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I nostri profili peggiori

Il profilo dell'altra di Irene Graziosi è il raro caso di un romanzo che riesce a mostrare vizi, bizzarrie e assurdità del mondo degli influencer e dell'attivismo sui social.

di Davide Coppo

Una ragazza posta su Instagram una foto che mostra una vaschetta di fragole appena comprata. Immediatamente riceve centinaia di messaggi accusatori: è colpa della plastica, il malefico contenitore non riciclabile. La ragazza lo racconta a un’amica di diciott’anni, e quella risponde semplicemente: «Hanno fatto bene. È così che si cambia il mondo. Se qualcuno ti fa call out per qualcosa che hai fatto tu smetti di farlo». L’altra, che è di una decina di anni più grande, risponde dubbiosa: «Cos’è un call out?». La ragazzina spiega: «È quando qualcuno sui social denuncia un tuo gesto non etico». Poi racconta di quando le è successo lo stesso, tempo prima, per una foto di alcune fette di prosciutto già tagliate in una confezione di plastica. Ha ricevuto un call out, dice, e da allora lo compra sfuso. Come è successo con l’amica per le fragole. Quella risponde: «Io ho semplicemente smesso di fotografarle».

È uno scambio di poche battute e pochi secondi, ma ci si trova una precisione per cui potrebbe anche essere un riassunto di tutto quello che sono, oggi, i social network e la fama che producono. Non è un estratto da un cortometraggio, non viene da uno sketch video virale su YouTube o Instagram, non è nemmeno il pezzo di una stand-up. È il frammento di un romanzo, e già questa è una rivelazione che suona singolare: un romanzo italiano che non è una grande saga familiare, che non è un memoir su una piccola intensa tragedia privata, che non è un viaggio nei drammi del Novecento (potrei andare avanti) ma che è incredibilmente ambientato nel qui-e-ora più immediato. È una briciola di Il profilo dell’altra, il primo romanzo di Irene Graziosi.

Il libro è uscito il 28 aprile per e/o ed è una storia di formazione di una coppia di amiche che riecheggia la vita reale dell’autrice: Maia, la protagonista quasi trentenne, si ritrova per caso a fare l’autrice e la “image consultant” di una giovanissima influencer che vorrebbe essere chiamata creator, Gloria Linares; nella realtà, Irene ha co-fondato con Sofia Viscardi il canale Instagram e YouTube Venti. Il rapporto strettissimo tra due esseri umani così diversi cambierà entrambi a fondo, anche se non si assiste mai, nemmeno alla fine del libro, a un’epifania consolatoria. E meno male: Maia impara da Gloria le regole cretine e crudeli del mondo dell’apparire su Instagram, Gloria cercherà di rendere Maia una persona meno cinica e meschina. Ma non è un’autobiografia e non ci si avvicina nemmeno, e questo è un bel merito di Irene, che riesce a tenere ogni rischio di morbosità fuori dalle pagine del libro.

Mi sono detto diverse volte, durante la lettura, che questo era un libro estremamente contemporaneo, ma dopo che me lo dicevo mi chiedevo cosa significa, per un libro, essere contemporaneo. Perché alla fine è questo il motivo per cui, di questo Il profilo dell’altra, nella prima settimana di uscita si è già parlato così tanto. Sui giornali di carta, sui blog e i siti, nelle centinaia di Instagram stories che vedo ripostate ogni giorno da Irene, taggata nelle istantanee della copertina rosa con la mano dell’utente che la tiene dritta davanti alla videocamera dello smartphone.

La grande novità di questo libro, e cioè il motivo per cui è in un certo senso importante, ho poi scritto da qualche parte sul bordo di una pagina, sta nel fatto che nomina ad alta voce certe cose che hanno cambiato la nostra vita senza che ce ne accorgessimo mentre succedeva. Di chi parlo, quando dico “noi”? Di uno spettro in realtà enorme di persone: ventenni, trentenni, quarantenni, cinquantenni. Appartenenti alla classe creativa, gente che ha fatto i soldi, gente che ce li aveva da prima, gente che non ce li ha e non ce li avrà. Camerieri, imprenditrici, influencer, atleti, modelle. I social e internet hanno contribuito a innescare certi cambiamenti culturali e antropologici profondi che abbiamo, da parte nostra, accettato e adottato senza pensarci troppo. Succede così con quello che agisce direttamente sul nostro cervello, riprogrammandolo: la nicotina, la droga, la fama; i like, l’apparire, ma anche il giudicare, il condannare, il cancellare. Sono parole che hanno cambiato il nostro modo di rapportarci agli altri, a noi stessi, a quello che ci sta intorno e ai nostri consumi culturali. Sono parole che fino a dieci anni fa non esistevano. Oggi segnano vite, economie, carriere.

