Cultura | Libri

Vite infelici con molti like

Con quanta sincerità ci raccontiamo sui social? Le perfezioni di Vincenzo Latronico aggiorna il capolavoro Le cose di Georges Perec.

di Davide Coppo

© Clara Rubin

Come si pesa una vita? Nel senso: che unità di misura si potrebbe usare, a volerlo fare? Sarebbe bello dire: la felicità, o il suo contrario. Ma la felicità non è un’unità attendibile né precisa, ognuno ha la sua e versioni apparentemente uguali potrebbero in realtà essere interpretate in modo discordante, se non opposto. Ci sarebbe, in realtà, un’unità di misura. La impieghiamo già tutti, o quasi, da anni ed esattamente per questo scopo: le immagini. Le perfezioni (Bompiani), di Vincenzo Latronico, parla di questa misurazione. Anzi, di questa illusione.

Le perfezioni è la narrazione del passaggio dai venti ai trent’anni di Anna e Tom, una coppia di designer italiani emigrati a Berlino. L’illusione dei protagonisti è quella di costruire, riempire e poi vivere un’esistenza che sappia rispecchiare ciò che lo spirito del tempo definisce come felice, o di successo, o invidiabile. Lo spirito del tempo, in questo caso, è un altro nome per dire internet. Anna e Tom hanno un buon lavoro, e una casa arredata con cura e secondo tutti i crismi di Instagram. Hanno scelto una città che sembrava vivace, un posto culturalmente dinamico e che potesse offrire tutte le occasioni giuste per due giovani creativi. Tutte le immagini giuste. Anche il loro stile di vita rispecchia le rappresentazioni che sui social network sono quelle adatte a raccogliere molti like: gli interessi culturali americani, le mostre di arte contemporanea; i ristoranti vegetariani e le cene ben curate in casa con ingredienti stagionali e vino naturale; le vacanze nei borghi. L’attivismo, anche quello sempre online.

Anna e Tom potrebbero in realtà essere francesi, spagnoli e portoghesi, e la Berlino del libro si può scambiare con Milano, Lisbona e Barcellona. Perché le vite che vivono e che sognano sono degli stencil universali da applicare in ogni punto dell’Occidente, e forse anche un po’ più in là. Come quell’estetica che su The Verge qualche anno fa venne ribattezzata “Airspace”, dall’omologazione che piattaforme come Airbnb hanno contribuito a rendere virale e obiqua come una silenziosa pandemia di interior design.

Anna e Tom si sarebbero soprattutto potuti chiamare Jérôme e Sylvie, sessant’anni fa: la struttura del libro, il suo intento di descrizione sociologica senza giudizi morali, la caratterizzazione stilizzata dei personaggi senza scendere in profondità psicologiche, sono mutuati da Le cose di Georges Perec, citato esplicitamente. Le perfezioni sono un aggiornamento di quel romanzo-trattato straordinario, e come Perec anche Latronico mantiene uno sguardo non giudicante sui suoi personaggi. È uno sguardo anche su di sé, ha detto in interviste e presentazioni. È uno sguardo su di noi. È acuto e imbarazzante.

Prevedo che nel parlare di questo libro verrà utilizzata talvolta la parola “generazionale”, che è una parola che non gli rende giustizia e si porta dietro riferimenti dall’ambizione ristretta e lo sguardo limitato. Invece l’ambizione de Le perfezioni è quella dei grandi romanzi che vogliono prendere il battito di un’epoca intera, non soltanto di una generazione. In 140 pagine Vincenzo Latronico compila un manuale di istruzioni e di poetica del contemporaneo, ovvero della società dei social network, ovvero della società della rappresentazione di sé. C’è nei romanzi italiani una certa timidezza a uscire dalla sfera intima dei protagonisti per trattare del rapporto che questi hanno con la vera essenza del mondo di oggi: ossia con internet, con gli smartphone, con le applicazioni per affittare appartamenti a prezzi gonfiati, con le applicazioni per condividere foto che ritraggono una vita che non è quella vera ma è un’aspirazione e insieme un rimpianto. Nel prendere tutto questo di petto, e nel metterlo al centro del motore della trama, sta la profonda originalità di Le perfezioni. Il lettore segue Anna e Tom mentre scattano fotografie per i loro social network, mentre vanno alle mostre giuste perché non si può mancare, mentre firmano petizioni online perché è buono e giusto. Mentre preparano piatti esotici con gusto moderno, immaginando già le foto che li ritrarranno il mattino dopo. Mentre passano i pomeriggi a lavorare da caffetterie organiche recensite con le parole giuste. Mentre progettano viaggi in utopie marittime nell’Europa meridionale. Mentre, a poco a poco, realizzano quanto la loro vita non rispecchi quelle immagini, e la felicità e il successo assaporati attraverso un feed non possano a lungo sostituire le versioni originali.

Le cose di Perec descriveva l’effetto del consumismo di massa su una giovane coppia che sognava una vita piena di oggetti e di bellezza, e Roland Barthes ne parlava come «una storia sulla povertà mescolata inestricabilmente all’immagine della ricchezza». Le perfezioni aggiunge a questa immagine della ricchezza anche migliaia di immagini che hanno un valore posizionante, aspirazionale, legato alla ricerca di uno status ormai così complesso – e per molti versi falso – da non essere legato soltanto ai soldi.

Mi sembra che esca al momento giusto, ovvero un momento in cui una certa parte di mondo, dopo anni di entusiasmo e condivisione acritica di vacanze, outfit, interni di casa, aperitivi, postazioni di lavoro, office for today e così via, inizia a vedere e a ragionare sulle minacce e i pericoli di queste vite virtuali. Di questi Doppelgänger di noi stessi che non sono veramente noi stessi. Ma anche di questo aver affidato così larga parte della nostra capacità di informarci e di lottare, per così dire, politicamente, a delle slide colorate con tre frasi schiacciate dentro, alle petizioni online, alla condivisione annoiata di appelli e di #prayfor la cosa del giorno. Forse siamo diventati degli scenografi così bravi nel costruire queste facciate di felicità e successo che non possiamo fare a meno di vedere, ormai, ovunque il posticcio. Penso che sia tutto vero, e penso che ci sia anche dell’altro. Vincenzo Latronico non scriveva un romanzo da quasi dieci anni, un tempo piuttosto lungo soprattutto per oggi. Ma il suo ultimo libro, La mentalità dell’alveare, immaginava nel 2013 un’Italia non poi così distopica in cui un partito trasforma la politica in una democrazia diretta in cui uno vale uno; quello prima, La cospirazione delle colombe, era una storia di speculazione edilizia, bolle immobiliari e gentrificazione in una Milano che proprio in quelle settimane vedeva l’inizio del mandato di Giuliano Pisapia, che ereditava le scelte e i contratti firmati dalla precedente amministrazione per cambiare volto al quartiere, un tempo popolare, chiamato Isola. Oggi, infine, questo piccolo grande romanzo sulle immagini e i social network. Una mira così precisa sullo Zeitgeist non è mai un caso, ma il segno di un grande talento.