Attualità

Il trimestrale di al Qaeda

Cose che abbiamo scoperto leggendo "Inspire", la rivista ufficiale dell'organizzazione terroristica

di Pietro Minto

Le riviste stagionali hanno il loro fascino. In inglese si chiamano quarterly e le loro uscite seguono spesso il ciclo delle stagionale dell’anno, dividendolo in quattro parti che “coprono” di numero in numero. Di solito una rivista di questo tipo pubblica sempre un’edizione invernale che è fortemente natalizia e un’estiva più “leggera”. Di solito. Perché il mondo è vario e  imprevedibile, tanto che anche l’organizzazione terroristica al Qaeda ha da qualche anno il suo magazine di riferimento. Si chiama Inspire ed è  scritto in un inglese chiaro e semplice (e costellato da errori da penna blu, come nota l’Atlantic). Il primo numero è uscito nell’ottobre del 2010 e al tempo fece molto discutere perché, tra le molte farneticazioni, ospitava un articolo dal titolo “come costruire una bomba nella cucina di vostra mamma”.

Questa versione bombarola del Burda nostrano è parte della cosiddetta open source jihad, il progetto di propaganda digitale di al Qaeda. Inspire è in effetti una rivista in pdf pensata per essere letta su computer e per essere passata da militante a militante su forum e siti legati all’organizzazione. Per questo il suo tono è così violento e – potremmo dire – didattico: non punta a parlare ai membri dell’organizzazione o agli estremisti più convinti, quanto a trovare nuovi adepti nel mondo islamico (la umma) diffuso in tutto il mondo. Tra gli obiettivi principali, quello di accendere gli animi della comunità islamica moderata residente in Europa e negli Usa: creare cavalli di Troia nell’odiato Occidente e addestrarli a distanza.

“Winter 2012”
La scorsa settimana è apparso in rete l’ultimo numero (.pdf). Nonostante fosse inizio maggio, nella copertina si legge “edizione dell’inverno 2012”: non si tratta di un errore, è la conseguenza degli eventi burrascosi degli ultimi mesi. L’ultimo Inspire è infatti un tentativo di rinascita da parte della rivista. Come ha spiegato Joshua Keating sul sito di Foreign Policy, appena due mesi fa un attacco statunitense effettuato con droni militari (velivoli senza pilota comandati a distanza) ha ucciso in Yemen Anwar al-Awlaki e Samir Khan, due jihadisti nati negli States, nonché figure cardine per Inspire: il primo ne era l’editorialista di punta; il secondo, il direttore. La loro scomparsa ha messo in crisi la testata – il cui precedente numero (.pdf) non dava nemmeno la notizia della loro morte (probabilmente perché “chiuso in redazione” prima che avvenisse) – che per qualche mese ha zoppicato. Tanto che il winter issue è uscito solo ora, agli inizi di maggio, mandando al diavolo la ciclicità stagionale di cui parlavamo all’inizio.

Sfogliando la nona uscita del magazine, comunque, si respira il desiderio di riscatto del giornale. Il momento, d’altronde, è cruciale e ha un gran peso simbolico: a un anno dalla morte di Osama Bin Laden e dopo aver perso due nomi forti della “redazione”, il giornale vuole far sapere di essere tornato per restare. Lo si capisce dall’incipit dell’editoriale: «Con grande delusione da parte dei nostri nemici, il numero 9 di Inspire è uscito contro ogni aspettativa, al-Hamdolillah (“Grazie a Dio” in arabo, Ndr). I sionisti e i crociati pensavano che il giornale fosse finito con il martirio di Shaykh Anwar e del fratello Samir (…). E invece, ancora una volta, non hanno capito che l’umma musulmana è una madre fertile e generosa che dà alla luce centinaia e centinaia di persone come loro».

E così via, per una sessantina di pagine.