Come pronunciare ad alta voce le tappe di un trauma porta il paziente a vedere per la prima volta – e quindi a sciogliere – certi automatismi che altrimenti non sarebbe riuscito a distinguere, così Il profilo dell’altra fa luce su queste storture e bizzarrie della vita quando gira intorno ai social con il risultato di isolarle, ridicolizzarle, e ragionarci sopra. Le strappa dagli automatismi quotidiani, e ce le fa vedere in provetta come un dente del giudizio appena cavato.

Un romanzo veramente contemporaneo, mi sono detto, fa quindi questo: mostra il call out sulle vaschette di plastica, e lo mette in ridicolo. Mette in scena una riflessione sull’attivismo corporate e le sue ipocrisie, così: «Del resto questo è il gioco: essere famosi non per qualcosa che si fa ma per l’insistenza con cui s’impone la propria identità smussata da ogni spigolo sugli schermi altrui. I brand pagano (…) chi ha capito che gli ideali, così come la propria identità, possono essere messi in vendita al migliore offerente». Ridimensiona l’impatto collettivo che il racconto di un trauma personale può avere, così: «I social, puliti dalle illusioni, [sono] la tomba della rivoluzione: fanno credere a chi li utilizza di star combattendo per risanare le ingiustizie del mondo, quando in realtà fungono da sfogatoio scomposto per le frustrazioni che si consumano nel mondo reale». Usa certe parole precise per analizzare freddamente un altro fenomeno come OnlyFans: «… ricevendo quasi subito l’iscrizione di ventimila utenti ciascuno dei quali pagava un abbonamento di dieci euro al mese per avere accesso al suo corpo». E non è che lo fa come per parlare a una nonna: è invece un mettere le cose in prospettiva e non darle per scontate. È accorgersi di quello che succede, e non è un’operazione facile perché succede in fretta. C’è pure spazio per il revenge porn, per lo slacktivism («Milano è avvolta da una cappa di cielo lattiginoso, la temperatura è insolitamente alta e sui giornali si dà la colpa al cambiamento climatico. Nel Meridione scoppiano incendi, Instagram si riempie di raccolte fondi a favore della protezione civile e di raccomandazioni generiche contro gli sprechi e a favore di prodotti che non contengono microplastiche»).

Si sarebbe potuto inseguire lo stesso obiettivo scrivendo un saggio, ma non lo si sarebbe raggiunto. Perché i personaggi che si muovono in Il profilo dell’altra sono veri e riconoscibili e non vogliono metterci in guardia, non vogliono spiegarci niente, non vogliono catechizzarci. Non è un caso che un altro libro recente, per certi versi simile a quello di Graziosi, abbia scelto la forma di fiction per raccontare quanto le immagini condizionino le nostre vite. Si chiama Le perfezioni, l’ha scritto Vincenzo Latronico, e sono proprio le vite infelici dei protagonisti a colpirci fino in fondo allo stomaco, più che la spiegazione noiosa sul funzionamento di Instagram e dell’influenza di Airbnb sull’estetica occidentale.

In libri così leggiamo come se fosse la prima volta la stessa lingua che parliamo ogni giorno, ci vediamo le azioni che quotidianamente compiamo: e che però, sentita e viste in questo modo, da personaggi che cerchiamo di capire e in cui proviamo a identificarci, diventano finalmente reali e un po’ più spaventose. Cattivi e imperfetti come sono, i personaggi ci mostrano quello che siamo a tratti o sempre anche noi. È anche per questo che in mezzo alla copertina rosa di Il profilo dell’altra, quando lo chiudiamo e quando lo prendiamo in mano, c’è un piccolo specchio.