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01:21 martedì 18 novembre 2025
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.

Inge Morath, la prima donna della Magnum

Esuberante, temeraria, nel ’55 fu la prima donna a entrare nella celebre agenzia fotografica. Ora il suo lavoro è in mostra al Museo di Roma in Trastevere.

05 Dicembre 2019

Quando lavorava a un ritratto, Inge Morath si occupava in maniera maniacale di ogni minimo dettaglio ma preferiva quasi sempre evitare di incontrare prima il suo soggetto. «C’è un elemento meraviglioso in un nuovo incontro», diceva. Per l’audacia e la grande fiducia in se stessa, che forse gli derivava da una precedente vita vissuta sotto le bombe, Morath, appassionata viaggiatrice e superba fotografa, potrebbe ricordare l’Oriana Fallaci dei primi tempi, la giornalista che davanti all’ayatollah Khomeini ebbe la sfrontatezza di togliersi volutamente il chador che era stata costretta ad indossare per essere ammessa alla presenza del leader iraniano. La fotografa austriaca era in grado di agire con la stessa vitale esuberanza.

In uno dei suoi numerosi viaggi in Spagna una volta riuscì a intrufolarsi nel camerino del grande Arturo Ordonez, l’aristocratico torero di Ronda reso immortale da Hemingway, che aveva sempre preferito l’eleganza della sue veroniche all’arrogante sacralità del grande rivale Dominguín, in seguito per tutti solo Luis Miguel, o “il torero”, come solennemente lo chiamava Lucia Bosè. Solo che in quella Spagna del sud che tanto odorava di conservazione, alle donne era severamente proibito varcare quella soglia. Questione di (mala) suerte, veniva raccontato. Ma la temerarietà di questa ragazza austriaca che parlava sette lingue oltre al nativo tedesco non poteva certo arrestarsi di fronte a qualche superstizione novecentesca. «Quando lavoro indosso i pantaloni – disse una volta ricordando quell’episodio – quindi non sono né uomo né donna». Ne venne fuori un ritratto magnifico che raccontava per immagini la meticolosa preparazione al combattimento: il corpo nudo, la tensione del volto, i pantaloni attillati ricamati di paillettes.

Inge Morath è stata una brillante fotoreporter, la prima donna entrata a far parte, nel ’55, dell’agenzia fotografica Magnum Photos; eppure, fuori dall’ambiente del mondo fotografico e da alcuni circoli che facevano la sponda tra Parigi e New York è conosciuta più che altro per un episodio. Reno (Nevada), 1960. Inge accompagna Cartier-Bresson, di cui fu per anni assistente e tuttofare, sul set de Gli spostati (The Misfits, il titolo originale), pellicola con Marilyn Monroe e Clarke Gable diretta da John Huston e sceneggiata da Arthur Miller, che aveva scritto il film modellando il personaggio femminile sulla figura di sua moglie Marilyn. È in quell’occasione che la fotografa scatterà uno dei suoi ritratti più belli e popolari: una Marilyn Monroe solitaria che nella sua magnifica scompostezza prova, lontano dal set, dei passi di danza. Osservando quella foto viene in mente la definizione che Truman Capote diede dell’attrice americana, nel corso di una celebre intervista: «Una bambina bellissima, una vergine pubescente, appena entrata in un orfanotrofio, che piange sulla sua malasorte». Durante le riprese del film Inge conoscerà Miller, che diventerà suo marito nel 1962. Vivranno tutta la vita assieme.

Ora, a diciassette anni dalla sua scomparsa, arriva, al Museo di Roma in Trastevere, Inge Morath. La vita. La fotografia (dal 30 novembre al 19 gennaio), la prima retrospettiva italiana dedicata alla fotografa austriaca. Seguendo un percorso espositivo che si sviluppa in 12 sezioni e 140 immagini, la mostra, curata da Marco Minuz, Brigitte Blüml-Kaindl e Kurt Kaindl, ripercorre la storia professionale della Morath, dalla fuga a piedi da una Berlino bombardata dagli Alleati (si racconta che camminò oltre 500 chilometri per raggiungere il confine austriaco e rifugiarsi dai genitori, che erano simpatizzanti nazisti), alle prime foto pubblicate sui diversi magazine con lo pseudonimo di Egni Tharom, dagli imperdibili scatti della foto della casa di Boris Pasternak fino al celebre ritratto di Rosanna Schiaffino, l’attrice e modella che Time definí «una bellezza tipicamente italiana». In mostra c’è anche il suo primo importante reportage, datato 1953 e dedicato ai “Preti operai”, eseguito dopo aver vissuto per un periodo con alcuni preti attivisti che lavoravano a stretto contatto con la povertà. Inge mostrò le foto di quel servizio a Robert Capa e solo dopo la sua approvazione gli rivelò che era stai lei a scattarle. Fu il suo lasciapassare per entrare nella mitica agenza Magnum dalla porta principale.

Ma a prescindere dal soggetto immortalato, che si tratti di celebrità o di personaggi comuni, nei suoi scatti si può sempre intravede una poetica e un’eleganza di stile, riassunta dalla figlia Rebecca Miller con l’espressione «the feeling of sensual joy». Come se questa spensierata ragazza fosse riuscita a raccontare e a mettere in scena non tanto un’apparante realtà quanto una sorta di teatralità della vita. Un modo tutto suo di vedere il mondo. In fondo, raccontava Inge Morath, la fotografia «è un fenomeno strano. Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima».

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