Indice del numero
A proposito dei “martiri” fondatori della testata, è possibile leggere un commosso omaggio all’ex direttore Samir Khan, ricordato con un lungo articolo intervallato da foto in cui lo si vede maneggiare AK-47, discutere con pezzi grossi di al Qaeda e sorridere al mondo. Titolo: “Samir, il volto della gioia”. Segue un feroce attacco all’amministrazione Obama, rea di sfruttare in modo sconsiderato i droni nel Medioriente e di non aver esitato ad uccidere il piccolo Abdur-Rahmaan Bin Anwar Al Awlaki, figlio della citata firma del trimestrale.

Inspire continua nella sua opera di addestramento a mezzo stampa con una lista degli obiettivi occidentali da colpire. È la “jihad individualista”, fatta di attentati di piccole dimensioni a persone e istituzioni più o meno locali. Tra le vittime “consigliate” ci sono leader politici che conducono politiche anti-islamiche, istituzioni economiche (come la Borsa di New York), basi militari e persone qualunque, civili, che in alternativa possono essere «dissuasi» dal frequentare luoghi in cui uomini e donne stanno nello stesso spazio.

Odio nei confronti dell’Occidente, delle libertà civili e dei diritti delle donne. Continui richiami alla guerra santa. Ma nella rivista c’è anche molto antisemitismo. Come per esempio nella “scherzosa” analisi delle dichiarazioni di Benjamin “Bibi” Netanyahu, primo ministro dello Stato d’Israele, chiamato su queste pagine Rottenyahu (rotten in inglese significa “marcio”, Nda ), prima riportate integralmente e poi commentate. Il risultato è una tabella che si direbbe satirica se l’antisemitismo e l’odio razziale non facesse capolino a ogni riga. Tuttavia non mancano particolari interessanti, come quando a commento della frase detta da Bibi («Israele vuole la pace, io voglio la pace»), il giornale risponde: «LOL, are you kidding me?».

Terrorismo e tecnologia
E, per quanto il suo utilizzo sia ironico, fa specie vedere un prodotto anti-Occidente scritto nella lingua simbolo dell’Occidente (l’inglese americano), impaginato (piuttosto male) con un software quasi sicuramente prodotto negli Stati Uniti, per essere distribuito sul web, luogo in cui la cultura americana la fa da padrone. Ciò non deve stupire: lo stesso Bin Laden aveva basato la diffusione del suo verbo sulla tecnologia occidentale, registrando messaggi su VHS che venivano fatte circolare diventando “virali”; per poi aggiornarsi sempre di più, finendo per fare di Al Qaeda un’organizzazione molto scaltra nel fare proseliti sui social network.

Un anno fa, un reportage del New Yorker (lo trovate qui ma è consultabile solo per gli abbonati) tirò le fila dello strano rapporto tra lo sceicco, la sua organizzazione e l’uso della tecnologia occidentale, arrivando a nominare la mente dell’Undici settembre il padre morale della Primavera araba, nella quale i social network hanno avuto un importante ruolo a livello logistico e organizzativo. Steve Coll, autore dell’articolo, scrisse che «per la violenza e il dissenso arabo nell’era digitale, [Bin Laden] è stato ciò che Adam Osborne è stato per i computer portatili, e che Excite è stato per il business dei motori di ricerca».

Guardando Inspire, si direbbe che il terrorismo islamico abbia quindi deciso di utilizzare il self-publishing online (o una sua rozza versione) allo stesso scopo: nel numero che abbiamo preso in esame, per esempio, c’è un lungo pezzo che spiega come costruire un ordigno incendiario rudimentale ma efficiente (con tanto di disegni e schemini) ma non mancano fotomontaggi e immagini ad effetto, adatte – si direbbe – per circolare online singolarmente e diffondersi tra lettori e utenti. C’è la parodia dello “Yes, We Can” obamiano con un terrorista armato di pistola alle spalle di un uomo in carriera in abiti occidentali. Ma anche racconti personali, consigli, rubriche. Tutte scritte in inglese, tutte contro l’America.

Gli Stati Uniti saranno anche il Grande Satana da eliminare, ma al Qaeda è sempre più convinta che per farlo sia utile sfruttarne prima la cultura e la tecnologia, passando dal LOL alla jihad nella stessa pagina.