la figura della ragazza annoiata che ha bisogno di ricorrere a metodi estremi per provare una qualche emozione.
Foto in copertina di Nobuyoshi Araki.