Cultura | Bellezza

Spiare la bellezza artificiale su Instagram  

Un viaggio nei profili dei chirurghi plastici: dalle foto prima/dopo ai video splatter di liposuzioni e interventi.

di Clara Mazzoleni

Spesso mi sono chiesta: cos’avrebbero fatto le sorellastre di Cenerentola se fossero vissute oggi invece che “una volta”? Forse avrebbero capito di non essere davvero cattive, ma soltanto infelici, e avrebbero usato la loro ricchezza per intraprendere un percorso di auto-miglioramento a 360 gradi: una terapia psicologica per affrontare il problema di un padre assente e una madre problematica, ma anche una serie di interventi di chirurgia plastica ed estetica che le avrebbe riconciliate con il loro orribile aspetto. Certo dev’essere stato difficile per loro avere a che fare ogni giorno con una ragazza bellissima, umile e amante degli animali.

Le donne guardano le altre donne, da sempre. Ma avere la bellezza vicina, a portata di mano, è certamente peggio che dover sopportare sporadici incontri con la perfezione. Oggi, noi sorellastre, che già ci dobbiamo sorbire le cenerentole che abbiamo per amiche, conoscenti, colleghe, sorelle, cugine o vicine di casa, che si sommano a quelle che popolano lo star system e che circolano per la nostra città, abbiamo avuto l’idea geniale di iniziare a seguirle anche su Instagram, per farci comodamente bombardare dalla loro bellezza in ogni singolo istante della nostra vita.

When you have the longest sleeps on planes Ciao Los Angeles #AmericanDays

Un post condiviso da Chiara Ferragni (@chiaraferragni) in data:

È evidente che i social hanno reso ancora più difficile, per chi è insicuro, difendersi dai confronti. Ma la cosa affascinante di questi geniali marchingegni è che fomentano la malattia (l’insicurezza), ma producono anche la cura: sono tantissimi i profili pro-autostima (ce ne sono alcuni solo di frasi, tipo: «May my enemies live long so they can see me progress»), quelli di persone fiere dei propri difetti fisici che sfornano esclusivamente post su questo argomento, quelli di gente che dimostra come si può modificare la propria postura e la propria espressione (e il trucco e i capelli e i filtri ecc.) per apparire stupendi in un selfie (bisogna dire che Chiara Ferragni, nella realtà, è uguale ai suoi selfie), e poi le mie preferite: le immagini prima/dopo (il dimagrimento, il programma di work-out, l’intervento chirurgico).

Non stupisce nessuno, a questo punto, che siano sempre di più (come racconta questo articolo del Times) i chirurghi plastici che documentano con immagini, video e Stories i risultati del loro lavoro. Il dato un po’ più sorprendente è che alcuni pubblicano i video (o peggio, le dirette live) degli interventi stessi. Ormai è chiaro: la chirurgia non è più appannaggio esclusivo dei Vip e delle belle che vogliono mantenersi tali. Lontanissima da format obsoleti come Nip/Tuc (o il nostrano Bisturi), oggi è una pratica normalizzata, una fata turchina sempre più democratica, che accorre in aiuto di tutti coloro che, un tempo, erano obbligati a rassegnarsi a una vita che non contemplasse la bellezza tra i valori che contano (almeno, non la propria) o a vivere nella frustrazione (come le sorellastre).

I chirurghi citati nell’articolo operano tutti negli Stati Uniti: il primo paese al mondo nella classifica di denaro speso dai cittadini in ritocchi e refiller. Ma secondo i dati della Global Aestethic Survey del 2016, realizzata dalla Isaps, anche l’Italia è ben posizionata. Si piazza infatti al quarto posto, prima del Messico e dopo Brasile e Giappone. Le cifre spese in questi cinque paesi corrispondono a metà della spesa globale per la chirurgia estetica. Nell’ultimo anno la spesa per trattamenti estetici, chirurgici e non, è cresciuta globalmente del 9% circa, con un aumento del 45% della labioplastica (che non ha niente a che fare con la bocca) e del 22% per il rimodellamento dei glutei.

