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Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Israele piace a tutti ma non interessa a nessuno

Nel giorno delle elezioni, com'è cambiata la percezione del Paese sul piano "estetico" e su quello "politico".

09 Aprile 2019

Martedì si vota in Israele: la cattiva notizia è che Netanyahu, il primo ministro amico di Trump, Putin e Salvini che governa il Paese dal 2009, potrebbe essere rieletto e dice che annetterà la Cisgiordania. L’unico che ha qualche possibilità di sconfiggerlo, perché la speranza è l’ultima a morire, è un generale centrista a capo di un partito chiamato, non sto scherzando, “resilienza”, che si tiene sul vago su molte cose, mentre la sinistra è ridotta a un ruolo marginale.

Nella mia bolla non se ne sta parlando. Il dato interessante è che nella stessa bolla – un mondo che ruota attorno a riferimenti culturali, estetici e politici globalizzati, più o meno giovani e più o meno di sinistra – Israele è diventata una presenza fissa. Sono sempre più gli amici e i conoscenti che vanno a Tel Aviv, e a differenza di qualche anno fa non sono più soprattutto gli ebrei e/o i gay: gli arrivi turistici in Israele sono aumentati di quasi il 40 per cento tra il 2016 e il 2018, toccando un record di quattro milioni di presenze. Questo weekend a Tel Aviv c’era pure la Ferragni e il mese prossimo ci sarà l’Eurovisione: trovo bellissimo che ci manderemo un tipo di nome Mahmood. Poi c’è il cibo, che ha portato l’israelianità nelle città (e nelle timeline) globali: in principio era Yotam Ottolenghi, adesso è soprattutto Miznon, la catena di street food nobilitato che ha lanciato il cavolfiore arrostito, il piatto più instagrammato del biennio scorso.

Oggi Israele è cool, e il paradosso è questo: mai quanto oggi Israele è stata popolare in un certo mondo, quello dei liberal under-40 cittadini del mondo; eppure mai quanto oggi Israele è stata politicamente lontana dalla sensibilità anti-populista di quel mondo. Bella novità, dirà qualcuno: Israele ha sempre avuto un rapporto difficile con la sinistra, ma la cultura israeliana è sempre piaciuta, guarda un po’, a sinistra. Quello di cui stiamo parlando però è una cosa diversa, più recente. Gli scrittori e registi israeliani che andavano per la maggiore un decennio fa erano più cosa da secchioni impegnati che da connaisseur globetrotter: si leggevano i romanzi di Yehoshua e di Oz anche perché si seguiva il conflitto israelo-palestinese e dava soddisfazione sentirselo raccontare da voci critiche, mentre l’israelianità che piace oggi sembra uscita da un universo parallelo dove il conflitto israelo-palestinese neanche esiste. Israele – più che altro Tel Aviv – piace perché è modernità godereccia e internazionale, crogiolo di lingue e culture vegan-friendly, gay-friendly e Instagram-friendly (magari un po’ meno immigrant-friendly, però mica si può avere tutto): cose che rimandano a un’altra idea di sinistra, in guerra più con i sovranisti provinciali che con l’occupazione della Cisgiordania.

Il lungomare di Tel Aviv (foto di Chris McGrath/Getty Images, 2017)

Quando parliamo di sinistra e Israele, dobbiamo precisare quale sinistra. Con i socialisti e socialdemocratici europei, lo Stato ebraico ha un rapporto difficile almeno dalla guerra dei Sei Giorni (era il 1967). L’Italia meriterebbe un discorso a parte, vista la tradizione filoaraba del PCI e dei suoi eredi, che si è interrotta con Renzi. Però la sinistra liberal, quella dei Democratici americani e dei blairiani, ha sempre amato Israele e soprattutto la sinistra israeliana. Quello che sta succedendo oggi, invece, è che sono proprio i cosiddetti liberal ad allontanarsi politicamente. In America, c’è un partito Democratico sempre più tiepido: un sondaggio commissionato a YouGov dall’Economist segnalava un tracollo nel sostegno a Israele tra i liberal e i millennials, un po’ perché c’è uno slittamento a sinistra dei giovani di sinistra, un po’ perché c’è uno spostamento a destra di Israele. E l’Europa? Il Labour britannico lasciamolo stare, che c’è Corbyn (questione da approfondire), ma la situazione della sinistra italiana la racconta bene Emanuele Fiano, parlamentare PD e segretario di Sinistra per Israele: «Non c’è una forte antipatia nei confronti di Israele, ma c’è nei confronti del governo Netanyahu, più che altro per questioni di posizionamento internazionale». Tradotto, Netanyahu è vicino a Putin e a Trump, va d’accordo persino con la destra polacca e con Orban (altra questione da approfondire: come fanno a piacergli quegli antisemiti?), cosa che lo mette automaticamente nel campo avversario: «Oggi la sinistra italiana è fortemente anti-Trump e anti-Putin, e questo sta producendo contrarietà», dice Fiano in una chiacchierata telefonica. Da sottolineare che questi imbarazzi non c’entrano con la questione palestinese, anche perché «sul Medio Oriente la sinistra è sempre più confusa» e visto il caos che c’è nella regione «non è così semplice capire dove deve stare».

Riassumendo: Israele, come destinazione e prodotto culturale, è sempre più parte della bolla anti-populista, eppure Israele è membro dell’internazionale populista, e il risultato è qualcosa a metà strada tra San Francisco e Visegrad. Queste elezioni potrebbero cambiare le cose, ma fino a un certo punto, perché il Paese è sempre più a destra e, se anche dovesse vincere, lo sfidante di Netanyahu, il generale Benny Gantz, non porterà rivoluzioni. Del resto, è il mondo che va a destra. È stato questo l’errore più grande della sinistra israeliana, contare su una comunità internazionale liberal che non esiste più, racconta Anshel Pfeffer, corrispondente dell’Economist ed editorialista di Haaretz: «Per trent’anni la sinistra israeliana ha detto che se non avessimo messo fine all’Occupazione la comunità internazionale avrebbe reagito, che Netanyahu ci avrebbe portato all’isolamento», dice Pfeffer al telefono. «Evidentemente, non è successo: Israele è tutto fuorché isolata, va d’accordo con l’America, con la Russia e persino con i sauditi. La verità è che è un buon momento per Israele, anche l’economia va alla grande». Basta fare un giro per Tel Aviv, dove in pochi votano Netanyahu ma non sono in tanti quelli che rimpiangono l’era precedente, per rendersi conto che le cose vanno bene. Se uno ci pensa, e non è una cosa facile da buttare giù, la coolness israeliana è perfettamente compatibile con dieci anni di governo sovranista. Forse è addirittura il prodotto di quel decennio.

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