È difficile guardare i profili dei chirurgi citati dal Times: le immagini sono truculente. Pelle tagliata e sollevata, sangue, carne, tubi che aspirano, grasso giallo che viene spostato di qua e di là, ossa del naso che vengono martellate. E dopo: punti, ematomi, croste. Difficile credere che tutto questo gran rimestare maldestro (dà quell’idea) nella carne, seguendo disegni un po’ casuali (così sembrano) fatti sul corpo con un inchiostro blu sbavato, dia come risultato l’esatto contrario, cioè quel che vediamo osservando una persona rifatta (bene): un corpo netto, perfetto, senza sbavature. Un viso composto di superfici setose e plastiche.

Il più splatter di tutti è senz’altro il Dr Martin Jugenburg (Dr Six) di Toronto. Michael Salzhauer (Dr Miami), è leggermente meglio. Ma c’è anche chi, come Ryan Neinsten, chirurgo della New York bene, si dichiara contro questo tipo di video. Gli sembrerebbe, dice al Times, di trattare i corpi dei suoi pazienti come carne da macello, e aggiunge: «Quindici anni fa se non eri sulle pagine gialle non esistevi. Cinque anni fa non esistevi se non avevi un sito internet. Oggi, se non sei su tutti i social media, la gente pensa che stai nascondendo qualcosa».

Bravo Neinsten. Ma c’è da dire che, forse, quel macellaio del Dr Six, coi suoi video, non si limita all’auto-promozione. Forse aiuta anche l’aspirante paziente a capire davvero cosa sta andando a fare. Magari, guardando uno dei suoi video, potrebbe cambiare idea, addirittura rinunciare. «In più», dice lui, «i miei video mostrano cosa davvero può fare la chirurgia plastica. Aiutano a non avere aspettative irrealistiche».

In Italia, ho notato, il pulp non ha ancora attecchito del tutto. Un chirurgo di Milano, che opera in zona Montenapoleone e di solito si limita a postare qualche immagine prima/dopo (per lo più casi di mastoplastica e rinoplastica), ogni tanto pubblica brevi video degli interventi (ma mai scabrosi come quelli del Dr Six). Un centro di chirurgia plastica ed estetica che ha sedi in varie città d’Italia e promuove interventi a prezzi abbastanza bassi, pagabili in comode rade, non è nemmeno dotato di Instagram e preferisce puntare sulla simpatia, promuovendo interventi di gluteoplastica con una newsletter che per oggetto ha l’emoticon di una pesca, e come titolo: «Nella vita ce ne vuole sempre tanto».

Il mio film preferito in cui compare la chirurgia plastica è di ben 11 anni fa e si chiama Time. La protagonista ama così tanto il suo fidanzato che ha paura che lui un giorno si stufi di lei. Allora sparisce, va da un chirurgo e si rifà completamente la faccia. Fingendo di essere un’altra, fa modo di incontrarlo. Dopo un’iniziale reticenza, lui si innamora di nuovo della nuova lei. Ma non è che così la ragazza si sente più tranquilla, anzi. Se lui si è innamorato della sua nuova identità, infatti, significa che ha tradito senza scrupoli quella vecchia. «Cambiare il proprio aspetto non è certo un modo di venire a patti con un sé frammentato e insicuro», concluderebbe, dopo aver visto il film di Kim Ki Duk, qualcuno con la morale facile. Ma Time è una favola. E la realtà, spesso, è molto diversa dalle favole.

Le didascalie delle foto prima/dopo e i commenti ai post dei chirurghi su Instagram: tantissime donne (e uomini) pienamente soddisfatti, che raccontano di come la loro vita è cambiata. È bastato correggere un difetto, il naso, il seno, il doppiomento, perfino parti del corpo che le altre persone normalmente non vedono, per sentirsi rinati e a proprio agio. E frugando tra i profili di chi ringrazia, spesso, si scoprono persone insospettabili, che svolgono lavori in cui l’aspetto fisico non ha alcuna importanza e magari mostrano difetti ben più gravi di quello o quelli che hanno pagato per sistemare. Ma quello che conta è che sono entrati nella dinamica di un’altra favola, quella del brutto anatroccolo: perché per loro trasformarsi è sempre meglio che restare uguali, anche se costa tanto, anche se fa male.